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  diritto romano  
 
Massimo Brutti: In tema di obbligazione

In tema di obbligazioni.

Massimo Brutti Università di Roma "La Sapienza"

  1. Premessa. Definizione dell'obligatio.
  La obligatio è una categoria dalle origini remote, centrale nella iurisprudentia e giunta fino a noi attraverso la tradizione romanistica: presente nel codice civile italiano del 1942 e nelle altre legislazioni europee.
  La definizione che leggiamo nelle Istituzioni di Giustiniano, è - come ha scritto Bernardo Albanese - "il testo giuridico latino più universalmente conosciuto". Essa risale con ogni probabilità all'opera Res cottidianae di Gaio.
  Ogni parola-chiave in questo brano ha per noi un preciso significato e può senza difficoltà, con una semplice traduzione letterale, rientrare nel nostro attuale linguaggio giuridico.
  Inst. 3.13 pr. Obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura.
  ("L'obbligazione è un vincolo giuridico, con il quale siamo tenuti per necessità ad adempiere ad una prestazione secondo i diritti della nostra comunità")1.
  La nozione di vincolo giuridico è perfettamente riferibile ai rapporti obbligatori, quali si configurano nei diritti civili moderni. Inoltre, il solvere rem è espressione di portata generale che indica l'adempimento. Res è l'oggetto dell'obbligazione: è la prestazione. E' una determinata attività dell'obbligato o è la somma di danaro corrispondente. Torneremo su questa duplicità concettuale. Per ora osservo che il verbo solvere significa contemporaneamente "sciogliere" e "pagare": denomina così lo sbocco e l'estinzione dell'obligatio. Ricordo in proposito le parole che Gaio aveva usato nelle sue Istituzioni (3,168): Tollitur autem obligatio praecipue solutione eius quod debetur ("L'obbligazione si estingue soprattutto con l'adempimento di ciò che è dovuto")2. L'uso dell'avverbio praecipue segnala il fatto che l'obbligazione può venir meno senza che lo scopo a cui era volta si sia realizzato: quindi, come vedremo per altre vie con le quali le parti cancellano l'impegno assunto.
  Anche il concetto di adempimento, così delineato nell'antica definizione, è fondamentale per il diritto civile del nostro tempo. La funzione del vincolo è sempre quella di garantire che si compiano le attività e si realizzino i potenziali interessi ai quali l'obligatio è finalizzata.
  Infine, le parole secundum nostrae civitatis iura segnalano una relazione che è costantemente presente nel diritto delle obbligazioni, fino ai giorni nostri. Il vincolo si costituisce sulla base di atti o comportamenti dei singoli, la cui capacità di generare obbligazioni è riconosciuta dall'ordine giuridico (dalle norme vigenti, dalle consuetudini, dal diritto giurisprudenziale: il plurale iura evocava genericamente una pluralità di sfere normative).
  Si può pensare che avendo già parlato di vinculum iuris, il testo si concluda con un'aggiunta superflua; ma non è così. Il vincolo può definirsi giuridico proprio perché la civitas lo riconosce. La spiegazione finale ricollega in sostanza la produzione di obbligazioni a modelli predeterminati. In questo quadro si svilupperanno sia la disciplina relativa alle fonti delle obbligazioni sia quella sulla tipicità dei contratti e sulla rilevanza giuridica di attività contrattuali non tipizzate. Temi che l'antica iurisprudentia affronta con formulazioni destinate a durare nel tempo.
In realtà, molte idee giuridiche proprie dell'esperienza romana ci sono ancora oggi familiari. Nei diritti civili odierni troviamo figure affini a quelle antiche. Ciò dipende dal fatto che i concetti romani, sopravvissuti alla cultura che li aveva prodotti, reinterpretati in forme assai diverse da quelle originarie e coinvolti in molteplici metamorfosi, sono giunti fino a noi e funzionano come modelli nel cuore dell'Europa moderna.
Se ripercorriamo la loro storia, non è facile distinguere ed isolare i momenti e le condizioni in cui ciascun concetto sorge. La giurisprudenza intreccia costantemente figure diverse, e secondo punti di vista mutevoli le definisce e le modifica. Alcune di esse sono risalenti nel tempo: sono veri e propri archetipi nati nel diritto consuetudinario di Roma, quando questa era ancora la ristretta comunità dei Quiriti, e poi consolidati dalla tradizione interpretativa.
Altri schemi concettuali sono di origine più recente: prodotti da una riflessione dei giuristi che ha come mezzo di comunicazione le opere di letteratura giuridica, essi si sviluppano a partire dal secondo secolo a. C. Appartengono alla fase della espansione di Roma, sono legati a forme più complesse di organizzazione della civitas, implicano e sorreggono intenti teorici e classificatori, tali da semplificare la conoscenza del diritto (il che è particolarmente utile per la didattica). Questo sviluppo, che produce ricchezza teorica della giurisprudenza, è evidente nei primi due secoli dell'impero
L'obligatio è certamente da annoverare tra gli archetipi. Nella giurisprudenza essa funziona come categoria costitutiva di due grandi branche del diritto civile: quella che ha al centro i delicta, vale a dire gli atti illeciti con rilevanza privatistica, e quella che riguarda la prassi contrattuale e i rapporti economici di cooperazione e di scambio.
Nel trattare i diversi aspetti, i giuristi delineano in tutta la loro complessità i rapporti tra l'archetipo obligatio ed una casistica giuridica che diviene sempre più varia e plurale, con il crescere della società e della economia dei romani3.

  2. Vincolo giuridico e funzione economica. Un responso di Ottaveno
  Partiamo ora dall'esame di un testo, che - pur muovendo dalla descrizione di un caso concreto - costruisce una rappresentazione teorica dell'obligatio, attorno al nesso tra vincolo giuridico e funzione economica.
  Il testo proviene da Ulpiano: cita un responso di Ottaveno, giurista vissuto tra il primo e il secondo secolo d. C. (non oltre l'età traianea).
  D.40.7.9.2 (Ulpianus libro vicensimo octavo ad Sabinum). Illud tractatum est, an liberatio contingat ei qui noxae dederit statuliberum, et Octavenus putabat liberari et idem dicebat et si ex stipulatu Stichum deberet eumque statuliberum solvisset: nam et si ante solutionem ad libertatem pervenisset, extingueretur obligatio tota: ea enim in obligatione consistere, quae pecunia lui praestarique possunt, libertas autem pecunia lui non potest nec reparari potest. quae sententia mihi videtur vera.
  ("Si è discusso se interviene la liberazione a favore di colui che abbia ceduto a titolo nossale uno statulibero alla persona danneggiata, ed Ottaveno riteneva che il cedente fosse liberato; egli formulava lo stesso parere anche per il caso in cui uno fosse obbligato a dare uno lo schiavo Stico sulla base di una stipulazione ed avesse adempiuto consegnandolo uno quale statulibero: infatti se uno lo schiavo fosse giunto alla libertà prima dell'adempimento, tutta l'obbligazione si sarebbe estinta: poiché formano oggetto di obbligazione le cose che possono essere corrisposte e pagate con una somma di danaro, ed invece la libertà non può essere pagata né compensata con il danaro. Questo parere mi sembra vero").
  La liberazione di uno schiavo poteva, com'è noto, essere stabilita con una disposizione testamentaria (manumissio testamento) e poteva essere sottoposta ad una condizione sospensiva. Allora, lo schiavo in attesa della libertà, finché la condizione non si fosse verificata, prendeva il nome giuridico di statuliber. Anche se alienato dall'erede, egli conservava questa qualità. Il caso esaminato da Ottaveno e poi da Ulpiano è quello di uno statulibero che, avendo commesso un delitto, era stato consegnato con una noxae deditio alla vittima. La cessione faceva venir meno ogni vincolo a carico del titolare della potestas sullo schiavo, altrimenti soggetto passivo di una obligatio e dell'azione relativa al delitto commesso.
  L'obbligazione non sopravviveva in alcuna forma, sebbene lo schiavo consegnato potesse, prima o poi, per effetto della manumissione condizionata, sottrarsi al suo nuovo padrone, procurandogli uno svantaggio patrimoniale inevitabile. Non vi erano rimedi, se ciò avveniva.
  Ottaveno assimilava il caso dell'obbligazione nascente da delitto ed estinta mediante la noxae deditio di uno statulibero ad un altro caso di estinzione e li ricomprendeva entrambi in uno schema unitario. Il secondo caso ruotava intorno ad una stipulatio, avente formalmente ad oggetto uno schiavo. Era una promessa solenne: dalle parole pronunziate sorgeva il vincolo. Uno dei due soggetti si impegnava verso l'altro ad un'attività determinata, che nel caso specifico consisteva in un dari. L'adempimento coincideva con la consegna dello schiavo, benché egli avesse la qualità di statulibero o l'avesse assunta in un momento successivo al sorgere dell'obligatio. Il fatto di essere destinatario di una manumissio condizionata era, in quella fattispecie, irrilevante. Insomma, anche se lo schiavo aspettava la libertà, era proprio lui l'oggetto del dari dedotto nella stipulatio e se questo si realizzava, non c'era più obbligazione. Comunque fosse stato dato lo schiavo, anche da un terzo, l'impegno doveva considerarsi assolto ed esaurito. Essendo venuta meno l'obbligazione, l'acquirente dello statuliber, che successivamente all'acquisto veniva privato della potestas su di lui, subiva certamente una perdita patrimoniale, ma non aveva alcun mezzo per rivalersi.
  Seguiamo il ragionamento del giurista. Che cosa accadeva se la condizione fissata nel testamento si verificava e lo schiavo diventava libero prima che vi fosse in concreto l'adempimento dell'obbligazione nata dalla stipulatio? L'effetto era anche in questa ipotesi una piena estinzione del vincolo obbligatorio. Insomma, il creditore non era più creditore né era minimamente tutelato. La liberazione sopravvenuta dello schiavo non era monetizzabile e non poteva essere concepita come un danno per chicchessia, suscettibile di riparazione e a sua volta fonte di obligatio. Se la libertas irrompeva nel rapporto fra dominus e servus, gli interessi in gioco erano travolti: nessuna compensazione era possibile. "La libertà non può essere pagata né compensata con il danaro". Invece, l'orizzonte dell'obbligazione è l'orizzonte del danaro.
  Guardiamo più da vicino il significato delle espressioni pecunia lui, pecunia praestari, pecunia reparari. Nella prima, il verbo luere è sinonimo di solvere. Lo schiavo - oggetto del dari dedotto nella stipulatio - aveva un valore monetario e il pagamento della somma equivalente formava oggetto della condanna. Nella seconda (pecunia praestari), si intendeva che la prestazione coincidesse con la dazione di una somma di danaro. Nella terza (pecunia reparari) si indicava la reintegrazione della perdita ingiustamente subita dal dominus; ma questa reintegrazione era impossibile, proprio perché la liberazione in sé non poteva considerarsi ingiusta (è questo un esempio del favore col quale la giurisprudenza considerava la liberazione degli schiavi, secondo una prospettiva umanitaria, che dava speranza agli schiavi ed incentivava la loro lealtà e la loro produttività).
  Sappiamo che nel processo formulare l'oggetto della condemnatio, sia per le azioni in rem sia per quelle in personam, quando l'oggetto del rapporto obbligatorio era diverso dal pecuniam dari, era sempre una somma di danaro. Ciò significava la traduzione in danaro di qualsiasi prestazione. Nel processo si definiva un'equivalenza e la valutazione del giudice (maggiormente discrezionale nei iudicia bonae fidei), in base a criteri tratti dalla prassi, era alla fine l'elemento determinante per calcolare il rapporto prestazione-pecunia.
  Un'eco di questa centralità del danaro nel processo e nel meccanismo coattivo al quale il debitore era vincolato, si trova in una breve e più tarda definitio tracciata da Modestino.
  D.50.16.108 (Modestinus libro quarto pandectarum) 'Debitor' intellegitur is a quo invito exigi pecuniam potest.
  ("Si intende per debitore colui dal quale, pur contro la sua volontà, si può ottenere una somma di danaro")4.
  L'originalità del responso di Ottaveno era nel considerare la liberazione dello schiavo come una variabile indipendente rispetto al rapporto obbligatorio, sia che questo nascesse da un delitto, sia che avesse come fondamento una stipulatio. La somiglianza tra i due casi rivela una visione complessiva sottostante al responso, che mette insieme l'obligatio ex stipulatu a quella ex delicto, alcuni decenni prima della classificazione delle obbligazioni tracciata da Gaio, più articolata, ma coerente con questa anticipazione5. La teoria delle obbligazioni è la stessa, per cui il vincolo poteva essere ugualmente costituito da un atto di volontà volto verso un fine lecito ed economicamente utile, così come da un atto illecito. Ex contractu ed ex delicto. Del resto, il fatto che nella costituzione della obligatio verbis si configurasse un contrahere era nel primo secolo a. e d. C. un dato teorico comunemente acquisito (cfr. anzitutto Servio Sulpicio in Gellio 4.4.2: ...contractus sponsionum stipulationumque... e poi Labeone in D.50.16.19, Ulp. 11 ad ed.6)
  Da parte sua Ottaveno, tenendo ferma la coppia stipulatio-delictum, fissava, a partire dalla similitudine tra noxae deditio e adempimento della obligatio verbis tre norme, reciprocamente intrecciate e del tutto condivise da Ulpiano, tra le quali l'ultima rivela una portata più generale, evocando un tema di fondo del diritto delle obbligazioni, che torneremo ad esaminare più avanti. Naturalmente il termine norma, che uso per denominare le soluzioni proposte dal giurista in rapporto ai casi trattati, va inteso in un senso peculiare. Non si tratta di enunciati generali ed astratti né di enunciati che hanno un carattere cogente determinato dall'autorità politica di chi li pronunzia (com'è prevalentemente nelle esperienze moderne, ove le norme giuridiche sono di regola poste da organi statuali). Si tratta piuttosto di enunciati che per la propria persuasività si impongono nella prassi e nella giurisdizione pretoria.
  In base alla prima norma, il cedente che dava a nossa uno statulibero veniva così liberato dall'obligatio ex delicto.
  In base alla seconda norma, il promittente che si era obbigato a dare lo schiavo Stico si liberava adempiendo alla promessa, anche se Stico si fosse trovato nella condizione di statulibero.
  La terza norma si riferiva all'insieme delle fattispecie evocate dal binomio stipulatio-delictum e stabiliva che l'oggetto dell'obbligazione dovesse essere sempre una somma di danaro o comunque una prestazione monetizzabile.
  Esaminiamo ora brevemente il contesto, nel quale si collocano le tre norme tratte da Ottaveno.
  La possibilità di cedere a titolo nossale lo statulibero era stata già delineata da Ulpiano poco prima ed è all'inizio dello stesso frammento :
  D. 40.7.9 pr. (Ulpianus libro vicensimo octavo ad Sabinum) Statuliberum medio tempore servum heredis esse nemo est qui ignorare debeat: eapropter noxae dedi poterit, sed deditus sperare adhuc libertatem poterit: nec enim deditio spem illi adimit libertatis.
  (Nessuno deve ignorare che lo statulibero nel tempo intermedio [tra la manumissione per testamento e il verificarsi della condizione] è servo dell'erede: perciò potrà essere ceduto a titolo nossale, ma una volta ceduto potrà ancora sperare nel conseguimento della libertà: infatti la cessione non elimina la speranza della libertà).
  Il concetto di speranza definisce la peculiare posizione giuridica di chi aspetta la libertà. Nulla può precludere questo approdo. Papiniano parlava in proposito di statuliberorum iura (diritti degli statuliberi) mentre in alcuni brani sostanzialmente genuini dei tituli ex corpore Ulpiani si segnalava come la condicio libertatis, cioè la clausola con la quale si faceva discendere la libertà da un fatto futuro ed incerto, continuasse ad essere operante, anche quando lo schiavo cui veniva riferita fosse stato oggetto di un atto di trasferimento. Al verificarsi della condizione, la manumissione produceva comunque il proprio effetto.
  A meno che l'erede, nel vendere lo statulibero, non avesse volutamente occultato l'esistenza della manumissione condizionata. E' questo il caso su cui si soffermava Ulpiano, proseguendo la sua trattazione e prima del richiamo ad Ottaveno.
  D.40.7.9.1 (Ulpianus libro vicensimo octavo ad Sabinum) Si statuliberum non eadem condicione heres vendat, causa eius immutabilis est et luere se ab eo potest simili modo ut ab herede, si tamen suppresserit condicionem statuliberi, et ex empto quidem tenetur: graviores autem etiam stellionatus crimen inportant ei, qui sciens dissimulata condicione statutae libertatis simpliciter eum vendiderit.
  ("Se l'erede vende uno statulibero non con la stessa clausola [che era fissata nel testamento], la sua condizione di questi è immutabile ed egli può liberarsi dal compratore in modo simile che dall'erede; se tuttavia l'erede abbia soppresso la condizione relativa alla liberazione dello schiavo, egli è tenuto in base ad un'actio ex empto [un all'azione del compratore derivante dal contratto]: i più severi aggiungono anche il crimen stellionatus a carico di colui che, occultata consapevolmente la condizione da cui discende la liberazione dello schiavo, semplicemente lo abbia venduto").
  Dunque se non vi è stato un inganno da parte del venditore, che legittima all'esercizio di un iudicium bonae fidei contro di lui e quindi ad una condanna pecuniaria, lo statulibero viene rigorosamente trattato come uno schiavo. La condemnatio non deve intendersi come risarcimento per la messa in libertà, ma come riparazione del danno del compratore, derivato non dalla liberazione dello schiavo, ma dal contratto, che egli non avrebbe concluso senza il raggiro della controparte.
  
  3. Le obbligazioni in Quinto Mucio Scevola
  Sull'assoluta equiparazione del trattamento degli statuliberi a quello di tutti gli altri schiavi si sofferma anche un testo di Pomponio. Lo esamino ora, perché sostanzialmente convergente con l'impostazione ulpianea che stiamo ripercorrendo e perché colloca la parità di trattamento (fra le due categorie di servi) nell'ambito di una sommaria classificazione dei procedimenti giudiziari che hanno a fondamento rapporti obbligatori. C'è sullo sfondo una teoria delle obbligazioni, che rassomiglia a quella gaiana (ed agli enunciati di Ottaveno, concernenti proprio la disciplina dello statulibero come oggetto di un rapporto obbligatorio).
  D.40.7.29 pr. (Pomponius libro octavo decimo ad Quintum Mucium) Statuliberi a ceteris servis nostris nihilo paene differunt. et ideo quod ad actiones vel ex delicto venientes vel ex negotio gesto contractu pertinet, eiusdem condicionis sunt statuliberi cuius ceteri. et ideo in publicis quoque iudiciis easdem poenas patiuntur, quas ceteri servi.
("Gli statuliberi non differiscono in nulla dagli altri nostri servi. Perciò, per quanto riguarda le azioni provenienti da un delitto o da una gestione di affari o da un contratto, gli statuliberi sono nella stessa condizione degli altri. E così nei giudizi pubblici sono sottoposti alle stesse pene degli altri").
La rappresentazione offerta da Pomponio, per cui le azioni in personam si dividono in azioni ex delicto, ex negotio gesto ed ex (negotio) contractu, non ha il nitore degli schemi gaiani, ma è sostanzialmente affine alla tripartizione che troviamo nelle Res cottidianae tra obligationes ex contractu, ex delicto ed ex variis causarum figuris (cfr. D.44.7.1; 4; 57).
Il sintagma ex negotio gesto doveva avere un significato assai generale ed una inevitabile vaghezza, se la sua funzione era qui riassumere vari modi di costituzione dell'obligatio, diversi dai contratti e dai delitti e difficili da accomunare in una precisa figura unitaria. La stessa ampiezza di significato caratterizzava l'espressione gerere negotium usata da Labeone (come risulta da 19.5.19 pr., Ulpianus 31 ad ed.) e quella pressoché identica aliquid negotii gerere, che si trova in D.12.6.33 (Iulianus libro trigensimo nono digestorum). In un senso più ristretto, la negotiorum gestio è nelle Res cottidianae il primo esempio di quelle variae causarum figurae che generano obbligazioni fuori dalla dicotomia contractus-delictum.
Il discorso di Ottaveno è strettamente ancorato alla delineazione di fattispecie, cui corrispondono soluzioni normative, come del resto ciascuno dei passi che compongono il frammento ulpianeo. Il brano di Pomponio sembra muoversi invece ad un livello più alto di astrazione. Rivela più direttamente un intento sistematico.
Il dato concettuale comune della non distinzione tra gli statuliberi e gli altri schiavi è riferito all'insieme della azioni, senza distinguere in rapporto ad esse se gli schiavi siano autori di attività da cui i procedimenti giudiziari scaturiscano o se siano oggetto di rapporti obbligatori.
Siamo di fronte ad una formulazione da un lato ampiamente approssimativa (quanto alla posizione dei servi rispetto alle actiones), ma dall'altro chiara e tendenzialmente esaustiva nell'identificare proprio con riferimento alle azioni un insieme teorico capace di comprendere l'intero campo dei rapporti obbligatori.
Credo che questa impostazione debba farsi risalire a Quinto Mucio Scevola, il giurista commentato da Pomponio. Come in altri casi, egli individuava qui un genus, costituito dal rapporto obbligatorio sottostante alle azioni e lo articolava nella tripartizione delictum-negotium gestum-negotium contractum.
Ottaveno conosceva - io credo - la tripartizione muciana. Riprendeva lo stesso schema di ragionamento in rapporto al medesimo problema (la posizione giuridica degli statuliberi), anche se riduceva la classificazione a due categorie di obligatio: quella nascente dal delitto e quella nascente dal contrahere, che nel caso considerato era una stipulatio.

  4. Ancora Quinto Mucio. L'ambiguità semantica del verbo solvere
   Abbiamo già visto nel responso di Ottaveno, così come citato da Ulpiano, che la prestazione dedotta nell'obligatio viene indicata con le parole statuliberum solvere. Qui il verbo, come nella definizione gaiana di obligatio accolta dalle Istituzioni giustinianee, indica l'adempimento. Ma Ottaveno metteva in luce come la doverosità dell'adempimento fosse in ultima istanza legata alla sua traducibilità in una somma di danaro, il cui pagamento era imposto con la condemnatio. In realtà solvere significa anche pagare. E' un significato che troviamo spesso, che è già più volte documentato in Plauto e che accompagnerà costantemente i discorsi giuridici sulle obbligazioni.
Ma se tra pagare ed adempiere la parentela è stretta e possiamo ricondurre il primo concetto entro il secondo, comprensivo di ogni tipo di prestazione, la vera ambiguità concettuale che è presente nel termine solvere consiste nel fatto che esso contemporaneamente indichi, la prestazione (l'attività concreta che il debitore è tenuto a compiere o la somma di danaro alla quale egli invitus verrà condannato), ma anche lo scioglimento della obligatio: il legame che si risolve, il vincolo che viene meno.
La rappresentazione di questa duplicità semantica emerge chiaramente in un testo di Pomponio, ormai generalmente considerato dai romanisti come espressione del pensiero di Quinto Mucio8.

D.46.3.80 (Pomponius libro quarto ad Quintum Mucium) Prout quidque contractum est, ita et solvi debet: ut, cum re contraxerimus, re solvi debet: veluti cum mutuum dedimus, ut retro pecuniae tantundem solvi debeat, et cum verbis aliquid contraximus, vel re vel verbis obligatio solvi debet, verbis, veluti cum acceptum promissori fit, re, veluti cum solvit quod promisit. aeque cum emptio vel venditio vel locatio contracta est, quoniam consensu nudo contrahi potest, etiam [dissensu] contrario dissolvi potest.
("Nel modo in cui qualunque cosa è stata contratta, nello stesso modo deve essere sciolta; come quando abbiamo contratto con la consegna di una cosa, bisogna sciogliere con la consegna di una cosa, ad esempio quando diamo un mutuo affinché venga pagato in restituzione altrettanto danaro, e quando contraiamo con la pronuncia di parole, l'obbligazione dev'essere sciolta con la consegna di una cosa o con le parole: con le parole, come quando si compie l'acceptilatio nei confronti del promittente, o con la consegna di una cosa, come quando il promittente paga quel che ha promesso. Ugualmente, quando è stata contratta una compera o una vendita o una locazione, dal momento che si può contrarre con il nudo consenso, anche con un consenso contrario si può sciogliere")9.

Il genus concettuale da cui dipende la costruzione muciana è il quidquid contractum. La simmetria tra modi di costituzione e di scioglimento della obligatio segna le vicende dei rapporti obbligatori; per Quinto Mucio è una via alla descrizione dei tipi di rapporto obbligatorio; ma non esaurisce, non può risolvere in sé il tema della estinzione della obligatio.
Va sottolineato che per il primo modo di costituzione dell'obligatio, quello del mutuo che consiste nella dazione di una somma pecuniaria, lo scioglimento simmetrico è al tempo stesso adempimento. Qui per la prima volta Quinto Mucio introduceva l'idea di corrispettività delle prestazioni, che sarebbe stata ripresa e valorizzata da Labeone, con la equazione tra contractus ed ultro citroque obligatio o sinallagma (parola greca presa in prestito dal pensiero filosofico: cfr. D.50.16.19, Labeo apd. Ulp. 11 ad ed.)10.
Nella obligatio verbis la estinzione del vincolo veniva ricondotta alla simmetrica pronunzia di parole solenni nell'acceptilatio11, ma contemporaneamente si indicava come via alla liberazione del debitore quella dell'adempimento (o pagamento) di quanto era stato promesso e Quinto Mucio usava lo stesso ablativo re che aveva usato per il mutuo e che sarebbe stato più tardi ripreso da Gaio (3.89-9012). Infine, la simmetria fra consensus e contrarius consensus non segnala l'unico modo di estinzione delle obbligazioni derivanti dall'emptio venditio o dalla locatio conductio, ma soltanto un modo possibile, consistente nella revoca bilaterale del consenso. Questa ipotesi si aggiungeva all'adempimento (qui non citato, ma infatti il giurista dice dissolvi potest, riferendosi al consenso contrario; il che non esclude l'effettuarsi della prestazione come modo parallelo di estinzione).
La ragione storica dell'ambiguità semantica di solvere va ricercata nelle vicende del concetto di obligatio: nella trasformazione di questo archetipo.
Dobbiamo partire da una premessa. L'obbligazione arcaica si configurava come un rapporto materiale tra persone. Un rapporto di potere e di soggezione tra liberi. Non era un vincolo giuridico astratto né aveva come oggetto la prestazione del debitore. Questo è lo schema che troviamo in Quinto Mucio e poi nel testo gaiano che verrà usato dai compilatori come definizione generale nelle Istituzioni giustinianee. Ma nell'età più antica - fino al quinto secolo a. C. - l'obligatio era un rapporto di subordinazione effettiva di una persona libera rispetto ad un'altra ugualmente libera. L'obbligato era ostaggio, nexus o adiudicatus: comunque sottomesso ad un altro soggetto. Il potere materiale che questi esercitava - con il sostegno della comunità, o meglio delle sue autorità le quali davano via libera al realizzarsi di tale supremazia - nasceva da un'aspettativa, che quelle autorità riconoscevano fondata, per la riparazione di un danno ingiusto subito o per la restituzione di un prestito. Betti ha parlato in proposito di "prigionia redimibile"13. La svolta in questa concezione avviene quando si consolida lo schema per cui l'assoggettamento è sempre redimibile mediante il danaro. A questo punto l'idea di scioglimento del vincolo si scinde in due: da un lato la dimensione formale, consistente in una decostruzione della obligatio, in una estinzione indipendente dal realizzarsi dell'aspettativa del creditore; dall'altro lato la coazione dell'obbligato attraverso il processo a pagare una somma di danaro, che sarà determinata in funzione del sooddisfacimento del creditore.
  Dunque, dopo le Dodici Tavole si affermò un elemento comune ai due generi di obligatio. In entrambi i casi poteva intervenire con effetti risolutivi il danaro. Esso venne a costituire infatti il mezzo di riparazione dell'illecito deducibile nell'azione secondo una valutazione del torto la cui verifica spettava al giudice; e servì al tempo stesso a definire un valore, esigibile in via coattiva, equivalente alla prestazione dovuta in base ad un contratto non adempiuto.
  L'epoca delle Dodici Tavole, per quanto riguarda la disciplina dell'illecito, è segnata da una transizione. Le sanzioni afflittive (con una coercizione diretta contro l'autore del fatto) cedono il passo alle sanzioni pecuniarie (ove la riparazione passa attraverso la mediazione del danaro). Le obbligazioni scaturenti da atti dei privati (o meglio dalla cooperazione e dagli scambi economici cui il vincolo obbligatorio è funzionale) appaiono nello stesso periodo già consolidate. Sono ormai situazioni normative stabili e ciò induce a supporre che la loro origine sia stata anteriore rispetto alle obbligazioni da atto illecito.

  5. Conclusione
  Per concludere, che cosa vuol dire in questo contesto, soddisfacimento del creditore attraverso una somma di danaro?
  I caratteri strutturali del processo romano, la condemnatio pecuniaria, l'idea che il debitore - quale che sia l'oggetto dell'obligatio - è comunque coattivamente assoggettato al pagamento di un equivalente pecuniario della prestazione, anche invitus - e qui è la certezza dei rapporti obbligatori - lascia al pensiero giuridico dell'Europa continentale un'eredità duratura: una concezione che in ultima istanza riduce al danaro i rapporti obbligatori, ma nella quale la valutazione di un soggetto terzo, il giudice, è essenziale e decisiva per determinare il rapporto di equivalenza.
  Si può citare a questo proposito, come norma storicamente connessa e concettualmente comparabile con le categorie e gli enunciati prescrittivi del diritto romano, una norma vigente nel diritto italiano: l'articolo 1174 del Codice civile.
  "La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale del creditore".
  E' evidente che la valutazione economica della prestazione (qui interverrà il giudice) non può non implicare una traducibilità in termini economici dell'interesse del creditore; anche di quello non patrimoniale. Ciò avviene attraverso nozioni come quella di risarcimento del danno (art. 1223 Cod. civ.) o di riparazione satisfattoria di un torto che non consista propriamente in una lesione patrimoniale (art. 185 Cod. pen.). In tutti questi casi si rivela ancora operante nel pensiero giuridico di cui siamo oggi partecipi ed utenti, l'archetipo dell'obligatio, con le regole di funzionamento che ha assunto nella giurisprudenza, da Quinto Mucio ad Ottaveno, a Gaio: in particolare il nesso tra obbligazione e danaro, tra scioglimento del vincolo, prestazione, pagamento di un equivalente, secondo la determinazione fissata dal giudice.


1 Cfr. la trad. in cin. di Xu Guodong. Pechino, 1999.
2 Cfr. la trad. in cin. di Huang Feng, Pechino, 1996.
3 Cfr. Corporis Iuris Civilis fragmanta selecta, IV.1. Sulle obbligazioni. Sulle obbligazioni da contratto, trad. in cinese di Ding Mei, Pechino, 1992; IV.1.B Sulle obbligazioni: sul mutuo, sulla compravendita, sulla locazione, sulla società, sull'impresa, sul mandato, sulla vendita dei beni, trad. in cinese di Ding Mei, Pechino, 1994; Sulle obbligazioni da contratto e quasi da contratto, 2 ed. unificata dei vol. IV.1 e IV.1.B, Pechino, 1998
4 Cfr. CICfs, cit., 3.
5 Cfr. Gai. 3.88, trad. in cin. cit.
6 Cfr. CICfs, cit., 9.
7 Cfr. trad. in cin. in CICfs, cit., 3; 5
8 Si vedano in proposito le pagine di A. Schiavone, Ius, Torino, 2005, 178 ss.
9 Cfr. CICfs, IV, cit., 419.
10 Cfr. trad. in cin. in CICfs, IV, cit., 9.
11 Gai. 3,169 ss. ; trad. in cin. cit.
12 Cfr. trad. in cin. cit.
13 E. Betti, La struttura dell'obbligazione romana e il problema della sua genesi, Milano, 1955.

 
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Testo della relazione svolta al Primo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d'autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.II, Pechino, 2009.



发布时间:2013-01-21  
 

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