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R. Cardilli:Voce “Danno” (Diritto Romano) per l’Enciclopedia di Bioetica

Voce “Danno” (Diritto Romano) per l’Enciclopedia di Bioetica

R. Cardilli Università di Roma “Tor Vergata”

I. Damnum e diritto romano

1. Danno e giuristi

  L’importanza che l’italiano “danno” ha assunto nella contemporanea riflessione giuridica in materia di responsabilità civile, con particolare riguardo alla sua capacità di includere ipotesi di lesione non patrimoniale alla persona, impone la necessità di una sua ripulitura concettuale. Le sue qualificazioni diversificate in termini di danno morale, danno biologico, danno esistenziale etc., appaiono fuorvianti nell’esame del significato di damnum nel diritto romano. Deve, infatti, essere tenuta presente la rigorosa concezione della persona nella sua ontologica monoliticità (pur articolata negli status) e distante dal mondo delle res, per evitare proiezioni condizionate sia dalla falsa prospettiva delle attribuzioni diversificate di diritti soggettivi, sia dal protagonismo della responsabilità aquiliana all’interno dei diritti codificati, rispetto alla molteplicità di ipotesi di delitti privati presente nel diritto romano.

  L’italiano “danno” proviene dal latino damnum, parola di etimologia incerta, forse dall’antico islandese tafn (vittima), dal greco δαπάνη, da cui il latino daps; meno convincente l’ipotizzato collegamento con dare.

  Damnum acquisisce nel diritto romano una gamma di significati tecnici, tanto da meritare la individuazione di una specifica famiglia semantica di esso nel latino giuridico.

  Tale evidenziata specificità è la conseguenza di un costante lavorio interpretativo sulla parola fin dal ius civile arcaico, determinandosi anche, a mano a mano, un suo adeguamento alle problematiche con essa interagenti.

  Data la sede e lo scopo di questa voce enciclopedica, mi limito ad indicare alcuni momenti significativi.

  2. Damnum, noxia, pauperies e rupitias nelle XII Tavole e nella interpretatio prudentium

  Damnum nelle XII Tavole ricorre esclusivamente nella locuzione damnum duplione decideto. Si tratta della sanzione da comminare, sempre in un multiplo (duplio), per illeciti specifici. Quelli attestati sono il furto nec manifestum e la vindicia falsa.

  Nel significato che reputo più confacente al contesto decemvirale, si tratterebbe di una locuzione evocante il dovere di composizione imposto all’autore dell’illecito per evitare una responsabilità personale qualificata, come quella connessa all’antica damnatio, presupposto essenziale della manus iniectio. È forse in tale ambito che damnum , quindi, assume un primo uso traslato nel linguaggio giuridico, iniziando “a collegarsi ad una perdita di natura economica”. Da tenere, comunque, distinto l’àmbito di significato del damnum decidere dal sarcire anch’esso da ritenere sanzione decemvirale per illeciti considerati meno gravi. Oltre, infatti, alla importante precisazione di Servio Sulpicio Rufo, che nelle XII Tavole sarcito significherebbe damnum solvito, praestato (Fest. s.v. sarcito 430, 20 [Fest.] Lindsay), emerge una differenziazione puntualmente segnalata in dottrina: la locuzione damnum decidere ricorre per pene da calcolarsi in un multiplo e (noxiam) sarcire per pene in simplum.

  Altre locuzioni della legge delle XII Tavole vengono poste in relazione a damnum, in base ad una autorevolissima linea interpretativa che emerge nella tarda età repubblicana.

  Pauperies sarebbe il damnum cagionato dall’animale quadrupede (Fest. s.v. pauperies 246, 10 Lindsay (Paul.). Tale interpretazione va connessa alla tradizione giurisprudenziale trasmessa nei Digesta giustinianei nel titolo D.9,1 Si quadrupes pauperiem fecisse dicatur. La sanzione imponeva un oportere a carico del pater familias, al quale apparteneva l’animale, di noxiam sarcire (inteso da Ulpiano in D. 9, 1, 1 pr. in termini di aestimationem noxiae offerri) ed, in alternativa, di in noxam dedere l’animale al danneggiato (illuminante Quinto Mucio in Ulp. 18 ad ed. D. 9, 1, 1, 11).

  Altamente significativo è quanto emerge in D. 9, 1, 5 dove Alfeno Varo, riportando una questione specifica probabilmente sottoposta a consulto del suo maestro Servio Sulpicio Rufo (consulebatur), ascrive un’ipotesi di fractio cruris del servo nella pauperies cagionata dalla mula e quindi accorda l’azione contro il dominus dell’animale. Il responso è significativo dello spostamento di prospettiva, già iniziato con la legge Aquilia, delle lesioni personali allo schiavo quali lesioni del patrimonio del suo dominus. Lo spostamento di prospettiva rispetto alla normale e consueta logica della lesione alla persona, sia questa libera o schiava, in termini di iniuria, ben attestata nelle XII Tavole, è il presupposto dogmatico di una prima interazione tra i significati ascrivibili a damnum e le lesioni personali. D. 9, 1, 5 va posto in relazione con l’esito interpretativo, ricordato in Alfeno Varo in D. 10, 3, 26, che riconosce l’esperibilità dell’actio communi dividundo per ottenere il risarcimento della fractio cruris del servus communis da parte di uno dei comproprietari, qualora il servo si sia fratturato la gamba lavorando presso l’altro comproprietario. La conclusione, fondata sulla distinzione tra l’individuazione della culpa del comproprietario e l’incidente dovuto a casus, dimostra inequivocabilmente che per Alfeno Varo la frattura dell’arto del servo poteva essere considerata, oltre che una iniuria rilevante in termini di os fractum decemvirale, un damnum, cioè una diminuzione patrimoniale del dominus dello schiavo. Lo stesso sforzo interpretativo di ascrivere l’evento lesivo concreto (fractio cruris) nell’àmbito dei significati di un termine più astratto come damnum, non ricorre in Alfeno in un’ipotesi esaminata probabilmente da Servio nell’àmbito di applicabilità del terzo caput della lex Aquilia (D. 9, 2, 52, 4). Qui la fractio cruris non necessita di qualificarsi nel discorso del giurista in termini di damnum in quanto frangere è di per sé verbo indicante la condotta tipica che assume rilievo per la legge, sebbene in concreto poi Servio neghi la possibilità nel caso di specie di considerarla un fregerit iniuria in quanto casu magis quam culpa videretur factum.

  Anche per noxia nelle XII Tavole, secondo quanto avrebbe affermato Servio Sulpicio, si voleva significare damnum (Fest. s.v. noxia 180, 25 Lindasy (Fest): ut Ser. Sulpicius Ru[fus ait, damnum significat in XII]; (Paul.) noxia apud antiquos damnum significabat).

  Infine, sempre Festo s.v. rupitias 320, 24 (Lindsay) ricorda come rupitias (in) XII significat damnum dederit. Qui il collegamento non è semplicemente con damnum ma col damnum dare. Ciò ha portato già Theodor Mommsen ad ipotizzare un rupit, come forma corrotta di rupsit, venendosi così a determinare un collegamento altamente significativo con il verbo rumpere, anch’esso presente nelle XII Tavole in relazione al membrum ruptum dell’uomo libero e di grande significato, come vedremo, nell’ambito dell’interpretatio interna alla lex Aquilia.

  In questa sede, preme in ogni caso evidenziare la presenza nelle fonti di alcuni percorsi interpretativi che, nell’àmbito del contributo del giurista Servio Sulpicio Rufo (I sec. a.C.), tendono a fare di damnum il termine di riferimento di una serie di significati e di ipotesi diverse, sempre ruotanti intorno a problematiche di lesione patrimoniale, presenti nelle XII Tavole, dimostrando quanto meno di considerarlo idoneo, nell’età nella quale tale operazione interpretativa viene realizzata, a unificare sotto il significato assunto oramai da esso le parole e le fattispecie da esse evocate.

  3. Damnum nella lex Aquilia ed interpretatio prudentium

  Nel testo della lex Aquilia (della prima metà del III sec. a.C.), la parola damnum ha un ruolo residuale. Una tale affermazione, che può sembrare paradossale a chi conosca l’importanza del plebiscito in questione per la storia della responsabilità extracontrattuale, trova riscontro nella ricorrenza di damnum soltanto nel terzo caput della legge.

  Due precisazioni mi sembrano da evidenziare. Per chi elabora il testo della legge , il damnum facere era condotta che trovava contestuale tipizzazione nell’urere, frangere, rumpere iniuria, così da non rappresentare agli occhi del redattore una clausola generale.

  La legge non parla di damnum dare, ma di damnum facere; sarà invece l’interpretatio che costruirà, come vedremo, un paradigma concettuale del significato della lex Aquilia intorno al damnum iniuria datum, tanto da rendere possibile qulificare l’azione anche come actio damni iniuriae.

  Rispetto alla prima precisazione, i verbi che tipizzano le condotte rilevanti per il terzo caput risultano “presentati come analitica precisazione avente valore restrittivo vincolante della più generica espressione damnum faxit”. Sarà una conquista dell’interpretatio prudentium “ricondurre nella previsione della legge qualsiasi deterioramento cagionato iniuria alla cosa altrui”. Tale conquista trova concreta espressione nello sforzo compiuto dalla giurisprudenza dei primi secoli dell’impero, di ricondurre la ricca casistica in materia ad una costruzione unitaria in termini di damnum datum iniuria.

  Rispetto alla seconda precisazione, essa va posta in relazione con l’esistenza di costruzioni diversificate e composite che affiancandosi e mano a mano superando il damnum facere, mostrano l’emersione del paradigma del damnum dare come momento dogmaticamente unificatore della materia.

  Nell’editto del pretore si ricorda per l’effusis vel deiectis, il damnum datum factumve. Nell’editto di Lucullo si parla di vi hominibus armatis coactisve damnum datum esse. Nell’editto vi bonorum raptorum si parla di damni quid factum esse. In alcune clausole previste nei formulari catoniani si parla di frangere, ed in altre più genericamente di damnum dare. Sembra riemergere attraverso testimonianze diverse e da collocare tutte nel periodo che va dalla lex Aquilia al I sec. a.C. un lavoro interpretativo che coinvolge la forma più antica (damnum facere) e che porta a costruire nel linguaggio giuridico una forma unificante tendente a privilegiare la costruzione damnum dare, che nell’àmbito aquiliano poi sarà qualificata , espressamente od implicitamente, in termini di iniuria.

  La tendenza in rapporto al terzo caput può dirsi compiuta con Servio Sulpicio Rufo, nell’operato del quale la nozione damnum e la costruzione damnum dare sembra fonte di ispirazione anche di riletture ex post delle ipotesi tipiche di danneggiamento nel diritto preaquiliano.

  Non deve meravigliare, quindi, che agli occhi di Gaio damni iniuriae actio constituitur per legem Aquiliam, cuius primo capite cautum est (Gai. III, 210) e che capite tertio de omni cetero damno cavetur (Gai. III, 217).

  Restano sostanzialmente fuori, per altro, nella prospettiva della lex Aquilia, le ipotesi di lesione della persona libera e di interessi non patrimoniali del dominus dello schiavo. Le prime trovano precipua tutela nell’àmbito del delitto di iniuria, e non pongono ex se un problema di qualificazione di esse in termini di damnum. Le seconde sono espressamente escluse dai giuristi che si pongono il problema. Al riguardo, è significativo quanto precisa Paolo in D.9, 2, 33: l. 2 ad Plautium. Si servum meum occidisti, non affectiones aestimandas esse puto, veluti si filium tuum naturalem quis occiderit quem tu magno emptum velles, sed quanti omnibus valeret.

  Nel diritto romano, l’ampia e pervasiva tutela della persona realizzata in termini di iniuria - soprattutto quando il pretore introduce l’actio iniuriarum aestimatoria - e la limitata rilevanza della lesione alla persona quale lesione allo schiavo come entità del patrimonio del dominus nell’àmbito della tutela aquiliana, condizionano un significato di damnum quale perdita patrimoniale, conclusione ben descritta dalla definzione del giurista Paolo in D. 39,2, 3 in materia di cautio damni infecti: l.47 ad ed. Damnum et damnatio ab ademptione et quasi deminutione patrimonii dicta sunt.

  II. Estensione della tutela aquiliana nel giusnaturalismo e ruolo di damnum

  Nella tradizione giuridica fondata nel diritto romano - e da esso alimentata -, un momento significativo per comprendere i presupposti di alcuni sviluppi avutisi nei diritti dei codici civili dell’800 e del 900 e nelle interpretazioni su questi, è rappresentato dalla riflessione giusnaturalistica sul punto.

  Al riguardo, Grozio assume una importanza paradigmatica. Mentre infatti nella scienza giuridica della scuola dei glossatori e dei commentatori, l’enucleazione della nozione di interesse singulare permette di ampliare la stima del danno risarcibile, senza però modificare le ipotesi di rilevanza del delitto aquiliano, è con Grozio che la tutela aquiliana ingloba ipotesi di lesioni non patrimoniali ricorrendo ad una nozione generale di danno. In particolare, il giusnaturalista nel precisare il significato della diminuzione lesiva in termini aquiliani (cum quis minus habet suo), precisa che in essa vanno incluse non soltanto ipotesi di perdita patrimoniale, ma anche conservazione di valori quali corpus, membra, fama, honor.

  In fine del capitolo de damno per iniuriam dato, et obligatione quae inde oritur, Grozio precisa: sed damnum, ut diximus, etiam adversus honorem et famam datur, puta verberibus, contumeliis, maledictis, calumniis, irrisu, aliisque similibus modis. In quibus non minus quam in furto atque aliis criminibus vitiositas actus ab effectu discernenda est... quanquam et pecunia tale damnum rependi poterit, si laesus velit, quia pecunia communis est rerum utilium mensura.

  Rispetto alla prospettiva di questa voce, va evidenziato in Grozio il netto allargamento della tutela aquiliana ad ipotesi di lesioni non patrimoniali alla persona. Tale allargamento viene significativamente realizzato forzando tali ipotesi all’interno dei significati di damnum. Con la facoltà, poi, rimessa alla vittima della lesione di ottenere anche un risarcimento pecuniario delle lesioni, si apre definitivamente la strada ad una inclusione delle lesioni personali nella tutela aquiliana con effetti risarcitori in termini di danno non patrimoniale.

  Con Grozio si apre la strada a quella saldatura, sviluppata in alcuni ordinamenti contemporanei a diritto codificato, tra le lesioni alla persona ed il termine danno, forzandone eccessivamente il significato.

  A ciò si deve aggiungere che la generalizzazione sopra richiamata che fa della tutela aquiliana il maleficium di diritto privato, inglobando così una serie di interessi diversamente tutelati nel diritto romano, in primis in termini di iniuria, si sposa coerentemente con la costruzione giusnaturalista dei diritti in accezione soggettiva e della persona quale centro di imputazione di essi.

  III. Conclusioni

  Il ricorso al termine danno per dare rilevanza giuridica in termini di responsabilità extracontrattuale alle lesioni non patrimoniali subite dalla persona è chiaramente escluso dal diritto romano, che al contrario dà rilevanza ad ipotesi di lesione di interessi non patrimoniali della persona nell’àmbito del diverso delitto privato di iniuria. Il diritto romano, in sostanza, evidenzia una concezione più rigorosa nel tutelare la persona nella sua ontologica monoliticità (pur articolata negli status) e distante dal mondo delle res, rispetto ad una interpretazione che qualifichi tali ipotesi come tipi particolari di danno, danno qualificato in negativo come “non patrimoniale” ed in positivo come “morale soggettivo”, “esistenziale”, “biologico” etc.

  A ben guardare, tale sforzo di inclusione ed elaborazione di elenchi di danni risarcibili in sede di riconoscimento della responsabilità extracontrattuale sembra essere condizionato da due fattori. Il primo di ordine concettuale, il secondo di ordine sistematico. Quello concettuale risente della frammentazione della monoliticità della nozione di persona nelle attribuzioni ad essa di diritti soggettivi, propria del giusnaturalismo, mentre quello sistematico, riflette un protagonismo della responsabilità aquiliana all’interno dei diritti codificati, rispetto alla molteplicità di ipotesi di delitti privati presente nel diritto romano.

  Testo è pubblicato in cinese, con autorizzazione d’autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.III, Pechino, 2011.

发布时间:2013-03-05  
 

Centro di studio del diritto romano e italiano presso Universita
della Cina di scienze politiche e giurisprudenza
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