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Mario Talamanca:La compravendita tra effetti obbligatori e trasferimento della proprietà

LA COMPRAVENDITA TRA EFFETTI OBBLIGATORI
                        E
TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETà

MARIO TALAMANCA
Professore di Università di Sapienza

 è dall'antichità classica che nella compravendita, intesa come funzione economico-sociale di scambio, si confrontano due momenti entrambi essenziali, in una società relativamente evoluta, quello del trasferimento della proprietà o dell'altro diritto oggetto della transazione (più o meno condizionato al pagamento del prezzo) e quello del modo in cui i soggetti del futuro trasferimento si obbligano ad uno scambio futuro. E, come terzo aspetto, strettamente collegato al trasferimento ed attraverso di questo all'eventuale momento obbligatorio, il problema più ampio regime della circolazione dei beni e la tutela dell'affidamento dei terzi.
 è noto come, all'infuori del "common law", nei diritti dell'Europa continentale (tutti d'origine romanistica) possano distinguersi al proposito due grandi filoni, che trovano entrambi la loro origine i fonti raccolte nel Corpus Iuris: ed a questi tipi astratti corrispondono poi, in misura maggiore o minore, i concreti sistemi normativi.
 Anche se non riproduce con tutta fedeltà il modello romano (indubbiamente più complesso), il primo è quello legato alla tradizione del diritto romano classico, quello dei prudentes, quella che può dirsi romana in senso stretto, e che è stata formalmente conservata nel diritto giustinianeo (periodo in cui è dubbio fin dove fosse effettivamente in vigore). L'altro si può dire molto vicino a quelle costituzioni giustinianee, e soprattutto a C. 4. 21. 17 (riprodotta in I. 3. 23 pr., in modo da dar luogo a grossi problemi interpretativi).
 Quest'ultimo sistema si basa sul consenso traslativo (a parte i requisiti di forma e quelli di sostanza: come la documentazione del consenso ed il pagamento del prezzo), che produce, nei sistemi moderni, almeno il trasferimento della proprietà fra le parti, e lascia aperto il problema degli effetti obbligatori del contratto. Qualsiasi siano i precedenti storici, nell'Europa del sec. XIX, esso è legato al modello del Code Napoléon.
 
 Nel primo, invece, è prevista la distinzione per adoperare i termini della pandettistica fra titulus e modus adquirendi (distinzione che si applica anche al di fuori della compravendita): si distingue fra il contratto obbligatorio, il contractus 'tout court' per i romani, e l'altra eventuale causa obligationis, che, in quanto adempiute, giustificano il trasferimento, ed il trasferimento della proprietà, che avviene in modo diverso a seconda che si tratti di cose mobili (consegna o surrogati della consegna), e di cose immobili, dove consiste nella registrazione del trasferimento nei registri immobiliari (nel sistema del BGB, la "Eintragung" nel "Grundbuch").

 I due modelli di cui noi avvertiamo la coesistenza nella compilazione giustinianea erano per molti versi collegati a due diverse sistemi di procedere alla formalizzazione giuridica della funzione socio-economica della compravendita, che si erano contrapposti nell'antichità. In questa contrapposizione bisogna tener conto della circostanza che le concezioni romane si sono state formate nell'unica cultura che, nell'antichità, abbia sviluppato una scienza del diritto, mentre in tutte le altre culture l'esperienza giuridica è stata contrassegnata dall'empiria, sul piano del diritto positivo che non va confuso con quello della filosofia o della politica del diritto.
 è nota quella romana, propria del diritto giurisprudenziale classico: da una parte si ha la compravendita, come contratto consensuale, la quale, come tutti i contratti, crea soltanto obbligazioni fra le parti; l'acquisto della cosa avviene soltanto in quanto venga posto in essere uno dei i modi di trasferimento della proprietà, che, usati soprattutto per attuare la funzione socio-economica della compravendita, possono venir impiegati anche ad altri scopi. L'accordo delle parti sullo scambio fra cosa e prezzo funziona, rispetto a tali modi di trasferimento, come giustificazione dell'acquisto, causa adquirendi nella traditio, e causa retinendi nella mancipatio (e nell'in iure cessio), allo stesso modo in cui agiscono le altre cause che sono riconosciute come idonea giustificazione di tale acquisto.
 A questa concezione si contrappone un'altra, diffusa in tutte le culture giuridiche diverse da quella romana, e generalmente identificata, dai romanisti, con il modo di pensare tipico del diritto greco, la cultura giuridica a noi più vicina e, sotto vari profili, intrecciata con quella romana (anche negli esiti finali dell'epoca bizantino).
 Da Atene alla constitutio Antoniniana (ed oltre), il sistema greco e poi ellenistico si basa essenzialmente, per quanto riguarda la disciplina del trasferimento della cosa contro il pagamento del relativo prezzo, su questi punti:
a) la cosa è acquistata dal compratore, che ne abbia pagato il prezzo fissato d'accordo col venditore (a parte la richiesta, ad es., per gli immobili e gli schiavi di ulteriori formalità): agli effetti meramente reali di questa procedura rappresenta un necessario correlato la garenzia per l'evizione della cosa assunta dal venditore;
b) il semplice accordo fra le parti, senza il pagamento del prezzo non produce effetti giuridici, né sul piano dei diritti reali né su quello delle obbligazioni;
c) esistono negozi mediante i quali le parti possono vincolarsi ad effettuare in futuro le prestazioni tipiche della una compravendita.

 Il più diffuso, forse, fra essi è il contratto arrale, l'unico che abbia una struttura abbastanza nettamente delineata. Nella configurazione corrente nell'Egitto greco-romano, recepita più tardi da Giustiniano, esso si conclude mediante il pagamento di un acconto sul prezzo, che il futuro compratore perde se non finisce di pagare il prezzo, rifiuta l'acquisto ed il venditore deve restituire, se rifiuta di ricevere il saldo. Al pari della compravendita obbligatoria romana, il contratto arrale garentisce l'effettuazione di entrambe le prestazioni: più precisamente, assicura l'effettuazione del trasferimento della proprietà contro il pagamento del prezzo, e più precisamente ad obbligare l'acquirente a pagare il prezzo e l'alienante a riceverlo
Al livello della nostra documentazione, gli altri si presentano in modo più frammentario, dovuti alle prassi notarili dei vari luoghi e dagli esiti incerti sul piano della tutela giudiziaria dei diritti. Alcuni servono a garantire l'accreditamento del prezzo, altri permettono di assicurarsi fin d'ora, mediante l'anticipato pagamento del prezzo, l'acquisto della proprietà di una cosa futura, quando questa verrà in essere.
 Le caratteristiche principali di questo modo di pensare sono due. Sul piano formale, dei termini e degli schemi concettuali adoperati, si può osservare come i vari termini che indicano il vendere e il comperare siano usati soltanto per designare l'atto mediante il quale, col pagamento del prezzo, si acquista la proprietà della cosa.
 Sul piano sostanziale, invece, in tutti questi atti non rileva, in linea di massima, il semplice consenso, il solo accordo delle parti, sia per quanto riguarda l'acquisto della proprietà della cosa, che avviene soltanto mediante il trasferimento del prezzo; sia per gli atti che tendono a vincolare le parti rispetto ad un trasferimento futuro, dove, nel contratto arrale, tale vincolo si crea soltanto mediante il trasferimento di un anticipo sul prezzo.

 La contrapposizione dianzi fatta si svolgeva schemi concettuali, era sotto un certo profilo astratta, soprattutto per quanto concerne il modello romano, di cui vanno specificate alcune particolarità, le quali possono comprendersi nella sua storia.
 Alle origini, infatti, a Roma la regolamentazione degli scambi era, alle origini, regolate in modo sostanzialmente non differente da quello che accadeva nelle altre civiltà del Mediterraneo. Noi siamo soprattutto informati per quanto concerne gli scambi delle cose che, nell'antica economia rurale avevano, come i principali mezzi di produzione, una posizione particolare, le res mancipi, e per cui era prevista la forma della mancipatio, che sorge con la prima forma di moneta (l'aes rude). Essa è la formalizzazione di uno scambio fra cosa ed il suo equivalente in denaro, in cui il pagamento del prezzo ha ancora una funzione centrale (anche se le formalità del rito presuppongono la presenza almeno della cosa mobile), e da cui sorge automaticamente la garanzia contro l'evizione nella forma dell'obligatio auctoritatis. La mancipatio si perpetua, nei periodi successivi, come modo astratto di trasmissione della proprietà di tali cose, in cui anche se avveniva venditionis causa non era più necessario l'effettivo pagamento del prezzo, sostituito dall'attestazione formale di tale pagamento allusivamente contenuta nel formulario.
 Per le res nec mancipi funzionava, come modo informale di trasmissione della cosa, la traditio. Nella tarda repubblica non v'è traccia della necessità del pagamento del prezzo per il trasferimento della proprietà e dalla semplice trasmissione della cosa non sorgeva, nel caso avvenisse a scopo di compravendita, la garenzia contro l'evizione. Entrambi questi aspetti erano lasciati all'autonomia delle parti: erano, rispettivamente, il venditore ed il compratore che dovevano, verificandosene le condizioni, cautelarsi al proposito.
 
 Non abbiamo notizie, per il periodo risalente, di negozi volti ad assicurare lo scambio della cosa contro il pagamento del prezzo. Non può seguirsi una certa tendenza che fa risalire ad epoca molto antica la compravendita consensuale obbligatoria, introdotta fra il III ed il II sec. a.C. Poteva, senz'altro, usarsi la stipulatio ( come contratto verbale ed astratto ( per dilazionare il pagamento del prezzo più che la consegna differita della cosa, mentre è soltanto un'ipotesi, per quanto molto plausibile, che si potessero ottenere effetti che rimpiazzassero, in forma diversa, quelli del contratto consensuale mediante uno scambio di reciproche stipulazioni fra acquirente ed alienante.
 Questo è il quadro in cui va ad inserirsi la compravendita consensuale obbligatoria, producendo una serie di reciproche reazioni nelle due direzioni, soprattutto delle quali vorrei qui occuparmi. dato che non è questa la sede per insistere sulle varie ipotesi relative all'origine dell'emptio venditio classica come obligatio consensu contracta. Secondo un'opinione ampiamente diffusa, e che continua ad apparirmi la migliore, la compravendita consensuale obbligatoria nacque, come figura giuridicamente rilevante, nella iurisdictio del praetor peregrinus (esempio non isolato fra i negozi tutelati da iudicia bonae fidei), nel periodo tra la fin e del III e gli inizi del II sec. a.C., e si venne più o meno rapidamente diffondendo anche fra i cittadini romani, in concorrenza come mi sembra mostrino soprattutto i formulari di Catone il censore con gli altri pregressi modi di assicurare lo scambio fra la cosa ed il prezzo.

 Nel periodo suddetto, in cui si assiste altresì all'iniziarsi della scienza giuridica romana contemporaneo all'affacciarsi ed al rapido prevalere della giurisprudenza laica, il sistema della trasmissione della proprietà s'incentrava sulla mancipatio (cui, nei limiti in cui è necessario, si può analogare l'in iure cessio, scarsamente adoperata al di fuori dei diritti reali parziari) e sulla traditio. Queste figure stavano assumendo, nella consapevolezza dei prudentes laici, la disciplina che sarebbe stata loro propria nel periodo classico. La mancipatio come atto astratto e la traditio come negozio causale di trasferimento della proprietà.
 Come si è già detto, ciò comportava un diverso funzionamento della causa: come causa retinendi, nella mancipatio, quando si venne affermando sul modello della condictio indebiti la ripetibilità di quanto trasferito in caso di assenza di causa; come causa tradendi (nel senso di requisito necessario per gli effetti traslativi del negozio) nella traditio.
 Le causae (tradendi e retinendi), più o meno numerose che fossero, erano indipendenti dalle causae obligationis, nel senso che con l'unica eccezione del mutuo informale (per cui è discussa la data in cui cominciò a funzionare come causa obligationis) l'accordo sulle stesse non funzionava come autonoma causa obbligatoria: il che rimase vero fino all'introduzione dell'emptio venditio obbligatoria, la quale, anche nel periodo classico, costituì l'altra eccezione, che dava luogo a problemi molto più complessi di quanto non avvenisse col caso già accennato del mutuo.
 
 L'autonomia delle causae tradendi e retinendi, oggetto del mero accordo delle parti che accompagna l'atto a struttura reale, fa sì che alle parti sia lasciata una libertà relativamente ampia nel configurarle: sicuramente molto più ampia di quella che esse non avrebbero mai avuto, nell'intero arco dell'esperienza romana, nella configurazione di accordi vincolanti come contratti.
 Questa libertà era probabilmente connessa anche con la circostanza che, per quanto concerne la mancipatio (e l'in iure cessio), negozi astratti, la proprietà si trasferiva sulla basa della solo volontà delle parti diretta all'effettuazione dell'atto ed era difficile configurare l'assenza di una causa retinendi soltanto sulla base della circostanza che l'assetto d'interessi concordato dalle parti risultasse, agli occhi dei giuristi, non meritevole di particolare tutela. E la disciplina della causa retinendi, nella mancipatio, non poteva non influire anche su quella della causa tradendi nella traditio. E qui, a dir il vero, sembra si andasse anche oltre, tenendo presente quanto si sa per il periodo classico, in cui il regime della condictio ob turpem causam mostra come la causa turpis continuasse in generale a funzionare come causa tradendi, ma anche come causa retinendi, ove vi fosse turpitudo ex utraque parte.
 D'altro canto, il regime della causae tradendi e retinendi s'intreccia con quello della natura dell'adempimento nelle obbligazioni di dare, che nel diritto più antico sino alla metà, se non alla fine, del III sec. a.C. potevano sorgere, nell'ambito degli atti leciti, solo dal legatum per damnationem, dalla stipulatio (e dalle altre forme di verborum obligationes, d'importanza limitata) e, eventualmente. dall'expensilatio, la cui datazione non è sicura, ma difficilmente risale al periodo anteriore al 250 a.C.
 A questo punto, bisogna tener presente come, nell'esperienza romana, l'adempimento delle obbligazioni di dare intese in senso tecnico come obbligazioni di trasferire la proprietà della cosa configuri sempre un atto giuridico, la solutio: ciò su cui, in misura non facilmente accertabile, deve aver esercitato il suo influsso la disciplina e la natura della solutio per aes et libram e, ma qui le opinioni possono variare, dell'acceptilatio verbale. Al di fuori del caso della compravendita, su cui tornerò immediatamente appresso, ciò comporta che il negozio da cui sorge l'obbligazione di dare, qualsiasi ne sia la struttura, abbia mai funzionato, nell'esperienza romana, come causa tradendi: la causa tradendi è la solutio in sé considerata, indipendentemente dall'esistenza dell'obbligazioni da adempiere, la quale fa unicamente sì che la causa solvendi adempia anche alla funzione di causa retinendi.
 Si mostra in tal modo una differenza che quegli ordinamenti moderni, che mantengono la differenza fra titulus e modus adquirendi, in cui, l'accordo sulla causa del trasferimento, che e si tratta di un'altra differenza col sistema romano da un lato configura di per sé un negozio obbligatorio in base al principio della libertà delle parti nel determinare il contenuto del contratto, funziona altresì direttamente come causa dell'acquisto, senza la mediazione della figura intermedia della solutio.
 Ma anche qui la detta disciplina degli ordinamenti moderni non è senza riscontro nell'esperienza romana, ché, almeno parzialmente, essa ricalca il modo in cui avveniva il trasferimento della proprietà della cosa venduta, che aveva, si è già accennato, una posizione particolare.
 
 Si è già detto dei modi di tale trasferimento nel periodo arcaico, sui quali venne ad innestarsi la compravendita consensuale, ma il rapporto tra queste due figure non risulta del tutto armonico. Nella vendita-trasferimento, per chiamarla così, il risultato era per il compratore l'acquisto della proprietà della cosa, non verificandosi il quale si aveva la responsabilità del venditore per l'evizione, che conseguiva automaticamente all'effettuazione della mancipatio od era assunta mediante una stipulatio, risultando un accidentale negotii, se vogliamo definirlo così, rispetto alla traditio venditionis causa.
 Nell'emptio venditio consensuale ed obbligatoria, mentre nell'adempiere l'obbligazione di pretium solvere il compratore era obbligato a trasmettere la proprietà dei nummi, il venditore doveva soltanto tradere possessionem (oltre che garentire per l'evizione), e non era quindi obbligato a trasferire la proprietà della res vendita (salvo che in rarissimi casi, dove, però, tale obbligo rilevava più del purgari dolo malo) ed almeno i proculiani escludevano altresì che potesse assumere l'obbligazione di rem dare, di trasferire la proprietà della cosa, mediante un patto aggiunto.
 Il problema dell'origine di questa regola crea grosse difficoltà all'interprete: finché non sia stata presentata una soluzione migliore, penso sia difficile scostarsi da quella tradizionalmente accolta che collega tale aspetto con l'origine della compravendita consensuale e obbligatoria con la protezione delle transazioni nei traffici internazionali, e quindi con la iurisdictio peregrina. Ma, nell'ambito di tale connessione, non è sicuro in quale direzione si debba volgere l'attenzione: indubbiamente la mancipatio non era utilizzabile nei rapporti con gli stranieri che non fruivano del ius commercii, ma non è possibile considerar loro preclusa la possibilità di effettuare una traditio.
 Il profilo rilevante va probabilmente trovato nell'impossibilità che i contraenti romani trasmettessero agli stranieri il dominium ex iure Quiritium e lo acquistassero dallo straniero in quanto venditore (benché su quest'ultimo aspetto vi sarebbe molto da discutere): il venditore deve mettere a disposizione del compratore la cosa, ma non può trasmettere per l'incomunicabilità dei sistemi giuridici il diritto che aveva su di essa in base al proprio ordinamento.
 I problemi non sorsero tanto, quando si andò al di là di una prassi giudiziaria guidata dall'empiria e la giurisprudenza si trovò a riflettere sulla compravendita consensuale ed obbligatoria e, dal nostro punto di vista, sull'adempimento dell'obbligazione del venditore. Per quanto riguarda il compratore non v'erano problemi: egli era tenuto a nummos accipientis facere, la sua obbligazione era di dare e veniva adempiuta mediante una solutio. Ma, per il venditore tenuto a tradere possessionem, non a dare rem, l'adempimento non era una solutio e all'infuori del caso in cui si fosse eseguita una mancipatio per una res mancipi per giustificare l'acquisto del possesso e della proprietà (civile o bonitaria) in testa all'accipiente non ci si poteva rifare alla solutio stessa.
 Noi non sappiamo in che modo si sia arrivati alla soluzione che risulta adottata nella giurisprudenza tardo-repubblica e che continua in quella classica: il compratore acquista possesso proprietà della cosa venduta in quanto l'alienante gliela ha trasferita non per adempiere alla sua obbligazione di tradere possessionem, ma in quanto venditore, onde il compratore acquistava e possedeva pro emptore e non pro soluto. Non è possibile sapere fin dove gli antichio prudentes ne fossero consapevoli, ma l'esecuzione della compravendita obbligatoria da parte del venditore manteneva la sua antica struttura di compravendita ad effetti reali, se la si osserva dal punto di vista dell'acquisto della proprietà.
 
 Ciò trova corrispondenza nella disciplina della garenzia contro l'evizione. Si è già detto come tale garenzia fosse un necessario correlato della compravendita con effetti soltanto reali, almeno sul piano dell'equilibrio delle parti sul piano socio-economico. Essa non sarebbe invece necessaria in un sistema che prevedesse l'obbligazione del venditore a trasferire la proprietà della cosa (quindi, un'obbligazione di risultato). Si avrebbe, in questo caso, una situazione analoga a quella della stipulatio, dove, per l'appunto, i romani non conoscevano (né lo potevano), a carico dello stipulante, l'obbligazione di ob evictionem se obligare, proprio perché il promittente era tenuto a trasferire la proprietà della cosa.
 Il venditore romano era obbligato, però, a procurare al compratore soltanto l'habere licere e ciò rendeva anche qui necessario ( sul piano dell'equilibrio delle parti dal punto di visto socio-economico ( assicurare la continuazione dell'habere licere. Ma com'è noto, e risulta ancora alla fine dell'epoca classica, la garenzia contro l'evizione non nasceva direttamente dalla compravendita, perché, come dice ancora Paolo, il venditore era doveva ob evictionem se obligare, vale a dire assumersi tale garenzia in uno dei modi in cui veniva, convenzionalmente, assunta nelle vendite ad effetti meramente reali, mediante i vari tipi di stipulazioni di garenzia.
 Il compratore aveva azione non per ottenere il risarcimento del danno derivante dall'evizione, ma perché il venditore si assumesse la garenzia e non poteva più esperirla dopo che fosse avvenuta l'evizione stessa. Benché venga da un giurista della fine dell'epoca classica, l'affermazione di Paolo rispecchia il regime dell'epoca repubblicana, che è continuato almeno fino a Giavoleno: nel periodo tardo-classico, dunque, si poteva agire direttamente con l'actio empti in funzione di garenzia, e quindi anche dopo avvenuta l'evizione, restando però sempre possibile se non doveroso esperirla prima dell'evizione stessa per ottenere dal venditore che prestasse la garenzia stipulatoria.
 Se si guarda alla struttura originaria della compravendita consensuale ed obbligatoria da questo angolo di visuale, si vede che essa assume forse una connotazione un po' diversa da quella che tendenzialmente risulta dalla letteratura romanistica, molto più connessa con la vendita ad effetti esclusivamente reali. Le parti di un'emptio venditio come obligatio consensu contracta s'impegnano, infatti, reciprocamente a porre in essere una futura vendita ad effetti reali, che mantiene rispetto al contratto obbligatoria la propria autonomia. Espressa questa situazione in termini moderni, siamo più vicini ad un contratto preliminare di compravendita che ad una compravendita obbligatoria, mediante l'adempimento della quale si realizza il trasferimento della proprietà della cosa contro il pagamento del prezzo.
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 Sotto un diverso profilo, bisogna tener presente che per usare una felice espressione di Vincenzo Arangio-Ruiz, il mio indimenticabile maestro la compravendita consensuale che produce effetti soltanto obbligatori era solo una forma-limite, nel senso che non era frequente il distacco cronologico fra l'assunzione delle obbligazioni ad opera delle parti e l'esecuzione delle stesse. Anche a lasciare da parte i casi in cui si differiva l'esecuzione di una soltanto delle obbligazioni (in prevalenza con l'accreditamento del prezzo), avveniva molto spesso che si avesse lo scambio fra la cosa ed il prezzo, senza che vi fosse stato un precedente momento in cui le parti fossero soltanto obbligate ad effettuare le loro prestazioni. Avvenuto, però, lo scambio, i giuristi romano identificavano nell'accordo che lo sottendeva un'emptio venditio consensuale che era stata, per una parte più o meno ampia del suo contenuto, già eseguita dai contraenti, ma che continuava ad esplicare i suoi residui effetti, ad es., per quanto riguarda la mancata prestazione della garenzia per l'evizione, la responsabilità per il dolus in contrahendo di una delle parti, gli effetti di una eventuale clausola risolutiva).
 In sostanza, in questi casi, il regime del contratto obbligatorio era applicato ad una compravendita che le parti avevano inteso come meramente traslativa e ne completava la disciplina per quelle parti per cui le parti non avevano provveduto. Resta, a questo riguardo, insolubile il problema se i contraenti potessero escludere gli effetti obbligatori, per attenersi a quelli soltanto traslativi, ma non risulta dalle fonti che ai giuristi ed alla cancelleria imperiale si fosse mai posto un tale problema.

 Nel modo che si è dianzi accennato, la disciplina della compravendita obbligatoria assumeva, in un gran numero di casi, un ruolo che si potrebbe dire subordinato rispetto ad un assetto d'interessi, con cui le parti avevano regolato, in linea principale, il trasferimento della proprietà della cosa venduta e, eventualmente, la garenzia contro l'evizione.
 Per quanto sappiamo dalle opere dei giuristi e dagli interventi della cancelleria imperiale, ciò non aveva, però, toccato il sistema dei modi di trasmissione della proprietà, rimasto ancorati alle vecchie forme della traditio per le res nec mancipi e della mancipatio (e, eventualmente, dell'in iure cessio) per le res mancipi, almeno in Italia (e, per quanto possiamo sapere, alle province occidentali, di cultura prevalentemente latina per quanto riguarda le classi socialmente ed economicamente dominanti).
 Qui il cambiamento cominciò a manifestarsi, già prima della constitutio Antoniniana, nelle province orientali, dove Roma aveva ereditato, ed in parte sviluppato, un sistema di pubblicità dei trasferimenti fondato su registri immobiliari: per ottenere l'iscrizione dell'acquisto della proprietà di fondi provinciali in tali registri era, in linea di massima, necessario esibire un titolo di acquisto, che, nel caso della vendita, era rappresentato da un contratto di compravendita di stile ellenistico, fondato sull'accordo delle parti ed il pagamento del prezzo, ma la documentazione richiesta non comprendeva mai, anche per gli altri titoli di acquisto, l'attestazione dell'avvenuta traditio.
 
 A siffatto regime di pubblicità che rilevava dal c.d. diritto provinciale erano soggetti tutti coloro che abitavano od avevano comunque interessi in una determinata provincia, ivi compresi i cittadini romani residenti, onde il sistema dell'acquisto della proprietà sulla base di un contratto di compravendita di tipo traslativo e dell'iscrizione di tale contratto nei registri immobiliari si venne estendendo anche ai rapporti fra cives. Esso pervenne così, nel I e nel II sec. d.C., alla conoscenza di alcuni giuristi (Proculo e Cervidio Scevola), mentre, nelle Institutiones, Gaio sembra ancora legato nonostante la familiarità che egli sembra avere con le province orientali ad un sistema del trasferimento della proprietà dei fondi provinciali fondato sulla traditio, che può ben essere stato quello delle province occidentali, dove, pur in presenza di catasti di natura fiscale, non risultano presenti registri immobiliari quali s'incontrano, ad es., in Egitto.
 Sulla base dei soli due passi a nostra disposizione (assai scarsi di dettagli), noi non sappiamo come i giuristi regolassero la disciplina del trasferimento della proprietà fondiaria operato mediante l'iscrizione nei registri immobiliari fondata su una compravendita traslativa di tipo ellenistico sembrerebbe quasi che essi configurassero tale iscrizione, la transcriptio, come una formalità che si sostituiva alla traditio in una disciplina che complessivamente continuava ad essere articolata sulla distinzione fra titulus e modus adquirendi e sull'efficacia meramente obbligatoria del contratto. Da questa parte non veniva ancora una forte spinta verso l'acquisto della proprietà sulla base del semplice accordo, perché ad una formalità di tipo materiale, come la traditio, se ne sostituiva un'altra, l'iscrizione nei registri immobiliari con valore costitutivo.
 D'altra parte, è noto che non v'era al proposito una uniformità di regime tra le varie province, né dal punto di vista dei registri immobiliari in senso stretto, né per quanto concerne i registri censitari o catastali (i quali ultimi non avevano un'immediata rilevanza ai fini dell'accertamento della titolarità dei fondi ed al regime di circolazione degli stessi, bensì, in certi determinati limiti, ne dipendevano): è noto, d'altronde, che, nel diritto provinciale, i romani immisero ampiamente istituti risalenti alla precedente organizzazione pubblicistica dei territori ridotti a province.
 Mentre i registri catastali, collegati al più generale fenomeno del census come fondamento dell'imposizione tributaria (il quale riguardava anche la proprietà mobiliare e le persone libere), sembrano avere, nei libri de censibus degli ultimi giuristi classici, una configurazione abbastanza uniforme, sia in Oriente che in occidente, registri immobiliari emergono soltanto in Oriente e, quasi esclusivamente, in Egitto (ma ciò dipende dall'assoluta preminenza della documentazione proveniente da tale provincia), il che impedisce di fissare, con qualche sicurezza, punti in comune ed aspetti di variabilità nel regime di tali registri, che, sino a prova contraria, sono però condizionati dalla disciplina della vendita immobiliare della tarda(koiné' giuridica ellenistica.

 Dopo la constitutio Antoniniana, durante tutto il periodo epiclassico, anche dopo la scomparsa della giurisprudenza classica, la cancelleria imperiale continuò ad affermare, per tutto il III sec. d.C., i principi romani in materia di trasferimento di proprietà e di compravendita, senza che emerga una particolare influenza delle forme che aveva assunto, nelle province, il trasferimento della proprietà fondiaria. In effetti, ma non si trovano più, nel Corpus Iuris, accenni a registri immobiliari fino a Diocleziano, in cui v'è ancora un preciso accenno ad una transcriptio acquisitiva. Ancora una volta è molto probabile una connessione con le province ellenizzate, dato che Diocleziano aveva il diretto controllo di tali province ed il nome dell'istante è greco.
 
 Dalle fonti documentali, però, risulta che tali registri erano in grande decadenza per quanto riguarda l'Egitto, e non ne è stata sufficientemente indagata la sorte nel tardo antico, dove le testimonianze delle fonti non appaiono, a prima vista, univoche sul significato di transcriptio e di transcribere. Sempre in Egitto, anche dopo la constitutio Antoniniana, pur nel mutamento delle forme esterne (ivi compresa la clausola stipulatoria), non cambiano però i tratti essenziali dei contratti scritti di compravendita, che, fondati sempre sul consenso delle patti ed il pagamento del prezzo, continuava a riflettere una concezione traslativa e non obbligatoria di questo negozio.
 Sia in Oriente che in Occidente, si nota, in questo periodo, una tendenza che alla pari dei registri immobiliari non riguarda soltanto i trasferimenti a scopo di compravendita, ma che ha principalmente relazione con questi ultimi, che sono, nella pratica degli scambi, i più frequenti. Indipendentemente dall'esistenza di tali registri, nei documenti di compravendita traslativa e, più in generale, negli atti che trasferiscono la proprietà soprattutto immobiliare emerge, al livello della prassi negoziale che si riflette poi anche nella legislazione imperiale, una decadenza del ruolo della traditio.
 Di essa si fa puramente e semplicemente a meno (com'è più che altro evidente nella prassi orientale, dove ai modi di pensare della koiné' giuridica ellenistica era del tutto estranea la rilevanza, a questo riguardo, del trasferimento della disponibilità della cosa); ad essa vengono sostituite formalità che riguardano la pubblicità' degli atti più che del trasferimento del possesso; di essa rimangono tracce al livello simbolico, come nella traditio chartae o vi viene sostituita una sorta di finzione formale come un constitutum possessorrium, di cui era limitata a pochi giorni l'efficacia.
 D'altro lato, diventa sempre meno rilevante, nella pratica, la funzione dell'emptio venditio obbligatoria quale modo di assicurare, nel futuro, lo scambio delle prestazioni fra compratore e venditore (o, eventualmente, di una di esse): non è che ad essa si sostituiscano altre forme (si nota, ad es., la diminuita frequenza del contratto arrale), ma sono le mutate condizioni economico-sociali a render relativamente rare le occasioni dov'è necessario tale accreditamento (e, qui, è come vedremo immediatamente appresso la legislazione giustinianea ad andare contro tendenza).
 La rilevanza giuridica della compravendita consensuale tende, ancora una volta, a spostarsi sul piano degli effetti reali: a parte la questione degli eventuali effetti obbligatori, essa tende a divenire come nel periodo arcaico un semplice titulus adquirendi. D'altra parte, lo è già visto, essa non aveva mai perso tale funzione, perché l'acquirente acquista od usucapisce pro emptore, non pro soluto.
 
 Non si perdono, però, in questo travaglio postclassico, gli effetti obbligatori della compravendita. Ciò avviene soprattutto nella dottrina delle scuole, col passare del tempo soprattutto di quelle orientali. Si tratta qui di un fenomeno che per quanto riguarda la forma-limite' della compravendita meramente consensuale e soltanto obbligatoria ( non corrispondeva a marcate necessità della pratica, ma era veicolata dalle forme dell'insegnamento, che avveniva ( oltre che al livello istituzionale sui grandi commentari ad Sabinum e ad edictum, nonché sulle opere della casistica pratica e teorico-pratica, da parte di professori, i quali, se sono in qualche modo i successori dei prudentes classici, non ne ereditano la funzione di iuris conditores, perché si riducono ad essere soltanto gli esegeti dei testi del ius controversum, all'interno del quale essi non risultano legittimati ad inserire nuove sententiae.
 Pur senza averne troppe tangibili prove, quando sul piano pratico se ne fosse riscontrato il bisogno, si può senz'altro immaginare che fosse continuata, anche dopo la fine del periodo epiclassico, la funzione strumentale della compravendita obbligatoria rispetto ad una compravendita traslativa, in cui fosse già avvenuto lo scambio fra le prestazioni. E, per il periodo immediatamente pregiustinianeo, si vedrà attestato, in C. 4. 21. 17. 1, del 528 d.C., alcuni effetti che, senza dubbio, trovano il loro ultimo fondamento nell'antica efficacia vincolante del consenso.

 è proprio nell'epoca di Giustiniano e nella grande compilazione che si può cogliere una sintesi più o meno consapevole delle varie tendenze che, sul punto specifico, si possono intravedere all'opera nel periodo postclassico e che si perpetuano agli inizi del VI sec. d.C.
 è merito di Gian Gualberto Archi di aver additato la necessità di mutare la chiave di lettura dell'opera del grande imperatore a seconda dei diversi contesti presi in considerazione e di avere, nella grandi linee, additato la profonda differenza nell'atteggiamento ed anche nella lingua usata da Giustiniano, a seconda che egli guardasse alla tradizione classica, come nelle Quinquaginta decisiones, o si rivolgesse verso i bisogni del proprio tempo.
 Per quanto riguarda la compravendita nei suoi rapporti col trasferimento della proprietà, noi troviamo entrambi questi atteggiamenti: e ad essi, in I. 3. 23 pr., s'aggiunge un tentativo di sistemazione dei vari aspetti della fenomenologia della compravendita, riportati tutti ad un medesimo genus, quello dell'emptio venditio.
 La duplice valenza della vendita, come fattispecie obbligatoria e come fattispecie traslativa, continua nel diritto della compilazione, e non poteva esser altrimenti, data la risalenza della stessa. Salvo che nel primo periodo di I. 3. 23 pr., Giustiniano non si occupava mai, in prima persona, dell'emptio venditio consensuale ed obbligatoria. Ne eredita qualche problema, come quello della determinazione del prezzo ad opera del terzo, che egli risolve in C. 4. 38. 15. 1, del 530 d.C., ma in termini che mostrano come l'imperatore pensasse non alla compravendita obbligatoria, cui Gaio in Inst. 3. 140 riportava la questione: compravendita obbligatoria che, significativamente, ricompare, quando, in I. 3. 29. 1, l'imperatore parla in prima persona del modo in cui ha risolto il problema qui accennato.
 La tradizione classica dell'emptio venditio consensuale ed obbligatoria è, invece, ampiamente rappresentata dai iura e nei rescritti imperiali sino al termine del regno di Diocleziano, che seguendo anche qui la tradizione classicistica' delle scuole orientali ( Giustiniano ampiamente riporta sia nel Digesto che nel Codice.
 Il primo contatto con la compravendita, l'imperatore lo ebbe, invece, il 1o giugno 528 d.C., data originaria di C. 4. 21. 17, che si colloca fra la const. Haec quae necessario e la Summa rei publicae, rispettivamente del 15 febbraio 528 e 7 aprile 529 d.C., che segnano l'inizio e la fine del lavoro al Novus Codex Iustinianus.
 
 Quale che ne sia il rapporto non immediatamente decifrabile con l'opera di compilazione relativa alla prima edizione del Codice giustinianeo, qui è, invece, la tradizione ellenistica della compravendita traslativa e della sua forma documentale che viene regolata. Senza poter entrare nei dettagli della costituzione, sono qui da sottolineare sopratutto due aspetti: da una parte, sotto il profilo normativo, la completa recezione del modello ellenistico anche per quanto riguarda la forma in cui le parti si possono vincolare all'effettuazione del futuro scambio della cosa contro il prezzo (vale a dire la compravendita traslativa, nella visuale qui seguita). Si tratta del contratto arrale, da sempre collegato nelle concezioni ellenistiche ad una vendita traslativa da effettuarsi in prosieguo di tempo di cui si precisa C. 4. 21. 17. 2: si quae arrhae super facienda emptione che esso avviene in vista di una futura compravendita (traslativa), mentre nella visuale romana le arrhae sono, semmai, date in concomitanza di un'attuale compravendita (obbligatoria), come risulta da Gai. 3. 139.
 D'altra parte, sul piano della storia dei nostri istituti, nel ( 1 della c. 17, si coglie la traccia di possibili effetti prodromici per chiamarli con questo termine piuttosto anodino della fattispecie a formazione progressiva: dopo avere, per il futuro, sancito che non sia permesso, com'è detto nella c. 17 pr., reclamare un qualche diritto (aliquod ius) sulla base della scheda, un primo abbozzo della definitiva redazione del contratto, né da quest'ultima, il mundum stesso non ancora completato con l'impletio e l'absolutio (formalità sulla cui identificazione non v'è accordo in dottrina), l'imperatore concede, nel ( 1, che, per le fattispecie di cui era già iniziato l'iter, valgano al proposito i prisca iura, i quali erano anch'essi di difficile identificazione e, se non coincidevano con gli effetti della compravendita consensuale ed obbligatoria, venivano senz'altro a sostituirli.
 Nella completa la chiusura rispetto alla concezione romana della compravendita obbligatoria, è da notare l'emergere di aspetti obbligatori del contratto di compravendita, ma proprio in relazione a quella vendita per iscritto, che essendo una compravendita traslativa era del tutto estranea alla tradizione romano-classica.
 Questa chiusura viene meno nel tit. de emptione et venditione delle Istituzioni imperiali, e precisamente in I. 3. 23 pr., uno dei passi della compilazione che, nel confronto con C. 4. 21. 17 (e soprattutto col ( 2 di questa costituzione), ha costituito una delle contraddizioni che hanno dato di più da fare agli interpreti dell'età di mezzo ed anche agli storici moderni.
 Dal tempo della mia dissertazione di laurea, fra poco saranno sessant'anni, sono convinto che, almeno per la comprensione del passo in sé considerato, bisogna partire dalla constatazione che la commissione che ha compilato le Istituzioni ha più o meno consapevolmente proceduto, qui, ad un'unificazione sotto la categoria più generale della venditio di tre istituti che appartenevano a due diverse impostazioni, ed erano fra di loro diversi: l'uno risaliva al diritto giurisprudenziale classico, la compravendita consensuale ed obbligatoria; gli altri due erano fra di loro collegati nella cultura giuridica ellenistica, la vendita traslativa, fondata sul pagamento del prezzo (ma nell'impostazione sia del Codice che delle Istituzioni anche sulla redazione di un atto scritto) ed il contratto arrale.
 
 L'operazione era stata, però, meramente sovrastrutturale: non risulta, al livello della compilazione, quali fossero, nella concreta applicazione, i limiti dell'uno e dell'altro istituto, in sé considerati, quali le eventuali specializzazioni dell'uno o dell'altro rispetto a determinati oggetti (ad es., la connessione della vendita traslativa con il trasferimento degli immobili) e, soprattutto, non consta del rapporto fra la normazione astratta del Codice e delle Istituzioni e la concreta prassi sia negoziale sia soprattutto importante dei tribunali.

 Ancora una volta, si deve constatare quanto sia difficile ricostruire in modo oggettivo il diritto giustinianeo', inteso come categoria giuridicamente rilevante per l'epoca del grande imperatore. Resta la possibilità di ricostruire il diritto della compilazione', ma, in tale ricostruzione, l'interprete porta tutta i propri condizionamenti soggettivi ed i bisogni della sua epoca.
 Come è facile vedere, nella grande compilazione, si contiene il materiale su cui si sono modellati i due sistemi che si contrappongono nei sistemi giuridici nell'Europa continentale, ed in cui, in quello del BGB, è adottato il principio, proprio del diritto romano classico, della divisione fra contratto obbligatorio, e modi di acquisto della proprietà. La compravendita si colloca fra i contratti obbligatori e costituisce soltanto, in sé considerata, il titulus nella contrapposizione fra titulus e modus adquirendi. Anzi, il regime romano per cui la causa tradendi' (e retinendi) s'identifica qui con l'accordo sullo scambio è stata assunta a modello generale, essendo scomparsa la rilevanza della solutio che, nell'esperienza romana, mediava fra l'obbligazione di dare e l'acquisto della proprietà mediante l'adempimento di tale obbligazione.
 Nel sistema francese ed italiano, invece, si depositano modelli che risalgono prevalentemente alla prassi, dove il momento traslativo era più strettamente collegato alla prestazione del consenso. Nella prassi, ciò passa più che per il diretto riconoscimento della vendita traslativa attraverso la tendenza ad eliminare l'effettiva traditio soprattutto nelle vendite immobiliari mediante il ricorso a quei surrogati di cui, come ricordavo, buona parte risale già al tardo-antico ed ai primordi del medioevo. La tradizione scientifica era ancora ancorata al sistema dell'obbligazione di consegnare la cosa, ma il tradere possessionem in cui si risolveva l'obbligazione del venditore per i giuristi classici tendeva a confondersi con l'obbligazione di dare rem.
 Le varie stratificazioni storiche sono evidenti nell'art. 1138 del Code Napoléon, dove, da una parte, si riafferma la validità del semplice consenso per la creazione dell'obbligazione di consegnare, che è obbligazione di trasferire la proprietà (l'obligation de livrer la chose est parfaite par le seul consentement des parties contractantes): e qui si nota l'influsso della tradizione giustinianea, dove la traditio è diventata l'unico modo di trasferire la proprietà. D'altra parte, alla semplice creazione dell'obligation de livrer' si ricollega l'effetto della trasmissione della proprietà, anche senza tradition' (elle rend le créancier propriétaire et met la chose à ses risques dès l'instant où elle a d? être livrée, encore que la tradition n'en ait point été faite).
 Dal punto di vista concettuale, la trasmissione della proprietà attraverso l'accordo, che corrisponde alle necessità della prassi, passa attraverso l'obbligazione di trasferirla, attraverso una almeno sottintesa finzione d'adempimento.
 
 Nell'esperienza italiana, ciò si decanta progressivamente nella dottrina (più che nelle codificazioni ottocentesche), e trova la sua definitiva formulazione nell'art. 1376 (nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato).
 Contemporaneamente, la compravendita viene disciplina come contratto ad effetti reali, in cui, ai sensi dell'art. 1476, la principale obbligazione del venditore è quella di consegnare la cosa al compratore, mentre è meramente eventuale quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, in quanto ciò dipende dalla circostanza che l'acquisto non sia è effetto immediato del contratto. In questo sistema, dove sembra sparire il ruolo centrale dell'obbligazione di dare rem, resta un rudere storico l'obbligazione di garantire il compratore dall'evizione(, ricordata accanto a quella di garentire contro l'esistenza della cosa.
 Nel nostro sistema, però, bisogna andare al di là delle apparenze. Il ruolo della compravendita obbligatoria è assunto dal contratto preliminare di vendita, il quale, in base all'art. 2932, dà luogo ad un'obbligazione dell'alienante non a concludere una futura compravendita, bensì a trasferire la proprietà della cosa venduta (ciò a cui si limitano gli effetti della sentenza oggetto dell'azione costitutiva), mentre la controprestazione dell'acquirente risulta già dovuta, tanto che si prevede l'alternativa che essa sia esigibile o meno, e può esser adempiuta od oggetto di un'offerta reale.
 D'altro lato, bisogna ricordare che, fra i civilisti, è discusso se rientri nello schema della compravendita, come contratto tipico regolato dall'art. 1470 e seguenti del codice civile, quella convenzione con cui le parti si obblighino soltanto ad eseguire la prestazione di dare una cosa e di pagare il prezzo (con esplicita esclusione degli effetti reali, ancorché possibili); e, addirittura, se una siffatta convenzione possa avere efficacia come contratto atipico, ai sensi dell'art. 1322 cod.civ.
 Sotto un diverso aspetto, gli effetti traslativi del contratto, sulla base dell'art. 1376, vengono incisivamente ridotti in virtù della tutela dell'affidamento dei terzi e, quindi, sostanzialmente al regime della pubblicità dei trasferimenti, dalla rilevanza dell'acquisto in buona fede possesso della cosa agli effetti della pubblicità, ancorché meramente dichiarativa, del nostro sistema di registri immobiliari. Il regime del trasferimento meramente consensuale della proprietà opera soltanto inter partes, in definitiva su un piano meramente risarcitorio. La differenza con il sistema tedesco, in cui si perpetua, da questo punto di vista, quello del diritto classico viene, dunque, ad essere incisivamente ridotta.
 
 Testo della relazione svolta al Primo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d'autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.II, Pechino, 2009.
 








发布时间:2013-01-12  
 

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