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  diritto romano  
 
Roberto Fiori:Eccezione di dolo

  
        L'eccezione di dolo
    Roberto Fiori  Professore di Universita di Roma Tor Vergata
  
  1. Premessa. ― L'exceptio doli è uno strumento di tutela del convenuto proprio del processo formulare. Come ogni eccezione, si inseriva tra intentio e condemnatio come condizione negativa della condanna, denunciando il dolo dell'attore al fine di ottenere l'assoluzione del convenuto:
si in ea re nihil dolo malo Auli Agerii factum sit neque fiat1.
se nella questione non sia avvenuto né avvenga alcunché per dolo di Aulo Agerio
  Questa distinzione temporale tra il passato (factum sit) e il presente (fiat) ha portato a distinguere tra una exceptio doli specialis seu praeteriti ('eccezione di dolo specifico o passato') e una exceptio doli generalis seu praesentis ('eccezione di dolo generale o passato').
  La prima si riferisce al comportamento doloso dell'attore prima del processo - sia ciò avvenuto prima, durante o dopo la conclusione del negozio.
  La seconda al comportamento doloso dell'attore al momento del processo: in questo senso, la stessa proposizione dell'azione può essere considerata un comportamento doloso.
  Occorre però rilevare che una simile distinzione non si trova esplicitata presso i giuristi romani, i quali trattano unitariamente dell'exceptio - così come dell'actio de dolo, il correlativo strumento attraverso il quale l'attore può chiedere la condanna del convenuto per un comportamento doloso che non ricada in un'altra azione.

  2. Exceptio doli e dolo. ― Quest'ultimo punto assume ai nostri fini un'importanza particolare.
  è bene infatti aver sempre presente il fatto che i giuristi romani non ragionano tanto per istituti, quanto per azioni. Pertanto sia l'actio de dolo che l'exceptio doli non sono 'gli' strumenti a tutela del dolo, ma quegli strumenti in cui il dolo emerge in sé e per sé, e non invece quale elemento di un rapporto già tutelato con altri strumenti.
  è questa una consapevolezza che i romani avevano sin dal tempo di Cicerone, il quale rileva come già prima dell'invenzione delle formulae de dolo da parte di Aquilio Gallo, nel ius civile2 il dolo era tutelato da alcune leges - come la lex Plaetoria (o Laetoria, inizi del II sec. a.C.) - e, senza il ricorrere di una legge, nei iudicia bonae fidei3:
Cic. off. 3, 61: atque iste dolus malus et legibus erat vindicatus, ut tutela duodecim tabulis, circumscriptio adulescentium lege Plaetoria et sine lege iudiciis, in quibus additur ex fide bona.
ma questo dolo era tutelato sia mediante leggi, come nel caso della tutela dalle XII tavole, o della circonvenzione di adolescenti dalla legge Pletoria, sia senza alcuna legge, nei iudicia in cui si aggiunge ex fide bona.
  Accanto a questo uso 'civilistico' del dolo, vi erano formule nelle quali il criterio operava nell'ambito del diritto pretorio: sia in formule pretorie relative ad azioni civili, come la formula in factum del deposito4, sia in formule pretorie relative ad azioni onorarie, come la stessa formula in factum dell'actio de dolo5.
  Al riguardo occorre però notare che - così come vi sono formule pretorie a tutela di azioni civili, come la citata formula in factum del deposito - il fondamento dell'actio de dolo è sì pretorio, perché nel diritto civile il dolo non è azionabile in sé; ma non nel senso che il dolo sia un istituto del ius honorarium. Al contrario, la nozione del dolus appartiene ― come abbiamo visto ― al ius civile: cosicché il pretore promette, nell'editto, una tutela ai casi in cui sia avvenuto qualcosa per dolo, sussista una iusta causa e non vi sia altra azione6, ma non 'crea' il dolo.

  3. Le origini. ― Allo stesso modo, le fonti che ricordano come le formulae de dolo siano state create da Aquilio Gallo (pretore nel 66 a.C.) vanno intese nel senso che Aquilio per primo introdusse dei rimedi specifici ― l'actio e l'exceptio doli7 ―, non certo nel senso che egli abbia inventato un nuovo concetto giuridico.
  è possibile che questi rimedi specifici siano nati come estensione di alcune regole di tutela del convenuto emerse nell'ambito della tutela dell'oportere ex fide bona. In questo senso - e, a mio avviso, solo in questo - può essere accolta la diffusa opinione che ravvisa l'origine dell'exceptio doli in una exceptio inserita da Q. Mucio Scevola nel suo editto d'Asia del 94 a.C., così formulata:
Cic. Att. 6, 1, 15: extra quam si ita negotium gestum est ut eo stari non oporteat ex fide bona
tranne il caso in cui il negozio sia stato realizzato e condotto in modo tale che non possa ammettersi un oportere ex fide bona.
  Questa eccezione, diversamente da quanto in genere si ritiene, aveva una funzione assai più ampia di quella propria dell'exceptio doli, perché attraverso essa il convenuto chiedeva al giudice di verificare se la pretesa dell'attore era o meno giustificabile sulla base del criterio della buona fede. Attraverso un simile strumento, pertanto, il giudice avrebbe potuto tener conto non solo del dolo, ma anche della violenza, di patti intercorsi tra le parti, ecc. In altri termini, questa eccezione attribuiva al giudice, rispetto alla difesa del convenuto, la medesima ampiezza di giudizio attribuitagli dall'azione - fondata sull'oportere ex fide bona - dell'attore.
  è anche comprensibile perché una simile exceptio non sia più attestata nel diritto classico. Essa appartiene a un'epoca in cui le formule che tutelavano iudicia bonae fidei mancavano della clausola assolutoria, che obbliga il giudice a conoscere automaticamente dei fatti che liberano il convenuto dall'oportere ex fide bona; cosicché il convenuto doveva indicare espressamente la propria eccezione, che invece - nel diritto classico - 'inerisce' al iudicium bonae fidei, nel senso che è incluso nella valutazione del giudice sulla buona fede8.
  Forse, ad un certo momento, si è ritenuto di inserire eccezioni analoghe anche nei iudicia stricti iuris, per permettere l'assoluzione di convenuti che non intendessero negare 'frontalmente' la pretesa dell'attore, ma solo opporre un suo comportamento doloso (exceptio doli), la violenza dell'attore o di terzi (exceptio metus), l'esistenza di patti che limitavano o annullavano la pretesa avversaria (exceptio pacti conventi), ecc.9.
  Se così fosse, potremmo ritenere che gli strumenti formulari a tutela del dolo siano nati a partire dalla nozione di bona fides.
  
  4. Gli strumenti del convenuto nei iudicia stricti iuris e nei iudicia bonae fidei. ― L'exceptio doli è dunque, verisimilmente, un capitolo della vicenda del progressivo avvicinamento dei iudicia stricti iuris ai iudicia bonae fidei.
  I secondi, nati in relazione a rapporti che il diritto arcaico riconduceva alla fides, o a negozi propri del commercio internazionale, permettono l'integrazione dei doveri delle parti con una serie di obblighi discendenti dalla natura del rapporto e dalle circostanze. In tal modo si realizza, a favore dell'attore, la possibilità di variare l'entità della condanna così da coprire tutti i danni da questo subìti nel rapporto, variazione che si esprime nell'indeterminatezza dell'intentio (quidquid dare facere oportet ex fide bona, "tutto ciò che si debba dare o fare ex fide bona").
  I primi, al contrario, costituiscono lo sviluppo: (a) delle formulae in factum pretorie, in cui si chiedeva al giudice di decidere sulla base della narrazione degli eventi compiuta dalle parti, cosicché il giudice doveva attenersi strettamente al dettato della formula; (b) delle formulae in ius attraverso le quali è stata introdotta nel processo formulare la tutela dei vecchi rapporti del ius Quiritium inizialmente protetti dalle legis actiones. Rapporti, questi, inizialmente caratterizzati da una stretta corrispondenza tra il valore della prestazione e l'entità della condanna, che si esprime nell'intentio e nella condemnatio certa (quanti ea res est, "a quanto è il valore della cosa"), che solo con il tempo - attraverso una interpretazione estensiva della condemnatio - arrivano a ricomprendere anche l'interesse complessivo dell'attore.
  Allo stesso modo - e, anzi, con ampio anticipo rispetto agli sviluppi sopra descritti - come nei iudicia bonae fidei il convenuto può essere assolto quando il rapporto, pur esistente, non sia per lui vincolante ex fide bona, così nei iudicia stricti iuris si permette l'assoluzione del convenuto quando questo provi (non la violazione della bona fides, perché altrimenti il iudicium muterebbe natura, ma) analiticamente il dolus, il metus, il pactum, ecc.
  
  5. In particolare l'exceptio doli cd. generalis. ― Una simile corrispondenza doveva emergere particolarmente nel confronto tra bona fides ed exceptio doli cd. generalis o praesentis10, ossia tra buona fede ed eccezione con la quale il convenuto lamentava un esercizio doloso dell'azione (un'eccezione che dovette affermarsi ben presto, se non addirittura contemporaneamente rispetto alla exceptio doli cd. specialis, essendo attestata già alla fine della repubblica11).
  Infatti gli stessi romani si interrogavano sull'utilità di altri mezzi processuali di difesa del convenuto, come ad esempio l'exceptio metus o l'exceptio pacti ― che, come si è detto (§ 3) 'ineriscono ai iudicia bonae fidei, ma non ai iudicia stricti iuris ― in considerazione della 'generalità' dell'exceptio doli.
  La prima testimonianza in tal senso rilevante è un passo di Ulpiano, che si occupa del rapporto tra exceptio doli ed exceptio metus:
  
Ulp. 76 ad ed. D. 44, 4, 4, 33: metus causa exceptionem Cassius non proposuerat contentus doli exceptione, quae est generalis: sed utilius visum est etiam de metu opponere exceptionem. etenim distat aliquid doli exceptione, quod exceptio doli personam complectitur eius, qui dolo fecit: enimvero metus causa exceptio in rem scripta est 'si in ea re nihil metus causa factum est', ut non inspiciamus, an is qui agit metus causa fecit aliquid, sed an omnino metus causa factum est in hac re a quocumque, non tantum ab eo qui agit. et quamvis de dolo auctoris [F2: actoris] exceptio non obiciatur, verumtamen hoc iure utimur, ut de metu non tantum ab auctore, verum a quocumque adhibito exceptio obici possit.
Cassio non inserì nell'editto l'exceptio metus, ritenendo sufficiente l'exceptio doli, che è generale: ma è sembrato meglio consentire di opporre anche l'eccezione relativa al metus. E infatti vi è una qualche differenza rispetto all'exceptio doli, perché quest'ultima include l'indicazione di colui che ha commesso il dolo; al contrario l'eccezione di metus è senza indicazione della persona che ha realizzato il metus ('si in ea re nihil metus causa factum est'), cosicché non ci chiediamo se sia stato proprio l'attore a commettere il metus, oppure se in generale sia stato commesso metus da chiunque nella vicenda, non solo da parte dell'attore. E anche quando non possa opporsi una eccezione di dolo contro l'attore, seguiamo la regola per cui è possibile opporre l'eccezione di metus non solo quando è stato commesso dall'attore, ma anche quando è stato commesso da terzi.
  
  Il pretore Cassio12 non aveva inserito l'exceptio metus nel proprio editto, ritenendola superflua, in considerazione del fatto che l'exceptio doli è generalis, ossia - sembrerebbe doversi intendere - può essere proposta contro ogni attività dolosa dell'attore, anche processuale: cosicché si opporrebbe all'attore di avanzare (con dolo) una pretesa rispetto a un rapporto viziato da metus, anche se realizzato da un terzo. A questa posizione di Cassio si è contrapposta un'impostazione che può essere letta in due sensi:
  a) o nel senso che essa non avrebbe riconosciuto un simile ampio valore processuale dell'exceptio doli, ma l'avrebbe circoscritta ai comportamenti specificamente dolosi, rispetto al negozio o al processo. Secondo questa lettura, l'impostazione contraria a Cassio avrebbe continuato a ritenere utile un'eccezione di metus, perché quest'ultima permette di opporre all'attore anche i comportamenti dei terzi - e questa è l'interpretazione che parrebbe emergere più direttamente dal passo;
  b) oppure nel senso che secondo l'impostazione contraria a Cassio non sarebbe stato possibile mettere da parte strumenti specifici a vantaggio del 'dolo generale', perché ciò si sarebbe posto in contrasto con la caratteristica di residualità degli strumenti (actio ed exceptio) che sanzionano direttamente il dolo - e questa è l'interpretazione preferibile sul piano del sistema, posto che, come si è detto, il valore ampio del dolus cd. generalis era riconosciuto già alla fine della repubblica.
  Interessanti anche le testimonianze di Giavoleno e di Papiniano, relative al rapporto tra exceptio doli ed exceptio pacti:
Iav. 10 ex Cass. D. 8, 3, 13 pr.: certo generi agrorum adquiri servitus potest, velut vineis, quod ea ad solum magis quam ad superficiem pertinet. ideo sublatis vineis servitus manebit: sed si in contrahenda seruitute aliud actum erit, doli mali exceptio erit necessaria.
una servitù può essere acquistata [anche] con riferimento a un certo genere di fondi agricoli, come una vigna, perché la servitù riguarda il suolo più che ciò che vi è posto sopra. Cosicché, tolta la vigna, la servitù rimarrà: ma se nel costituire la servitù sia stato disposto diversamente, sarà necessaria l'eccezione di dolo.
  
Pap. 7 quaest. D. 8, 1, 4 pr.: servitutes ipso quidem iure neque ex tempore neque ad tempus neque sub condicione neque ad certam condicionem (verbi gratia 'quamdiu volam') constitui possunt: sed tamen si haec adiciantur, pacti vel per doli exceptionem occurretur contra placita servitutem vindicanti: idque et Sabinum respondisse Cassius rettulit et sibi placere.
le servitù, per diritto civile, non possono invero essere costituite né a partire da un termine né fino a un termine, né sotto condizione [sospensiva] né fino all'avverarsi di una determinata condizione [risolutiva] (per esempio: 'per il tempo che vorrò'); ma tuttavia, se questi [elementi] sono aggiunti, si tutelerà [il convenuto] contro chi rivendichi la servitù in violazione degli accordi: Cassio riporta che Sabino abbia così risposto, e che lui è d'accordo.
  La maggioranza della dottrina attribuisce il primo responso ancora una volta a Cassio13, il quale avrebbe sostenuto che nell'atto costitutivo di una servitù non rileva il riferimento a un certum genus agri, come ad es. una vigna, perché comunque la servitù si costituisce sul terreno, e non sulla coltura, cosicché la servitù non verrà meno anche qualora fosse tolta la coltura. Il giurista rileva però che, qualora tra le parti vi siano stati accordi specifici, essi possono essere fatti valere ― verisimilmente sul piano del diritto onorario ― mediante l'exceptio doli.
  Questo passo sembrerebbe porsi in contrasto con la seconda testimonianza, in cui si riporta un responso di Sabino approvato da Cassio, nel quale, al convenuto che obietti l'esistenza di un patto (relativo all'apposizione di un termine o di una condizione) contro chi rivendichi una servitù, viene concessa non solo l'exceptio doli, ma anche ― e anzi per prima ― l'exceptio pacti. Il contrasto tra i testi deriva dal fatto che, se davvero la posizione di Cassio era quella di estendere la portata dell'exceptio doli (generalis) sino a rendere superflue altre eccezioni, non si spiegherebbe la concessione dell'exceptio pacti. Si è perciò ipotizzato che il riferimento a quest'ultima sia di Papiniano14, che avrebbe applicato la regola ― ormai affermatasi almeno a partire da Giuliano15 ― della sussidiarietà dell'exceptio doli rispetto all'exceptio pacti. In realtà, è verisimile che una certa sussidiarietà si fosse affermata già alla fine della repubblica16, e che la posizione di Cassio sia espressione di ius controversum.
  Ma, in ogni caso, i testi mostrano chiaramente che già tra la fine della repubblica e l'inizio del principato si era sviluppato un valore ampio dell'exceptio doli, a ricomprendere anche fattispecie in cui il dolo consiste nel voler dare esecuzione a un negozio compiuto con violenza, oppure a vanificare un accordo assunto attraverso un'azione giudiziale.
  Questo sviluppo culminerà nell'affermazione di Ulpiano che da ogni eccezione (decretale) scaturisce un'exceptio doli ― verisimilmente da intendere nel senso che, posta la sussidiarietà dell'exceptio doli, se vi è già un'eccezione nell'editto si userà quest'ultima; se invece manca un'eccezione edittale e bisognerebbe provvedere con decretum, potrà essere attribuita l'exceptio doli17:
Ulp. 76 ad ed. D. 44, 4, 2, 5: et generaliter sciendum est ex omnibus in factum exceptionibus doli oriri exceptionem, quia dolo facit, quicumque id, quod quaqua exceptione elidi potest, petit: nam et si inter initia nihil dolo malo facit, attamen nunc petendo facit dolose, nisi si talis sit ignorantia in eo, ut dolo careat.
E in generale occorre tener presente che da ogni eccezione decretale origina un'eccezione di dolo, perché si comporta con dolo chiunque agisce con un'azione che possa essere paralizzata da una qualsiasi eccezione: infatti anche se all'inizio egli non si comporta dolosamente, tuttavia agendo in giudizio si comporta con dolo, a meno che non vi sia in lui tale ignoranza da mancare il dolo.
  
  6. Dolus malus e bona fides nell'esperienza romana. ― Come è emerso chiaramente da quanto detto sinora, l'exceptio doli si lega strettamente alla natura dei iudicia stricti iuris: essa fa emergere al loro interno alcuni princìpi e regole che nei iudicia bonae fidei discendono naturalmente dall'ampiezza della cognizione del giudice.
  Il iudicium stricti iuris però resta tale: non solo è necessario esplicitare obiezioni che sono implicite nei iudicia bonae fidei, ma l'esplicitazione è sempre specifica ― nel senso che si oppone il dolus, il metus, il pactum ― e dunque vincolante e limitante per il giudice. La stessa exceptio doli cd. generalis ha dei limiti che consistono fondamentalmente nella sua sussidiarietà.
  L'opposizione spesso rilevata tra dolo e buona fede è perciò nel diritto romano relativa: il dolo è contrario alla buona fede, ma ha una estensione minore di questa.
  
  7. Il diritto intermedio. ― Già nel diritto romano era emersa una tarda sinonimia tra bona fides ed aequitas18, ma non è forse un caso che simili avvicinamenti si rinvengano soprattutto in testi della giurisprudenza e in costituzioni imperiali del III sec. d.C., ossia in un momento storico in cui - soprattutto in àmbito provinciale, sotto la spinta della cognitio extra ordinem - sta divenendo sempre meno rilevante la tipicità delle azioni e perde terreno la reale incidenza della distinzione tra iudicia bonae fidei e stricti iuris.
  Tutto ciò prepara il terreno alla nascita - a partire dal IV sec. d.C. fino alla compilazione giustinianea - di un'idea di aequitas come principio sotteso all'intero ordinamento, e di un ius aequum 'etico' contrapposto al ius strictum, che forse attinge a modelli aristotelici, ma che viene verisimilmente connotata in senso cristiano19. La nuova concezione dell'aequitas capovolgerà il rapporto di questa con la bona fides: se in età classica è la seconda a consentire la prima, veicolandola all'interno del processo20, adesso è l'aequitas ad imporre il principio della buona fede. Cosicché, abolito il processo formulare, molte regole dei iudicia bonae fidei saranno estese ai iudicia stricti iuris, ed il principio di buona fede inizierà ad assumere connotazioni di 'principio generale' estranee al diritto classico21.
  Questa tendenza viene spinta dai medievali al punto di annullare sostanzialmente la bona fides nell'aequitas22: la distinzione tra iudicia bonae fidei e stricti iuris viene mantenuta23, ma riletta nell'opposizione tra aequitas e ius strictum24, e si evidenzia una tensione - che opera soprattutto sul piano della costruzione del rapporto - verso un ampliamento dei due princìpi a tutta la materia contrattuale25.
  L'influenza del diritto canonico sul diritto civile favorisce, peraltro, un legame tra fides e consensus che passa per l'identificazione tra la violazione dell'accordo contrattuale e il peccatum, al punto che ai canonisti appare ormai ingiustificabile la distinzione romana tra iudicia stricti iuris e iudicia bonae fidei: come scrive Baldo, rispetto all'aequitas canonica tutti i contratti sono di buona fede26, e il problema comincia a porsi ben presto anche per il diritto civile.
  Ciò favorisce l'affermarsi di una piena antitesi tra buona fede e dolo, al punto che: (a) si determina una enfatizzazione delle caratteristiche 'soggettive' della buona fede, affermandosi che laddove manca la buona fede, deve presumersi il dolo27; (b) nasce una nozione 'oggettiva' di dolo, nel senso che si afferma la figura del dolus in re ipsa, inteso come negozio costruito in modo oggettivamente ingiusto28.
  Tuttavia, nonostante queste trasformazioni, l'auctoritas delle fonti romane fa sì che si conservi attraverso i secoli, almeno fino al XVII sec., la distinzione teorica ― ormai quasi un fossile ― tra iudicia bonae fidei e stricti iuris, nonché la regola classica dell'inerenza dell'exceptio doli alle actiones bonae fidei29.
  
  8. L'Ottocento e i codici europei. ― Con il definitivo superamento della distinzione tra iudicia bonae fidei e stricti iuris, il dolo e la buona fede sono stati sostanzialmente sovrapposti. E ciò ha determinato conseguenze rilevanti.
  Da un lato l'exceptio doli generalis, persi i caratteri di sussidiarietà che la distinguevano in età romana, è divenuta sostanzialmente un doppio delle regole contrattuali sulla buona fede, viste dal punto di vista del convenuto. Questa novità ha permesso che in Germania, a fronte di un sostanziale disinteresse della Scuola storica e della Pandettistica per la nozione di buona fede30 ― disinteresse che verisimilmente dipende dal positivismo e dal volontarismo che caratterizzano questa fase della scienza giuridica ― i tribunali continuassero ad applicarne le regole, in continuità con la tradizione dei secoli precedenti, proprio attraverso lo strumento dell'exceptio doli31.
  Dall'altro, soprattutto in Francia e nell'Italia dell'Ottocento, l'influenza del cd. 'dogma della volontà' ha circoscritto la nozione di buona fede al rispetto della parola data, enfatizzando l'opposizione con il dolo 'speciale' e rendendo sostanzialmente inutilizzate le regole ― pur recepite nei codici ― in materia di buona fede32.
  La 'riscoperta' della buona fede nei diritti europei ― soprattutto grazie all'influenza tedesca ― ha per un verso permesso di ritrovare una maggiore corrispondenza tra le regole contrattuali ereditate dal diritto romano (in larga misura derivate dai iudicia bonae fidei) e la loro effettiva applicazione. Per un altro verso ha però evidenziato le incoerenze di un sistema (quello attuale) che ha recepito acriticamente dalla tradizione 'regole' (romane) decontestualizzate e dunque non comprese nella loro reale funzione.
  Così, limitandoci all'esempio italiano:
  a) Il dolo in quanto 'istituto' è stato identificato nel dolo negoziale (ossia nel dolo 'speciale') che rileva nella fase formativa del negozio, ed è stato inserito tra i vizi della volontà come causa di annullamento del contratto (dolo determinante: art. 1439 c.c.33) o di risarcimento del danno (dolo incidente: art. 1440 c.c.)34. Questo inserimento pone dei problemi rispetto al fatto che esiste anche una buona fede nella fase formativa del contratto (art. 1337 c.c.35), cosicché ci si chiede quale rapporto vi sia tra i due princìpi, e in particolare tra buona fede e dolo incidente, posto che entrambi conducono al medesimo risultato risarcitorio36.
  b) Sussistono dubbi rispetto a diverse, recenti ipotesi di buona fede che ― particolarmente per l'influenza tedesca ― conducono all'annullamento del contratto o di sue clausole: ad es. nei contratti conclusi tra consumatore e professionista sono considerate vessatorie in quanto contrarie a buona fede37 e perciò nulle38 le clausole non oggetto di trattativa individuale39 che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi40. Poiché normalmente la buona fede conduce al solo risarcimento, si è affermato che quella che conduce alla nullità sarebbe 'un'altra' buona fede41, non percependo che nel nostro sistema ci sono ipotesi di annullamento del vincolo negoziale ― dolo, violenza, rescissione ― che costituiscono, storicamente, specificazioni di un obbligo generale di buona fede.
  c) Ci si interroga ― muovendo dalla riduttiva configurazione codicistica del dolo come dolo 'speciale' ― sull'ammissibilità, nel diritto civile italiano, di una exceptio doli generalis42, che tuttavia a ben vedere già esiste, almeno in àmbito contrattuale, come espressione, dal punto di vista del convenuto, dell'obbligo di contrarre e di eseguire il contratto secondo buona fede.
  
   1 LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig, 1927, 512.
   2 Che si tratti di ipotesi di ius civile risulta - oltre che, ovviamente, per i casi in cui vi è una lex, in cui la natura civilistica è certa - dal fatto che poco più avanti Cicerone afferma che le ipotesi di dolo contemplate dal ius civile sono "tutelate con diligenza" (diligenter tenentur), e cita un caso di iudicium bonae fidei, precisamente un'emptio venditio (Cic. off. 3, 67).
   3 Per questa interpretazione del passo - che dalla maggioranza degli autori è erroneamente letto come una prova dell'origine pretoria dei iudicia bonae fidei, che sarebbero definiti da Cicerone sine lege iudicia - cfr. UBBELOHDE, Zur Geschichte der benannten Realcontracte auf Rückgabe derselben Species, Marburg-Leipzig, 1870, 81; ARNDTS, Ipse dolus und quasi dolus?, ora in Gesammelte civilistische Schriften, I, Stuttgart, 1873, 403 s.; DE FRANCISCI, Iudicia bonae fidei. Editti e formulae in factum, in "Studi senesi" 24, 1906, 348, nt. 1; LOMBARDI, Dalla fides alla bona fides, Milano, 1961, 187; FIORI, Ius civile, ius gentium, ius honorarium: il problema della 'recezione' dei iudicia bonae fidei, in "BIDR", CI-CII, 1998-1999 (pubbl. 2005), 190, nt. 111.
   4 LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, cit., 289: Iudex esto. Si paret A. Agerium apud N. Negidium mensam argenteam deposuisse eamque dolo malo N. Negidii A. Agerio redditam non esse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N. Negidium A. Agerio condemnato. Si non paret, absolvito ("Sia giudice. Se sembra che A. Agerio abbia depositato presso N. Negidio un tavolo d'argento e che questo per dolo di N. Negidio non sia stata restituita ad A. Agerio, il giudice condannerà Numerio Negidio a favore di Aulo Agerio al pagamento di una somma corrispondente al valore della cosa. Se non sembra, assolverà").
   5 LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, cit., 115: Si paret dolo malo Numerii Negidii factum esse, ut Aulus Agerius Numerio Negidio fundum quo de agitur mancipio daret, neque plus quam annus est, cum experiundi potestas fuit, neque ea res arbitrio iudicis restituetur, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex Numerium Negidium Aulo Agerio condemnato. Si non paret absolvito ("Se sembra che sia accaduto per dolo di Numerio Negidio, che Aulo Agerio abbia trasmesso mediante mancipatio a Numerio Negidio il fondo per cui si agisce, né è trascorso più di un anno da quando si poteva esperire l'azione, né la cosa è stata restituita [dal convenuto all'attore] ad arbitrio del giudice, il giudice condannerà Numerio Negidio a favore di Aulo Agerio al pagamento di una somma corrispondente al valore della cosa. Se non sembra, assolverà").
   6 Cfr. la clausola edittale così come ricostruita in LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung , cit., 114: quae dolo malo facta esse dicentur, si de his rebus alia actio non erit et iusta causa esse videbitur, intra annum, cum primum experiundi potestas fuerit, iudicium dabo ("rispetto a quelle cose che si dirà esser state compiute dolosamente, se per esse non ci sarà altra azione e risulterà sussistere una giusta causa, darò tutela giurisdizionale").
   7 Così PERNICE, Labeo. R?misches Privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaiserzeit, II.1, Halle, 1895, 198, seguito da BRUTTI, La problematica del dolo processuale nell'esperienza romana, I-II, Milano, 1973, 128, nt. 1, con ulteriore bibliografia e discussione. Per altri autori, nelle formulae de dolo bisognerebbe riconoscere solo l'actio: cfr. da ultimo TALAMANCA, La bona fides nei giuristi romani: 'Leerformeln' e valori dell'ordinamento, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Studi A. Burdese, IV, Padova, 2003, 158 e nt. 437.
   8 Sull'inerenza delle eccezioni di dolo, violenza e - soprattutto - patto ai iudicia bonae fidei cfr. per tutti KNüTEL, Die Inh?renz der exceptio pacti im bonae fidei iudicium, in "ZSS", 84, 1967, 133 ss.
   9 Su tutto ciò FIORI, Eccezione di dolo generale ed editto asiatico di Quinto Mucio: il problema delle origini, in L. GAROFALO (a cura di), L'eccezione di dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 2006, 49 ss.
   10 Che, come si è detto, i romani non discutono autonomamente: la stessa espressione dolus praesens è presente solo una volta nelle fonti (Ulp. 76 ad ed. D. 44, 4, 4, 18); sull'uso di generalis cfr. infra, in testo.
   11 Sul problema della stratificazione storica dell'exceptio doli cfr. per tutti BRUTTI, La problematica del dolo processuale nell'esperienza romana, cit., 169 ss.
   12 Forse da identificare con il giurista, che fu pretore nel 27 d.C.
   13 Cfr. KRüGER, Beitr?ge zur Lehre von der exceptio doli, Halle, 1892, 183; BRUTTI, La problematica del dolo processuale nell'esperienza romana, cit., 681.
   14 Cfr. per tutti BRUTTI, La problematica del dolo processuale nell'esperienza romana, cit., 680 s.; WACKE, Zur Lehre vom pactum tacitum und zur Aushilfsfunktion der exceptio doli, in "ZSS", 90, 1973, 233, nt. 76a.
   15 Iul. 1 dig. fr. 17 LENEL = Ulp. 4 ad ed. D. 2, 14, 10, 2: plerumque solemus dicere doli exceptionem subsidium esse pacti exceptionis: quosdam denique, qui exceptione pacti uti non possunt, doli exceptione usuros et Iulianus scribit et alii plerique consentiunt ("siamo soliti per lo più affermare che l'eccezione di dolo è sussidiaria rispetto a quella di patto: anche Giuliano scrive ― e molti altri sono d'accordo ― che coloro i quali non possono usare l'eccezione di patto, utilizzeranno l'eccezione di dolo").
   16 Cfr. Treb. fr. 11 LENEL = Ulp. 4 ad ed. D. 2, 14, 10, 2: ut puta si procurator meus paciscatur, exceptio doli mihi proderit, ut Trebatio videtur, qui putat, sicuti pactum procuratoris mihi nocet, ita et prodesse ("come, ad esempio, se il mio procuratore concluda un patto, mi avvantaggierò dell'eccezione di dolo, come ritiene Trebazio, il quale reputa che, così come può nuocermi il patto del procuratore, allo stesso modo posso giovarmene"): qui l'exceptio pacti era inconcedibile in virtù della regola dell'inefficacia del pactum stipulato dal procurator a favore del terzo (cfr. per tutti KRüGER, Beitr?ge zur Lehre von der exceptio doli, cit., 120 s.).
   17 Mi sembra che solo così si spieghi il riferimento specifico alle exceptiones in factum, non invece immaginando che nell'espressione 'qualsiasi eccezione' si faccia rinvio anche a eccezioni edittali (così invece BURDESE, L'eccezione di dolo generale in rapporto alle altre eccezioni, in L. GAROFALO (cur.), L'eccezione di dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, Padova 2006, 481 s.).
   18 Cfr. TALAMANCA, La bona fides nei giuristi romani: 'Leerformeln' e valori dell'ordinamento, cit., 297 ss.
   19 Cfr. per tutti KASER, Das r?mische Privatrecht, II, München, 1975, 62 s., 333 s. Contra, per una continuità tra aequitas costantiniana e nozioni classiche, SILLI, Mito e realtà dell'aequitas christiana, Milano, 1980, 161 ss.
   20 TALAMANCA, La bona fides nei giuristi romani: 'Leerformeln' e valori dell'ordinamento, cit., 302.
   21 KASER, Das r?mische Privatrecht, II, cit., 333 s.
   22 Cfr. per tutti BECK, Zu den Grundprinzipien der bona fides im r?mischen Vertragsrecht, in Aequitas und bona fides. Festgabe A. Simonius, Basel 1955, 9 ss.; HORN, Aequitas in den Lehren des Baldus, K?ln-Graz, 1968, 171; GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, in R. ZIMMERMANN - S. WHITTAKER (eds.), Good Faith in European Contract Law, Cambridge, 2000, 95 e nt. 8.
   23 HORN, Aequitas in den Lehren des Baldus, cit, 139 s., 165 ss.
   24 CORTESE, La norma giuridica. Spunti teorici nel diritto comune classico, II, Milano, 1964, 345.
   25 HORN, Aequitas in den Lehren des Baldus, cit., 165 ss.; GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, cit., 105.
   26 Cfr. per tutti GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, cit., 105 nt. 61; HORN, Aequitas in den Lehren des Baldus, cit., 163.
   27 GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, cit., 102 e nt. 44. Sul rapporto antitetico bona fides - dolus in Baldo, cfr. HORN, Aequitas in den Lehren des Baldus, cit., 103 ss.
   28 Sulla distinzione tra dolus ex proposito e dolus ex re ipsa nei giuristi medievali, cfr. per tutti BELLOMO, Dolo (diritto intermedio), cit., 729 s. (il quale però sembra limitare la dicotomia al dolus incidens).
   29 GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, cit., 101; ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Cape Town-Wetton-Johannesburg, 1990, 671 e nt. 150.
   30 CORRADINI, Il criterio della buona fede e la scienza del diritto privato dal codice Napoleonico al codice civile italiano del 1942, Milano, 1970, 132 ss.; 177 ss.
   31 RANIERI, Dolo petit qui contra pactum petat. Bona Fides und stillschweigende Willenserkl?rung in der Judikatur des 19. Jahrhunderts, in "Ius Commune", 4, 1972, 177 ss.; Alienatio convalescit. Contributo alla storia ed alla dottrina della convalida nel diritto dell'Europa continentale, Milano, 1974, 39 ss.; Eccezione di dolo generale, in "Digesto4", Disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991, 315 ss.; L'eccezione di dolo generale nella tradizione del diritto romano comune, in L. GAROFALO (a cura di), L'eccezione di dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 2006, 554 ss.; ZIMMERMANN, Roman Law, Contemporary Law, European Law. The Civilian Tradition Today, Oxford, 2001, 86 ss.
   32 Cfr. per tutti Ranieri, L'eccezione di dolo generale nella tradizione del diritto romano comune, cit., 557 s.
   33 Art. 1439 c.c. (Dolo): "il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato. 2. Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio".
   34 Art. 1440 c.c. (Dolo incidente): "se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni".
   35 Art. 1337 c.c. (Trattative e responsabilità precontrattuale): "le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede".
   36 MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in "Riv. dir. comm.", 2, 1956, 365, nt. 1; BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, 74; PATTI - PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard (artt. 1337-1342) (Commentario Schlesinger), Milano, 1993, 111.
   37 Sull'interpretazione dell'inciso "malgrado la buona fede" cfr. per tutti UDA, La buona fede nell'esecuzione del contratto, Torino, 2004, 230 ss.
   38 Art. 36 co. 1 cod. cons.: "le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto".
   39 Art. 34 co. 4 cod. cons.: "non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale".
   40 Art. 33 co. 1 cod. cons.: "nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista, che ha per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto".
   41 PATTI, Significato del principio di buona fede e clausole vessatorie: uno sguardo all'Europa, in Il ruolo delle buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Studi A. Burdese, III, Padova, 2003, 62 ss.; D'ANGELO, La buona fede, in AA.VV., Il contratto in generale (Trattato Bessone, IV), II, Torino, 2004, 270 ss., 290 ss.
   42 Cfr. sullo stato della questione LAMBRINI, Dolo facit, qui petit quod redditutus est. Eccezione di dolo generale e contratto autonomo di garanzia, in AA.VV., Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato, II, Napoli 2006, 229 ss. 

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Testo della relazione svolta al Primo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicata, con autorizzazione d'autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.II, Pechino, 2009.

  

发布时间:2012-12-12  
 

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