ALDO PETRUCCI
ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA PROTEZIONE DEI CONTRAENTI CON LE IMPRESE NELL'ESPERIENZA GIURIDICA ROMANA: LE AZIONI INSTITORIA ED EXERCITORIA
1. Introduzione
La contrattazione di massa con le imprese, avente ad oggetto le prestazioni di beni o di servizi da esse realizzate sulla base di condizioni generali di contratto o di modelli contrattuali uniformi predisposti unilateralmente, rappresenta al giorno d'oggi un settore importante del diritto dei consumatori.
In tale contesto assume una funzione di grande attualità e rilevanza il tema della tutela dei contraenti con gli imprenditori1, il cui ruolo risulta via via crescente non solo a livello di ordinamenti giuridici nazionali, ma soprattutto in ambito comunitario, grazie al gran numero di direttive emanate dagli organi della Comunità europea, alle quali gli Stati membri debbono armonizzare le proprie normative2. Il forte sviluppo attuale di questo settore del diritto viene comunemente giustificato con la necessità di far fronte al fenomeno economico - sociale dei consumi di massa, strettamente collegato al sistema produttivo e distributivo della società contemporanea3.
Fin qui un cenno alla realtà giuridica contemporanea. Ma l'esigenza di dare vita ad uno specifico apparato di regole, dirette a tutelare in modo rafforzato i contraenti con le imprese per le attività rientranti nel loro oggetto, non è un portato esclusivo del mondo del diritto attuale. Infatti, malgrado la profonda diversità di contesti storici, si possono riscontrare alcune forme di protezione "rafforzata" per questa categoria di contraenti anche nell'ordinamento romano.
Parlando del diritto romano, va da sé che il campo privilegiato di osservazione è quello del diritto romano dell'età commerciale tra II secolo a.C. e metà del III secolo d.C.4 (del diritto preclassico e classico, secondo la terminologia tradizionale), dove, a seguito della formazione e dello sviluppo di un'economia di mercato basata sugli scambi, trovano riconoscimento giuridico le nozioni di impresa (negotiatio), di azienda (taberna instructa) e sono creati istituti ed azioni collegati esclusivamente ad attività imprenditoriali nei più diversi settori.
2. L'introduzione delle azioni c.d. adiettizie (adiecticiae qualitatis)
Gli strumenti più risalenti creati dall'attività giurisdizionale dei pretori al fine di proteggere i contraenti con le imprese, sono state, come è noto, le azioni, che, con terminologia non romana, sono solite indicarsi come adiecticiae qualitatis5. La loro introduzione fu forse dovuta, da principio, all'opera del pretore peregrino (praetor qui inter peregrinos ius dicebat), istituito nel 242 a.C., in quanto si trattava di una magistratura più sensibile alle istanze di tutela giuridica connesse ai rapporti commerciali ed al mondo degli affari, ed ebbe luogo durante il II secolo a.C., secondo un ordine cronologico che i più ritengono sia quello edittale tramandatoci nel Digesto: actio exercitoria, actio institoria, actio tributoria e triplex edictum (actio de peculio, de in rem verso e quod iussu)6, malgrado alcune opinioni, anche autorevoli, contrarie7.
Le prime tre azioni sono sempre collegate allo svolgimento di un'attività imprenditoriale8 consistente, rispettivamente: a) nell'esercizio di un'impresa di navigazione (exercitio navis) fondata sulla preposizione di un magister navis; b) nell'esercizio di un'impresa commerciale (in senso lato) diversa da quella di navigazione (e perciò sovente denominata terrestre), fondata anch'essa sulla preposizione di un institor; c) e nell'esercizio di vari tipi di impresa commerciale (sempre in senso lato) terrestre mediante un peculio o una parte di peculio specificamente destinata a ciò (merx peculiaris) e con la consapevolezza dell'avente potestà (sciente domino), come si vedrà meglio in seguito.
3. Applicazione dell'actio institoria
Cominciamo il nostro discorso dall'actio institoria, data la maggiore ampiezza del suo raggio di applicazione.
La ratio, che aveva portato il pretore a creare quest'azione, viene ancora ricordata, a vari secoli di distanza, dalle Istituzioni di Gaio (scritte poco dopo la metà del II secolo d.C.) e da un importante frammento del commentario edittale di Ulpiano (primi decenni del III secolo d.C.).
Nell'opera del primo giurista, all'inizio della trattazione delle azioni exercitoria ed institoria, si afferma:
Eadem ratione comparavit duas alias actiones, exercitoriam et institoriam ...Cum enim ea quoque res ex voluntate patris dominive contrahi videatur, aequissimum esse visum est in solidum actionem dari ... (4.71)
[Per la stessa ragione ha predisposto due altre azioni, quella contro l'armatore e quella institoria ... Infatti, poiché anche questa attività contrattuale si considera conclusa per volontà del padre o del padrone, è sembrato essere molto equo che fosse data un'azione per l'intero ...].
Gaio dunque ravvisa un'identità di motivazioni tra la predisposizione di queste due azioni e l'actio quod iussu, di cui aveva parlato nel precedente § 70, individuandola nella necessità di proteggere l'affidamento dei contraenti con il figlio in potestà o lo schiavo comandante della nave (magister navis) o institore (institor) (eadem ratione - institoriam). Poiché i contratti conclusi con i sottoposti si dovevano ritenere compiuti per volontà del titolare della potestà (cum enim - contrahi videatur), il pretore aveva considerato sommamente conforme all'aequitas la previsione di una responsabilità per l'intero a carico di quest'ultimo, che il contraente poteva far valere mediante dette azioni (aequissimum - actionem dari). Come si può vedere, è dall'imputabilità diretta alla voluntas patris aut domini dell'attività contrattuale che si fa discendere il regime di una loro responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte dal sottoposto comandante della nave o institore e rimaste inadempiute.
Passando ora al commentario ulpianeo, nel libro ventottesimo in D. 14.3.1, in tema di origini dell'actio institoria, si riporta:
Aequum praetori visum est, sicut commoda sentimus ex actu institorum, ita etiam obligari nos ex contractibus ipsorum et conveniri. Sed non idem facit circa eum qui institorem praeposuit, ut experiri possit : sed si quidem servum proprium institorem habuit, potest esse securus adquisitis sibi actionibus ...
[è sembrato equo al pretore che, come percepiamo i vantaggi dall'attività degli institori, così anche siamo obbligati dai loro contratti e possiamo essere convenuti in giudizio. Ma non fa lo stesso con riguardo a colui che ha preposto un institore così da poter esperire l'azione; ma, se certamente ha avuto come institore uno schiavo proprio, può essere sicuro delle azioni acquisite per sé ...].
Al pretore era dunque apparso conforme all'aequitas riequilibrare vantaggi (commoda) ed obbligazioni (obligari) derivanti ai preponenti dalle attività contrattuali degli institori che avevano preposto, in modo tale da consentire ai contraenti di chiamarli a rispondere, mediante l'esercizio dell'actio institoria, per gli inadempimenti compiuti da questi loro rappresentanti (aequum praetori - et conveniri). L'azione era nata come "unidirezionale": infatti, di essa non poteva servirsi l'imprenditore preponente (sed non idem - ut experiri possit), il quale, solo in virtù del vincolo potestativo (e della proprietà) sullo schiavo institore, acquisiva direttamente le azioni derivanti dal rapporto contrattuale tra costui ed i terzi per far valere i propri diritti (sed si quidam - adquisitis sibi actionibus)9.
é importante fin d'ora rilevare che entrambi i giuristi individuano nell'aequitas il criterio da cui era stato mosso il pretore nel predisporre l'azione institoria, al fine di garantire un'uguaglianza proporzionale degli interessi in gioco, moderando le conseguenze inique derivanti da una rigida applicazione delle regole dell'antico ius civile10.
L'azione institoria consentiva ai terzi che avessero contrattato con l'institore, al quale, mediante atto di preposizione (praepositio), erano stati conferiti poteri di gestione dell'impresa, di far valere una responsabilità per l'intero (in solidum) del preponente per le obbligazioni contrattuali rimaste inadempiute. A tal fine era però necessario, come vedremo fra poco, che si fosse conclusa con l'institore un'attività contrattuale rientrante nei poteri di gestione che gli erano stati attribuiti.
La possibilità per i contraenti con l'institore di esperire l'azione institoria contro il preponente, secondo alcuni indizi ancora presenti nelle nostre fonti, era limitata in origine alle imprese commerciali in senso stretto, cioè quelle dirette allo scambio di beni attuato mediante contratti di compravendita. Ma già durante il I secolo a.C. e l'età augustea (31 a.C. - 14 d.C.) il campo di applicazione dell'institoria si era notevolmente ampliato, grazie soprattutto all'interpretatio di giuristi come Servio Sulpicio Rufo e Labeone11, secondo quanto ci attesta un noto testo di Ulpiano, 28 ad ed. in D. 14. 3. 5.1 - 10: oltre al commercio vero e proprio, vengono indicati i settori: a) della gestione di immobili urbani; b) del credito e delle attività bancarie; c) degli appalti di opere; d) del trasporto terrestre e della prestazione dei servizi ad esso collegati, come le locande con annesse stazioni di cambio; e) della pulizia, riparazione e confezione di abiti e tessuti; f) delle pompe funebri. A questi settori altri testi giuridici aggiungono quelli dei bagni termali (la negotiatio balnearia) e della produzione (di laterizi, anfore, lucerne, ceramiche, tubature).
Inoltre anche la commercializzazione dei prodotti di un'impresa agricola effettuata dal fattore (vilicus) ad essa preposto, consentiva ai terzi contraenti con lui di far valere le proprie ragioni nei confronti del preponente (il dominus fundi).
Attraverso l'actio institoria, come si è detto, si realizzava la tutela dei terzi che avessero contrattato con l'institore nell'ambito della praepositio, onde far valere una responsabilità in solidum dell'imprenditore preponente per le obbligazioni rimaste inadempiute.
La possibilità di esercitare questa azione dipendeva pertanto dalla praepositio, come mettono chiaramente in luce Gaio, Inst. 4.71, riportato nel paragrafo precedente, ed Ulpiano, 28 ad ed. in D. 14.3.5.11:
Non tamen omne, quod cum institore geritur, obligat eum qui praeposuit, sed ita, si eius rei gratia, cui praepositus fuerit, contractum est, id est dumtaxat id ad quod eum praeposuit
[Tuttavia non tutto ciò, che si conclude con un institore, obbliga chi lo ha preposto, ma è così, se si è contratto nell'ambito di ciò per cui è stato preposto, vale a dire solo per quanto lo ha preposto].
La preposizione institoria si configurava come un atto di conferimento dei poteri di gestione, con cui si autorizzava il compimento di tutta l'attività contrattuale inerente all'esercizio dell'impresa; essa non rilevava nella sola sfera interna dei rapporti tra imprenditore che la compieva ed institore, ma richiedeva forme di pubblicità, in modo che i suoi contenuti fossero conoscibili all'esterno ed i terzi avessero la possibilità di esserne informati12. A tal fine si effettuava un'affissione per iscritto, indicata dalle fonti con il termine proscriptio.
Tutte le articolate disposizioni, tramandateci da Ulpiano, 28 ad ed. in D. 14.3.11.2 - 5 sull'eventuale contenuto della preposizione institoria e sui modi di compierne la proscriptio, provengono esclusivamente dall'elaborazione giurisprudenziale in sede di commento a questo editto.
Quanto al contenuto, riveste la massima importanza il § 5, dove il giurista, nella prima parte, afferma:
Condicio autem praepositionis servanda est: quid enim si certa lege vel interventu cuiusdam personae vel sub pignore voluit cum eo contrahi vel ad certam rem? Aequissimum erit id servari, in quo praepositus est. Item si plures habuit institores vel cum omnibus simul contrahi voluit vel cum uno solo. sed et si denuntiavit cui, ne cum eo contraheret, non debet institoria teneri: nam et certam personam possumus prohibere contrahere vel certum genus hominum vel negotiatorum, vel certis hominibus permittere.
[Le condizioni della preposizione poi si devono osservare: che succede, infatti, se ha voluto che si contraesse con lui inserendo una determinata clausola o con l'intervento di una qualche persona o mediante pegno o con riferimento ad una determinata cosa? Sarà molto equo che sia osservato ciò per il quale è stato preposto. Parimenti, se qualcuno ha avuto più institori ed ha voluto che si contraesse con tutti insieme o con uno solo. Ma, anche se ha intimato a qualcuno di non contrarre con lui , non deve essere tenuto in base all'azione institoria: infatti, possiamo proibire di contrarre ad una determinata persona o ad un certo genere di uomini o di imprenditori, oppure permetterlo a determinate persone].
I terzi, nell'attività contrattuale con l'institore, erano vincolati a quanto stabilito nella praepositio dall'imprenditore preponente (condicio autem praepositionis servanda est), il quale poteva indicare in essa una o più clausole da includere nei singoli contratti relativi all'esercizio dell'impresa. Ulpiano ne offre qui un'esauriente tipologia, proponendo come esempi: a) l'inserimento di una certa lex; b) l'intervento di garanti personali o l'assunzione di garanzie reali; c) la limitazione ad un certo oggetto (quid enim - vel ad certam rem?). L'indicazione di clausole di questo tipo viene pienamente ammessa e la loro osservanza è ritenuta conforme ad equità (aequissimum erit id servari, in quo praepositus est). La stessa regola è ribadita subito dopo (item), allorché si avanzano due diverse ipotesi di come poteva essere articolato il contenuto della preposizione, prevedendosi: d) la nomina di più institori con compiti diversi, quali quelli di intervenire congiuntamente o disgiuntamente nella conclusione dei contratti (item - cum uno solo); e) il divieto di contrarre con l'institore a carico di certe persone o di un certum genus hominum vel negotiatorum ed il permesso di farlo concesso a determinate persone (sed et si denuntiavit - permittere).
Come si vede, le clausole sub a), b) e c) rappresentano, per così dire, delle "condizioni generali", che il preponente poteva predisporre, attribuendo all'institore la gestione di un dato tipo di impresa, e che, una volta predisposte, dovevano riprodursi nei singoli contratti tra institore e terzi attinenti all'oggetto dell'impresa. Ciò non esclude, come è ovvio, che i poteri di esercizio di un'impresa venissero conferiti senza indicazione di "condizioni generali" per l'attività contrattuale.
Diversamente la disposizione prevista sub d) concerne piuttosto le modalità che poteva in concreto assumere la praepositio, con ripartizione dei poteri tra più institori, mentre quella riportata sub e) viene a toccare l'esercizio dei questi poteri, vietando la contrattazione nei confronti di alcune persone o categorie e/o ammettendola per altre.
Ove simili clausole e modalità fossero state debitamente pubblicizzate nelle forme che ora andremo ad esaminare, i terzi contraenti che non le avessero osservate vedevano cessare a proprio favore la tutela dell'actio institoria contro l'imprenditore. Si delinea così un regime di piena libertà per quest'ultimo di stabilire e modificare le condizioni contrattuali e l'esercizio dei poteri concernenti la gestione dell'impresa; ma tale libertà incontrava un limite invalicabile espresso nella parte conclusiva del testo, in cui si dice:
sed si alias cum alio contrahi vetuit continua variatione, danda est omnibus adversus eum actio: neque enim decipi debent contrahentes.
[ma, se con una continua variazione si vieta di contrarre alcune volte con uno, altre volte con l'altro, si deve dare a tutti l'azione contro di lui : non si devono, infatti, ingannare i contraenti].
Qualora infatti una continua variazione dei divieti e permessi di contrarre con l'institore (sed si alias - continua variatione) avesse occasionato una situazione di incertezza nei terzi contraenti circa i suoi poteri, essi trovavano puntualmente tutela mediante la concessione dell'azione institoria contro il preponente (danda est omnibus adversus eum actio), con fondamento sulla ratio neque decipi debent contrahentes.
Questa disposizione, che il giurista enuncia con riferimento alle modalità della preposizione indicate sopra sub d) ed e), è, a mio avviso, applicabile anche ad ogni continua variatio delle eventuali "condizioni generali", quali quelle sub a), b) e c), a cui doveva uniformarsi la contrattazione con l'institore, proprio in virtù della ratio di non ingannare i terzi contraenti, espressa in chiusura del paragrafo. Essa infatti, in quanto incarnazione del principio della buona fede oggettiva13, non può che informare di sé l'intera disciplina ora descritta, riequilibrando, da un lato, la posizione di inferiorità di quanti si fossero trovati a contrarre con l'institore per prestazioni compiute dall'impresa, e permettendo, dall'altro, un controllo in sede giurisdizionale della sua effettiva applicazione, grazie all'esercizio dell'actio institoria.
I §§ 3 e 4 di D. 14. 3. 11 si occupano invece delle forme di pubblicità della preposizione. Nel primo di essi Ulpiano dice:
Proscribere palam sic accipimus claris litteris, unde de plano recte legi possit, ante tabernam scilicet vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur, non in loco remoto, sed in evidenti. Litteris utrum Graecis an Latinis? Puto secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum. Certe si quis dicat ignorasse se litteras vel non observasse quod propositum erat, cum multi legerent cumque palam esset propositum, non audietur
[Affiggere in pubblico lo intendiamo così: a chiare lettere, in modo che subito si possa leggere correttamente, certo davanti al locale commerciale o a quel luogo nel quale si esercita l'impresa, non in un luogo nascosto, ma evidente. In lingua greca o latina? Reputo secondo la condizione del luogo, affinché nessuno possa addurre come pretesto l'ignoranza della lingua. Certamente se qualcuno dica di non saper leggere o di non avere osservato ciò che era stato affisso, mentre molti la leggevano o era stato affisso in pubblico, non sarà ascoltato].
L'affissione con cui si rendeva nota la praepositio doveva essere scritta a chiare lettere, in modo da potersi certamente leggere (proscribere - recte legi possit), e trovarsi avanti alla taberna o al luogo in cui era esercitata l'impresa (ante tabernam ... vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur), in una posizione non nascosta, ma evidente (non in loco remoto, sed in evidenti) ed in una lingua comprensibile agli abitanti del luogo (secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum). Qualora fossero stati rispettati tali requisiti, essendo l'affissione esposta al pubblico e consentendone perciò la lettura a molti (cum multi legerent cumque palam esset propositum), non avrebbero trovato ascolto (non audietur) eventuali doglianze di terzi contraenti con l'institore, che dicessero di non saper leggere oppure non avessero osservato il contenuto di quanto affisso (certe si quis - quod propositum erat).
Nel successivo § 4 il giurista così prosegue:
Proscriptum autem perpetuo esse oportet: ceterum si per id temporis, quo propositum non erat, vel obscurata proscriptione contractum sit, institoria locum habebit. Proinde si dominus quidem mercis proscripsisset, alius autem sustulit aut vetustate vel pluvia vel quo simili contingit, ne proscriptum esset vel non pareret, dicendum eum qui praeposuit teneri. Sed si ipse institor decipiendi mei causa detraxit, dolus ipsius praeponenti nocere debet, nisi particeps doli fuerit qui contraxit
[E' necessario che quanto affisso pubblicamente lo sia in modo permanente: d'altra parte, se si sia concluso il contratto durante quel tempo, in cui non era affisso o l'affissione era stata oscurata, si applicherà l'azione institoria. Perciò, se il titolare dell'impresa avesse compiuto l'affissione ed un altro l'ha tolta, oppure accade che per vetustà o per pioggia o per qualcosa di simile non sia più affisso o non appaia più, si deve dire che chi ha preposto è tenuto. Ma, se lo stesso institore lo ha sottratto per ingannarmi, il suo dolo deve nuocere al preponente, a meno che chi ha concluso il contratto non sia stato partecipe del dolo].
La pubblicità della proscriptio doveva essere permanente (proscriptum autem perpetuo esse oportet), per cui, ove i terzi avessero contratto con l'institore in un momento in cui questa non era affissa o era oscurata (ceterum si per id temporis - contractum sit), ad essi era comunque concessa l'actio institoria contro il preponente (institoria locum habebit). Ed ancora, se quest'ultimo, in quanto titolare del capitale commerciale14, avesse effettuato l'affissione, ma un altro l'avesse tolta (si dominus - alius autem sustulit) oppure fosse accaduto che per vetustà o pioggia o altre cause simili l'affissione non vi fosse più o non si vedesse (aut vetustate vel pluvia - non pareret), anche in tale evenienze si poteva far ricorso all'actio institoria contro di lui (dicendum eum qui praeposuit teneri). Inoltre, nel caso in cui fosse stato lo stesso institore a sottrarre l'affissione per ingannare un contraente (sed si ipse institor decipiendi mei causa detraxit), il suo dolo nuoceva al preponente, a meno che il contraente medesimo non ne fosse stato partecipe (dolus ipsius - qui contraxit). La possibile alterazione formale di quest'ultima frase, talora rilevata in dottrina, non viene ad incidere sulla genuinità sostanziale del suo contenuto.
L'analisi congiunta dei due paragrafi ci consente di osservare i modi attraverso i quali trovavano attuazione concreta le esigenze di pubblicità della praepositio e le conseguenze previste se mancava del tutto o fosse venuta meno la possibilità di conoscerla.
Affinché dunque queste esigenze si considerassero soddisfatte, non si doveva adempiere, almeno agli inizi del III secolo d.C., a criteri formali rigidi e specifici, ma occorreva che l'affissione, contenente l'atto di conferimento dei poteri, fosse redatta in modo chiaro e leggibile, dove i due aggettivi, a mio parere, intendono far riferimento non solo alla scrittura, ma anche all'intellegibilità del contenuto, ed in un idioma conosciuto dagli abitanti del luogo dove era esercitata l'impresa. A tali criteri, per così dire, "redazionali", si aggiungeva la necessità di collocare l'affissione stessa in una posizione "strategica" all'interno dell'azienda, o comunque della sede dell'impresa, onde fosse ben visibile a tutti i possibili contraenti. L'osservanza dei requisiti pubblicitari ora descritti era l'unica maniera con cui l'imprenditore preponente riusciva ad esonerarsi da responsabilità, rimanendo privi di protezione (salvo quanto vedremo nel prossimo paragrafo) quanti avessero contratto con l'institore al di fuori della sfera dei poteri a lui attribuiti, senza che fossero adducibili quali cause di giustificazione il proprio analfabetismo o ignoranza della lingua oppure non aver prestato attenzione all'affissione ed al suo contenuto.
Le conseguenze discendenti dal mancato adempimento di detti requisiti erano alquanto gravi. Veniva infatti concessa ai terzi contraenti l'actio institoria tutte le volte che fosse stato loro impossibile prendere visione, anche in via temporanea, del contenuto della preposizione attraverso la proscriptio per cause imputabili al preponente oppure all'institore: fra le prime, come si è visto, sono fatte rientrare l'assenza o l'oscuramento dell'affissione, la sua illeggibilità per il trascorrere del tempo, gli agenti atmosferici o altre cause simili, ed anche la sottrazione della stessa da parte di un terzo; fra quelle dovute all'institore, il giurista ricorda l'asportazione intenzionale dell'avviso con il fine di ingannare la controparte, a meno che anch'essa non fosse stata partecipe del dolo. In presenza di tutti gli eventi ora menzionati era dunque possibile, grazie a quest'azione, far valere la responsabilità in solidum dell'imprenditore per le obbligazioni contrattuali non adempiute dall'institore anche quando il contratto avesse esulato dai limiti della preposizione.
E mi sembra importante sottolineare che qui la responsabilità del preponente discende dalla semplice mancanza di conoscibilità, da parte dei terzi contraenti, del contenuto della preposizione, a prescindere se ciò dipenda da lui oppure dal suo institore. Nella prima ipotesi risulta altrettanto irrilevante se la situazione di non conoscibilità sia riconducibile ad un atteggiamento doloso o colposo del preponente stesso oppure ad un fatto altrui (è il caso della sottrazione della proscriptio ad opera di un terzo: si ...alius autem sustulit), mentre nella seconda ipotesi egli è comunque chiamato a rispondere quando tale situazione è occasionata dal dolo dell'institore, salvo collusione tra quest'ultimo ed il terzo contraente. Si profila pertanto, a mio modesto parere, un regime di responsabilità di tipo "oggettivo" a carico dell'imprenditore preponente, discendente da un "rischio di impresa", inteso come rischio collegato all'esercizio di un'attività indirizzata verso uno scopo imprenditoriale15.
L'elaborazione di simili disposizioni in tema di pubblicità della preposizione institoria appare, a mio parere, chiaramente ed indubbiamente ispirata a principi che, con terminologia moderna, potremmo definire di trasparenza, informazione, correttezza, posti, come è noto, alla base di ampi settori della moderna legislazione relativa alla contrattazione di massa con le imprese16.
Per completare il quadro generale della disciplina concernente gli effetti della preposizione institoria nei confronti dei terzi contraenti resta ancora da considerare un altro testo di Ulpiano 60 ad ed. in D. 5. 1. 19. 3, nel quale viene detto:
Apud Labeonem quaeritur, si homo provincialis servum institorem vendendarum mercium gratia Romae habeat: quod cum eo servo contractum est, ita habendum atque si cum domino contractum sit: quare ibi se debebit defendere.
[In Labeone si pone la questione: se un provinciale abbia uno schiavo come institore a Roma per vendere merci, ciò che si è contratto con quello schiavo va inteso come se si fosse contratto con il padrone, e pertanto quest'ultimo dovrà difendersi lì].
Labeone aveva affrontato la questione del luogo dove esercitare l'azione institoria, nel caso in cui il preponente fosse un provinciale che aveva uno schiavo institore a Roma incaricato di gestire un'impresa commerciale di vendita di merci (Apud Labeonem - Romae habeat). La soluzione avanzata era stata quella di considerare come concluso con il preponente il contratto posto in essere con l'institore (quod cum eo servo - cum domino contractum sit), con la conseguenza che l'azione si poteva intentare a Roma e lì il preponente stesso doveva assumere la propria difesa (quare ibi se debebit defendere). Che l'azione a disposizione dei terzi fosse l'actio empti institoria17 non sembra dubbio proprio per l'esistenza di un institore preposto alla gestione dell'impresa di vendita di merci.
La soluzione di Labeone, che viene condivisa anche da Ulpiano, esprime la regola per cui questa azione era intentata nel luogo di esercizio dell'impresa, salvo che si fosse diversamente pattuito. Ed il ragionamento che ne è alla base è quello di equiparare, nei contratti con i terzi inerenti all'oggetto dell'impresa, schiavo institore e padrone preponente, riconoscendosi quindi nel primo la qualità di un vero e proprio rappresentante diretto del secondo. La regola valeva a prescindere dallo status dell'institore e per qualunque tipo di impresa: nello stesso frammento, infatti, Ulpiano la applica per la gestione di attività commerciali, banche, magazzini, fondaci ed officine18. Solo qualora il contraente lo avesse preferito, avrebbe potuto rivolgersi contro l'imprenditore dove questi risiedeva19.
Sotto il profilo che maggiormente qui interessa, l'interpretazione giurisprudenziale, almeno a partire da Labeone, dimostra pertanto di rivelare una palese sensibilità per le esigenze di tutela dei terzi contraenti con i gestori delle imprese (a prescindere dagli schemi organizzativi): costoro, infatti, per far valere i propri diritti, ad eccezione che se avessero convenuto altrimenti, chiamavano in giudizio l'imprenditore dove l'impresa era condotta e non dove questi aveva la propria residenza, quando non vi era coincidenza fra le due località, senza perciò essere costretti ad eventuali complicati e costosi spostamenti ai fini del processo.
4. Applicazioni dell'actio exercitoria
Nel II secolo a.C., in un lasso di tempo probabilmente di poco anteriore all'actio institoria, fu introdotta dal pretore l'actio exercitoria, applicabile alla sola impresa di navigazione marittima o fluviale, per far valere una responsabilità senza limiti (in solidum) dell'armatore (exercitor navis) da parte di quanti, avendo contrattato con il comandante della nave (magister navis) nell'ambito delle attività cui era stato preposto, vedevano poi i propri crediti rimanere insoddisfatti20.
Anche in riferimento all'introduzione di tale azione si possono cogliere quelle motivazioni di riequilibrio della posizione (e consequenzialmente della tutela) dei contraenti con chi gestisce un'impresa, che abbiamo visto nel capitolo precedente per l'azione institoria. Esse vengono sottolineate, in primo luogo, in Gaio Inst. 4.71 allorché afferma:
...cum enim ea quoque res ex voluntate patris dominive contrahi videatur, aequissimum esse visum est in solidum actionem dari
[... infatti, poiché anche questa attività contrattuale si considera conclusa per volontà del padre o del padrone, è sembrato che fosse molto equo che si desse l'azione per l'intero].
L'azione comportava una responsabilità per l'intero dell'armatore titolare della potestà, perché i contraenti con il comandante della nave entravano in rapporti con lui in base ad un'autorizzazione (la voluntas appunto) dell'armatore stesso e tale regime era apparso al pretore come pienamente consono al criterio dell'equità (aequissimum esse), nel senso che si è osservato in precedenza (§ 2).
Allo stesso criterio si richiama pure Ulpiano, 28 ad ed. in D. 14.1.1 pr., il quale, nel suo elogio delle finalità dell'editto (la c.d. laudatio edicti) contenente questa azione, dice:
Utilitatem huius edicti patere nemo est qui ignoret. Nam cum interdum ignari, cuius sint condicionis vel quales, cum magistris propter navigandi necessitatem contrahamus, aequum fuit eum, qui magistrum navi imposuit, teneri, ut tenetur, qui institorem tabernae vel negotio praeposuit, cum sit maior necessitas contrahendi cum magistro quam institore ...
[Non vi è nessuno che ignori che è evidente l'utilità di questo editto. Infatti, poiché a volte concludiamo contratti con i comandanti per la necessità di navigare, ignari di quale condizione siano o di chi siano, è stato equo che sia tenuto colui che ha messo a capo della nave un comandante, come è tenuto chi ha preposto un institore ad un locale commerciale o ad un'attività imprenditoriale, essendo maggiore la necessità di concludere un contratto con il comandante che con l'institore ...].
Per il giurista appare evidente l'utilità dell'intervento pretorio (Utilitatem - qui ignoret): era sembrato, infatti, equo che quanti avessero concluso, per necessità di navigare, un contratto con un comandante di nave (magister navis) potessero chiamare a rispondere chi l'aveva preposto, trovandosi a volte nell'impossibilità di accertarsi dello status e della condizione del comandante stesso (Nam cum interdum - teneri). E la responsabilità dell'armatore era equivalente a quella del preponente di un institore ad un'attività imprenditoriale commerciale, pur essendovi in genere maggiore necessità di compiere un contratto con il comandante di una nave che con un institore (ut tenetur - quam institore) 21.
Questo tipo di impresa nelle fonti giuridiche si trova normalmente qualificato come exercere navem22o come exercitio navis23, mentre all'equipaggiamento della nave o delle navi per lo svolgimento dell'impresa si fa riferimento con espressioni quali armare vel instruere navem (D. 14.1.1.8) o solamente instruere navem (D. 4.9.7.4; D. 14.2.6; D. 42.5.26), che implicano la preparazione di quanto è necessario per la navigazione, compreso anche l'arruolamento di marinai24. Il titolare dell'impresa, l'exercitor navis (armatore) - un termine che aveva sostituito, probabilmente nel I secolo a.C., quello più antico di nauta - poteva essere il proprietario delle navi che venivano utilizzate oppure il conduttore delle stesse, a lui comunque pervenivano tutti i profitti derivanti dalla loro attività25.
Meno ricche rispetto alla preposizione institoria sono le informazioni provenienti dai commentari dei giuristi all'editto de exercitoria actione circa il contenuto ed i requisiti di conoscibilità da parte dei terzi della preposizione del magister navis. La loro preoccupazione, allo stato attuale delle nostre conoscenza, appare più quella di sottolineare la funzione della praepositio del magister, al fine di determinarne i poteri e di fissare conseguentemente la responsabilità dell'armatore.
Significativo è il testo di Ulpiano, 28 ad ed. in D. 14. 1. 1. 7:
Non autem ex omni causa praetor dat in exercitorem actionem, sed eius rei nomine, cui ibi praepositus fuerit, id est si in eam rem praepositus sit, ut puta si ad onus vehendum locatum sit aut aliquas res emerit utiles naviganti vel si quid reficiendae navis causa contractum vel impensum est vel si quid nautae operarum nomine petent.
[Però non per ogni causa il pretore dà l'azione contro l'armatore, ma a titolo di quell'attività alla quale era stato lì preposto , cioè se sia stato preposto a quell'attività: ad esempio, se si sia conclusa una locazione per trasportare un carico oppure abbia comprato alcune cose utili per chi naviga oppure se si è concluso un contratto o speso qualcosa per riparare la nave oppure se i marinai chiederanno qualcosa per la loro attività lavorativa].
Come si vede, il giurista qui ricollega la legittimazione passiva dell'exercitor alla conclusione, da parte del magister, di contratti connessi all'esercizio dell'impresa di navigazione cui era stato preposto (non autem ex omni causa - in eam rem praepositus sit)26, portando come esempi il trasporto di merci (si ad onus vehendum locatum sit), la compravendita di cose utili per la navigazione (si ...aliquas res emerit utiles naviganti), il mutuo per riparare la nave (si quid reficiendae navis causa contractum ... est), oppure il contratto di lavoro per l'attività dei marinai (si quid nautae operarum nomine petent). Risalta in tal modo l'importanza non solo del contenuto dei poteri conferiti al comandante della nave nella preposizione, ma anche della pubblicità che di essa si doveva dare per poter poi, eventualmente, far valere la responsabilità dell'armatore.
Come per l'institoria, anche per l'actio exercitoria la dottrina prevalente ritiene che il testo edittale non prevedesse nulla in ordine alla pubblicità della preposizione del magister27, dovendosi al solo lavoro giurisprudenziale l'elaborazione di alcune regole.
Diversamente invece dalla minuziosa disciplina analizzata nel § 2 per la preposizione institoria, l'unico dato testuale relativo al conferimento dei poteri di gestione al magister navis è quello riportato in apertura a D. 14. 1. 1. 12 da Ulpiano, 28 ad ed., laddove afferma: praepositio certam legem dat contrahentibus [la preposizione dà ai contraenti la certezza delle condizion contrattuali]. Come si vede, si tratta di un principio di carattere generale da intendersi nel senso che la preposizione deve offrire ai terzi contraenti requisiti di certezza circa i poteri del magister stesso e circa eventuali "condizioni generali" da rispettare nella contrattazione con lui. Pur non parlando dei modi nei quali la preposizione doveva essere portata a loro conoscenza, il giurista evidenzia tali esigenze di certezza quando, nel prosieguo del medesimo passo, ci mostra un esempio di come le attribuzioni al preposto si potessero articolare in una ripartizione dei compiti e in una vera e propria precisazione dei tipi di contratto da concludersi con lui e/o delle clausole contrattuali da prevedere in essi:
Quare si eum praeposuit navi ad hoc solum, ut vecturas exigat, non ut locet (quod forte ipse locaverat), non tenebitur exercitor, si magister locaverit: vel si ad locandum tantum, non ad exigendum, idem erit dicendum: aut si ad hoc, ut vectoribus locet, non ut mercibus navem praestet, vel contra, modum egressus non obligabit exercitorem: sed et si ut certis mercibus eam locet, praepositus est, puta legumini, cannabae, ille marmoribus vel alia materia locavit, dicendum erit non teneri. Quaedam enim naves onerariae, quaedam (ut ipsi dicunt) 'epibateghoi' sunt: et plerosque mandare scio, ne vectores recipiant, et sic, ut certa regione et certo mari negotietur, ut ecce sunt naves, quae Brundisium a Cassiopa vel a Dyrrachio vectores traiciunt ad onera inhabiles, item quaedam fluvii capaces ad mare non sufficientes.
[Perciò, se l'armatore ha preposto alla nave per ciò solo, che esiga i noli, ma non concluda locazioni (perché, ad esempio, egli stesso le aveva concluse), non sarà tenuto se il commandante abbia concluso una locazione; oppure se solamente per concludere locazioni e non per esigere , si dovrà dire lo stesso; oppure se a ciò, che concluda locazioni con i viaggiatori e non fornisca la nave per le merci, o viceversa, eccedendo da quanto previsto non obbligherà l'armatore; ma se è stato preposto perché lochi la nave per determinate merci, come, ad esempio, legumi o canapa, ed egli l'ha locata per marmi o per altro materiale, si dovrà dire che non è tenuto. Alcune navi infatti sono onerarie, altre (come gli stessi dicono) passeggeri; e so che molti danno incarico di non ricevere viaggiatori; e così ad esercitare l'impresa in una certa regione o in un certo mare, ad esempio, ci sono navi che trasportano passeggeri a Brindisi da Cassiope o da Durazzo, ma sono inadatte ai carichi, parimenti alcune navi adatte per un fiume ed insufficienti per il mare].
In stretta connessione (quare) con l'affermazione iniziale praepositio certam legem dat contrahentibus, Ulpiano elenca, dapprima, la possibilità di una ripartizione di compiti tra exercitor e magister, in base alla quale quest'ultimo aveva:
a) l'incarico esclusivo di pretendere l'esazione dei noli e tariffe dovuti per i contratti di locazione inerenti alla nave (si eum praeposuit - si magister locaverit);
b) l'incarico esclusivo di concludere contratti di locazione della nave, senza esigere noli e tariffe (vel si ad locandum - idem erit dicendum);
c) e, poi, i tipi di contratto rientranti nella preposizione del magister, e le loro eventuali clausole, come: la conclusione di contratti di trasporto di passeggeri o oppure di merci (aut si ad hoc, ut vectoribus locet - non obligabit exercitorem e quaedam enim naves onerariae - ne vectores recipiant), con l'inserimento, all'interno di questi ultimi, di clausole relative al genere di merci da trasportare (sed et si ut certis mercibus - dicendum erit non teneri);
d) la conclusione di contratti di trasporto di passeggeri o merci aventi ad oggetto una certa tratta marittima o fluviale, con possibilità di limitazioni solo ai primi o alle seconde (et sic, ut certa regione et certo mari negotietur - ad mare non sufficientes).
In ordine ai modi per rendere pubblica la preposizione, l'assenza di notizie specifiche fa pensare che bastasse qualunque forma idonea, tra cui, come acutamente ipotizzato28, un documento rilasciato dall'armatore, che il magister doveva esibire su richiesta dei terzi, oppure, a mio parere, anche affissioni ed avvisi, analoghi a quelli previsti per la preposizione institoria29, da esporre nella nave e/o nella sede o sedi dell'impresa di navigazione situate nei vari porti.
L'inosservanza di questi requisiti di pubblicità, pur nel silenzio delle fonti, doveva generare, proprio in forza del principio praepositio certam legem dat contrahentibus, la responsabilità in solidum dell'exercitor verso i terzi contraenti con il magister per prestazioni oggetto dell'impresa di navigazione, tutte le volte che questi non fossero stati messi in condizione di conoscerne i poteri gestionali, e quindi gli eventuali limiti ad essi imposti dall'armatore stesso.
In tale contesto vanno lette anche le disposizioni relative alla preposizione di una pluralità di magistri, trattate nei successivi §§ 13 e 14 del lungo frammento ulpianeo di D. 14. 1.130. Nel primo si contempla il caso che siano stati preposti senza (non divisis officiis) o con ripartizione di compiti (divisis officiis): nella prima eventualità è previsto che ciascuno possa obbligare l'exercitor per attività concluse nell'ambito della praepositio (quodcumque cum uno gestum erit, obligabit exercitorem), nella seconda, che egli sarà obbligato da ciascun magister nei limiti dei compiti a lui affidati (pro cuiusque officio obligabitur exercitor):
Si plures sint magistri non divisis officiis, quodcumque cum uno gestum erit, obligabit exercitorem: si divisis, ut alter locando, alter exigendo, pro cuiusque officio obligabitur exercitor.
[Se più sono i comandanti senza ripartizione di compiti, qualunque negozio gestito con uno solo obbligherà l'armatore; se ripartiti, ad esempio, uno loca e l'altro esige , l'armatore sarà obbligato in base al compito di ciascuno].
Nel § 14 si considera l'ipotesi, che doveva essere assai comune nella prassi (ut plerumque faciunt - dice il giurista), di preporre più magistri in modo che gestissero congiuntamente l'attività affidatagli (ne alter sine altero quid gerat), per cui, se un terzo contraeva con uno solo, non poteva poi far valere la responsabilità dell'exercitor in caso di inadempimento (qui contraxit cum uno sibi imputavit):
Sed et si sic praeposuit, ut plerumque faciunt, ne alter sine altero quid gerat, qui contraxit cum uno sibi imputabit
[Ma anche se li abbia preposti così, come per lo più fanno, che uno non gestisca nulla senza l'altro, chi ha concluso un contratto con uno solo, lo imputerà a se stesso].
Tale inciso finale qui contraxit cum uno sibi imputabit del § 14 può spiegarsi, a mio avviso, solo presupponendo l'esistenza di debite forme di pubblicità della suddivisione di compiti fra più magisteri nella praepositio, in presenza delle quali il terzo potrà imputare unicamente a se stesso l'inosservanza del suo contenuto.
1 Sull'argomento cfr. in dottrina, per tutti, G. DE. NOVA, Le condizioni generali di contratto in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1995, 111 ss., con ulteriore bibliografia; G. ALPA, Il diritto dei consumatori, Laterza., 2002, 155 ss. Per le esigenze di protezione dei contraenti si rinvia a C.M. BIANCA, Condizioni generali di contratto (tutela dell'aderente) in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, 3, Torino, 1988, 397 ss. con letteratura.
2 Sul concetto di armonizzazione degli ordinamenti giuridici degli Stati aderenti alla Comunità Europea rimando a BENACCHIO, Diritto privato della Comunità Europea, Padova, 2003, 17 ss.
3 Su tale fenomeno e le origini della legislazione a tutela dei consumatori si vedano, tra gli altri, V. ZENO ZENCOVICH, Consumatore (tutela del) I) Diritto civile in Enc. Giur. Treccani, 7, Roma, 1988, con bibliografia; ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., 3 ss., 155 ss., ed ulteriore letteratura.
4 Cfr., ad es., F. SERRAO, Impresa e responsabilità a Roma nell'età commerciale, Pisa, 1989, 3 ss.
5 Su tale denominazione si rinvia a M. MICELI, Sulla struttura formulare delle 'actiones adiecticiae qualitatis', Torino, 2001, 8 ss. (ed ivi nt. 1 le indicazioni bibliografiche) e a P. CERAMI - A. DI PORTO - A. PETRUCCI, Diritto commerciale romano. Profilo storico, Torino, 2004, 41.
6 Cfr., F. SERRAO, L'impresa in Roma antica. Problemi e riflessioni in Impresa e responsabilità a Roma nell'età commerciale, Pisa 1989, 19 s. e, più di recente, CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 42, con confutazione delle opinioni contrarie.
7 Ad esempio, B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979, 160 s.
8 Cfr., per tutti, A. WACKE, Die adjektizischen Klagen im überblick, I, in ZSS, 111, 1994, 280 ss., di cui esiste una sintesi anche in italiano dal titolo Alle origini della rappresentanza diretta: le azioni adiettizie in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall'età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate a F. Gallo 2, Napoli 1997, 583 ss.
9 Sul passo si vedano, di recente, MICELI, Sulla struttura formulare delle 'actiones adiecticiae qualitatis', cit., 190 ss. e CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 46.
10 Cfr. al riguardo F. GALLO, L'officium del pretore nella produzione ed applicazione del diritto. Corso di diritto romano, Torino, 1997, 109 ss.; M. MICELI, Institor e procurator nelle fonti romane dell'età preclassica e classica in IURA, 53, 2002 (edito 2005), 69 s.
11 In dottrina sull'argomento si rinvia, per tutti, a SERRAO, Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime in LO CASCIO (a cura di) Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano. Atti incontri capresi 1997, Bari, 2000, 35 s. e a CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 53.
12 Su natura e carattere della praepositio e le sue differenze con il mandato e la procuratio omnium bonorum cfr., per tutti, M. MICELI, Institor e procurator nelle fonti romane dell'età preclassica e classica, cit., 81ss., con indicazione della principale dottrina precedente.
13 Su questo aspetto mi permetto di rinviare a quanto ho scritto in PETRUCCI, Neque enim decipi debent contrahentes. Appunti sulla tutela dei contraenti con un'impresa nel diritto romano tardo repubblicano e del principato in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Studi in onore di A. Burdese 3, Padova 2003, 93 ss.
14 Per l'accezione del termine mercis dominus, ricorrente in questo passo, nel senso di "imprenditore, proprietario del capitale commerciale" impiegato nella gestione di una azienda commerciale terrestre (taberna instructa) si vedano WACKE, Die adjektizischen Klagen, cit., 331 s. e Alle origini della rappresentanza diretta, cit., 603 s.; CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano cit., 18.
15 Su questo concetto di rischio di impresa cfr. SERRAO, Impresa e responsabilità, cit., 103 ss.
16 Su tali principi cfr., per tutti, ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., 202 ss.; BUONOCORE, Contrattazione d'impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000.
17 Per la cui formula si rinvia, per tutti, a CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 49.
18 Cfr. il § 1 di D. 5.1.19 per le banche (argentariam administrare) ed il § 2 per le aziende commerciali, i magazzini, i fondaci e le officine (tabernam vel officinam conducere; tabernulam pergulam horreum armarium officinam conducere).
19 Cfr. D. 5.1.19.4, che si richiama a Giuliano e a molti altri giuristi (et ita et Iuliano et multis aliis videtur).
20 Per tale azione e lo schema organizzativo dell'impresa di navigazione cui essa si riferisce cfr., tra gli studi più recenti, MICELI, Sulla struttura formulare delle 'actiones adiecticiae qualitatis', cit., e CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 231 ss., con l'indicazione della precedente bibliografia.
21 L'orientamento oggi prevalente è quello favorevole alla genuinità sostanziale di questo passo: cfr. MICELI, Sulla struttura formulare delle 'actiones adiecticiae qualitatis', cit., 188 ss.
22 Cfr., ad es., D. 4.9.1.2 e D.14.1.1.16.
23 Si veda, ad es., D. 14.1.1.20. Su questa terminologia cfr. CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 231.
24 Come si deduce nella parte conclusiva di D. 4.9.7.4, dove si parla di adhibere qualesquales (nautas) ad instruendam navem [adibire qualsiasi tipo di marinaio per equipaggiare la nave].
25 Gai, Inst. 4.71 e D. 14.1.1.15 (Ulp. 28 ad ed.).
26 Cfr. sull'argomento, tra gli studi più recenti, MICELI, Institor e procurator, cit., 81 ss.
27 Cfr. LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung, Leipzig, 1927, 258; MICELI, Sulla struttura formulare delle 'actiones adiecticiae qualitatis', cit., 354 nt. 51.
28 Cfr. al riguardo WACKE, Die adjektizischen Klagen, cit., 306, e Alle origini della responsabilità diretta cit., 594, che riprende una congettura già avanzata a suo tempo da KARLOWA, R?mische Rechtsgeschichte, II, Leipzig 1892, 1124.
29 Così, ad es., MICELI, Sulla struttura formulare delle 'actiones adiecticiae qualitatis', cit., 193, nt. 12, la quale (202 nt. 31), pensa anche ad un suo inserimento nella documentazione di bordo.
30 Sulla preposizione di più magistri vedasi, di recente, CERAMI - DI PORTO - PETRUCCI, Diritto commerciale romano, cit., 236 s.
Testo della relazione svolta al Primo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d'autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.II, Pechino, 2009.
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