Home   Chi siamo   Novità   Trattati   documentazioni   Presentazione degli studiosi   Scambio delle info   opere   Contattaci  
 Oggi:
 
 
 Novità Più..
 
· Quinto Congresso Intern...   2014-12-06
· Notice of the Internati...   2013-03-15
· La premessa (volume II...   2013-03-07
· La premessa (volume I...   2013-03-07
· La premessa (Volume ...   2013-03-07
· Elenco delle bibliograf...   2012-12-12
· [Il 60° anniversario d...   2012-07-16
· Tavola rotonda di “ un...   2010-12-14
 
 opere Più...
  diritto romano  
 
Sandro Schipani:sull’uso attuale del diritto romano

 Sandro Schipani

  sull’uso attuale del diritto romano

  (prospettive per una discussione)

  Sommario:

  Parte I

  1.Per il diritto romano, a) il diritto comune esiste ed è vigente; b) al diritto comune si affiancano le leggi e il diritto propri di ogni popolo (ogni comunità politica deve poter fare uso delle proprie leggi; ha un diritto dei propri cittadini).- 2. Nel diritto romano, tale pluralità non impedisce la costruzione della coerente armonia del sistema. a) I problemi della pluralità: esempi.- b) Gli uomini come fine del diritto, l’obbiettivo di rendere uguale la libertà, il divieto di proporre per gli altri un diritto diverso da quello che si applicherebbe a se stessi, come criteri per la costruzione del sistema nella complessità.

  Parte II

  1. Il sistema del diritto romano è nelle mani dei popoli e dei giuristi: enucleare i principi generali; : la necessità di valutare tutte le posizioni per migliorare quotidianamente il diritto.- 2.1. I “Principi di Unidroit” e l’unilateralità che a volte emerge nella loro prospettiva.- 2.2. I principi per il debito internazionale; la frustrazione della ricerca del diritto migliore attraverso i ricatti esperibili nel sistema delle NU; l’impegno a proseguire la ricerca e codificare i principi.–

  Parte III

  1.Il BRICS; la dichiarazione di Ekaterimburg; il carattere giuridico degli obbiettivi di esso.- 2. I diversi punti di vista dei Paesi del BRICS arricchiscono il sistema a favore dell’uguagliamento della libertà e l’unità e sviluppo dei Paesi di esso rende il miglioramento possibile ed utile per tutti.- 3. Un programma per la ricerca e per la didattica?

  Parte I

  1.Per il diritto romano, a) il diritto comune esiste ed è vigente; b) al diritto comune si affiancano le leggi e il diritto propri di ogni popolo (ogni comunità politica deve poter fare uso delle proprie leggi; ha un diritto dei propri cittadini).

  a) La consapevolezza dell’esistenza attuale di un ‘diritto comune’, che vige già per tutti i popoli e tutti gli uomini, nel sistema del diritto romano è affiancata dalla consapevolezza della parallela esistenza di un ‘diritto proprio di ogni popolo’.

  Secondo il giurista Gaio del II secolo d.C.: “Tutti i popoli che si reggono con leggi o consuetudini si avvalgono in parte di un diritto proprio e in parte di un diritto comune a tutti gli uomini; quello che ciascun popolo stabilisce per sé viene chiamato diritto civile come se fosse diritto proprio di quella cittadinanza; quello che la razionalità naturale ha stabilito fra tutti i popoli si chiama diritto delle genti ed è osservato da tutti i popoli come diritto di cui tutti si servono” (Gai, 1.1; D. 1.1.9) [prendere la trad. di Huang Feng].

  Quanto al diritto comune, il giurista Ulpiano del III sec. d.C. distingue altresì il ‘diritto delle genti’ dal ‘diritto naturale’, che è quello posto dalla natura stessa (D. 1.1.1.3-4).

  La consapevolezza di avere multa iura communia / ‘molti complessi di norme in comune’ con gli altri popoli era, peraltro, ritenuta radicata fin da prima della fondazione della città, e sussisteva anche con i nemici con i quali non esistono trattati. Ciò è affermato dalla fonti (Cicerone, de Off. 3.29.108; Livio, ab Urbe condita 5.27.5 ); ciò è anche confermato dalla tradizione del sistema e dalla ricerca più recente ed attenta: Iuppiter / Giove, concepito come esistenza inter-etnica, vigilava sul sistema giuridico-religioso di cui erano già “virtualmente” parte anche gli altri popoli noti o ignoti con i quali i romani entravano in contatto; il trattato con i Latini (foedus Latinum) presupponeva la validità dei negozi compiuti fra romani e latini a prescindere dal trattato stesso, che regolava solo la giurisdizione in merito. La scienza giuridica si innesta su questa prospettiva aperta, e proprio il carattere scientifico del suo lavoro è a ciò adeguato: essa elabora quindi, soprattutto a partire dal III secolo a.C., il diritto che vale fra gli uomini a prescindere dai trattati, e che unifica concettualmente denominandolo, come visto, “diritto delle genti”

  b’) Nello stesso tempo, bisogna tenere presente che la fondazione della città avviene anche grazie all’approvazione di leggi proprie della stessa.

  A proposito delle famose Leggi delle XII Tavole del V secolo a.C., si dice che con esse la “città fu fondata con le leggi” (D. 1.2.2.4). Le leggi fanno parte integrante della identificazione della città di Roma stessa, e, corrispondentemente, le leggi vincolano solo i cittadini del popolo che le ha votate. Vi è una saldatura fondatrice fra identità del popolo e fare uso delle proprie leggi.

  Dato questo ruolo, il sistema non negherà alle altre città di suis legibus uti / usare proprie leggi (si pensi alle città federate e ai municipi).

  b’’) Per il sistema del diritto romano, il ius /diritto è distinto dalla legge. Certamente il diritto trova nelle leggi la sua fonte prima, ma è prodotto altresì da altre fonti, e in particolare dall'autonoma opera dei giuristi che si fonda sulla loro perizia, saggezza, scienza e sulla autorevolezza che da tale competenza, riconosciuta dal consenso dei cittadini, deriva ai suoi cultori (cfr., ad es., D. 1.2.2.5; D. 1.2.2.49 in fine).

  L'opera dei giuristi si svolge nei confronti delle leggi interpretandole (Gai. 1.7; J.1.2.4; D. 1.1.7; D. 1.2.2.12), e ciò fa in diversi modi: le compone tutte in unità (D. 1.2.2.2), le commenta parola per parola (D.1.2.2.38),ma va anche oltre ad esse; l’opera dei giuristi infatti si svolge anche in parte autonomamente senza fondarsi su altra fonte di legge scritta (D. 1.2.2.5.12).Essa poi tende a comporre tutto in unità; essa avvolge le leggi, fonte scritta, e gli altri sviluppi del proprio autonomo lavoro rifondando il tutto in un sistema (D.1.2.2.39,41,44) e lo fa stare insieme migliorandolo (D. 1.2.2.13 in fine). Pomponio afferma che, complessivamente, il loro lavoro ‘fonda’ e ‘costituisce’ il diritto (D. 1.2.2.39,41 cit.). Così il lavoro dei giuristi, pur avendo, come scienza, una dimensione strutturalmente valida per tutti e aperta a considerare tutti gli uomini in un diritto comune (cfr. supra), partecipa alla individuazione di un popolo, di una civitas /comunità politica e produce il ‘diritto civile’ che si individua rispetto al diritto comune, come diritto proprio dei cittadini di quella comunità politica. Cicerone definisce che il popolo è coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus (de Rep. 1.39) [trad. Wang Huansheng] e il riferimento al consenso dei cittadini sul diritto è centrale. Anche per il ‘diritto’, quindi, si conferma la saldatura con l’autoidentificarsi / con la identità di un popolo.

  Per questo, è strutturale per il sistema avere un diritto comune con tutti i popoli noti, o ancora ignoti e che si potrebbero incontrare. Nello stesso tempo, è strutturale per il sistema anche il principio secondo cui ogni popolo deve potersi servire, a fianco a tale diritto comune, “delle proprie leggi”, con una articolazione che lo arricchisce.

  2. Nel diritto romano, tale pluralità non impedisce la costruzione della coerente armonia del sistema. a) I problemi della pluralità: esempi.- b) Gli uomini come fine del diritto, l’obbiettivo di rendere uguale la libertà, il divieto di proporre per gli altri un diritto diverso da quello che si applicherebbe a se stessi, come criteri per la costruzione del sistema nella complessità.

  a) La pluralità descritta è fonte di problemi connessi a potenziali conflitti di norme; ciò vale per il rapporto fra legge e diritto civile relativo ad un popolo; così pure per rapporto fra legge e ‘diritto comune a tutti i popoli’ ecc.

  Così, ad es., le leggi all’interno della civitas e in relazione allo stesso popolo che le ha votate sono originariamente a volte limitate dal non potere modificare il ‘diritto’, limite destinato ad essere superato (Tit. ex corpore Ulp. 1.1-2), salvo il principio secondo cui “se qualche cosa sia stato proposto che non era secondo il diritto proporre si abbia come non proposto” (Cic., pro Caec. 33,95).

  O, ad es., il diritto proprio di un popolo viene fatto cedere di fronte a un principio maturato nel diritto romano, come nel caso del divieto di condanna senza che sia stato sentito l’imputato, o nel caso di divieto di applicazione di diritto consuetudinario che discriminasse le donne rispetto agli uomini nella successione ereditaria, mentre per il diritto romano “non vi deve essere nessuna differenza fra maschi e femmine”.

  O, ad es., l’autonomia normativa municipale può cedere rispetto al diritto civile di Roma, facendolo volontariamente proprio, o possono venire configurate delle doppie cittadinanze ecc.

  O, ad es., vi sono delle cose più preziose delle quali il diritto civile nell’età più antica si era preoccupato di impedire il trasferimento a stranieri i quali non potevano compiere gli atti a ciò destinati (mi riferisco alla circolazione delle res mancipi per la quale era necessaria la mancipatio o la in iure cessio che gli stranieri non potevano compiere), ma il cui valore è diventato meno strategico e per il diritto delle genti fu elaborata dai giuristi una forma di compravendita obbligatoria con la quale, in contrasto con il diritto civile, questo limite fosse superato, e il pretore sostenne questo superamento.

  O, ad es., le leggi di un popolo, che, come detto, hanno vigore solo per esso, a volte devono essere rispettate anche oltre l'ambito delle singole comunità politiche, cioè, dagli stranieri, da altri popoli che non le hanno votate, e ciò se, in caso di inosservanza di esse da parte di questi, deriverebbe la elusione e il sostanziale svuotamento delle stesse leggi per quel popolo che le ha poste, e se queste leggi tutelano beni essenziali per gli uomini (ritengo che emerga dalla situazione concreta esaminata, anche se non viene esplicitato). La vigenza delle leggi, quindi, può a volte estendersi, ed esse possono essere portate a valere per tutti i popoli, così che sembra che pur esse, a volte, individuino norme comuni per tutti (Livio.35.7.2-5).

  O, ad es., Ulpiano sottolinea che “il diritto civile è quello che non si discosta in tutto dal diritto naturale o dal diritto delle genti, né in tutte le cose lo asseconda” (D. 1.2.6pr.), e notissima è la divergenza in relazione agli uomini “in quanto, secondo il diritto naturale, tutti nascerebbero liberi …; ma poi, la servitù si diffuse secondo il diritto delle genti … e pur essendo gli esseri umani chiamati con un unico e naturale nome di ‘uomini’, secondo il diritto delle genti cominciarono ad esservi tre generi” (D. 1.1.4).

  Ecc.

  Il sistema del diritto romano, nell’età della sua formazione, ci presenta quindi l’emergere di principi e istituti che vengono salvaguardati comunque, anche contro la legge dello stesso popolo romano che l’ha votata in una dialettica fra principi e leggi (es., la clausola di autolimitazione citata) o contro il diritto proprio romano o di altro popolo (es., l’apertura al commercio con gli stranieri di cose in tempi anteriori particolarmente preziose, la tutela dell’imputato; l’uguaglianza fra maschi e femmine in materia successoria), o contro le stesse regole della coesistenza fra i diversi diritti propri (la legge sugli interessi); a volte, però, i principi non vengono salvaguardati, e sembrano solo prospettati per il futuro nel quale possano maturare grazie ad ulteriori spinte critiche e innovative (es. la libertà naturale di tutti gli uomini). Il sistema ci presenta così i termini dei grandi potenziali conflitti teorici e pratici che scaturiscono nei rapporti sia all'interno di una comunità politica, sia nei suoi rapporti con le altre comunità politiche, sia in ragione della pluralità di fonti.

  b)Il giurista romano Ermogeniano, del IV sec. d.C. indica che gli uomini, come pluralità e come singoli, sono il fine di tutto il diritto (D. 1.5.2).

  Il giurista romano Celso, del II sec. d.C., ha dato l’unica definizione del diritto che ci sia pervenuta da tutto il grande lavoro dei giuristi antichi: “il diritto è il sistema di ciò che è buono ed equo / uguale” (D. 1.1.1pr.).

  Uomini. Sistema. Buono ed equo.

  Come ho detto, le Leggi delle XII Tavole sono state un momento qualificante la ‘fondazione della città con le leggi’. Queste leggi sono state elaborate nel corso di un conflitto fra i due ordini sociali dei patrizi e dei plebei. Ci viene puntualmente indicato che esse servirono a realizzare la pace fra questi due ordini attraverso l’aequare libertatem / il rendere uguale la libertà (Livio 3.31.7).

  Questo giudizio e questo obbiettivo di uguaglianza si pone fra storia e dover essere, e coglie l’elemento strutturante di quelle leggi, e in generale delle leggi nel sistema: realizzare la pace / l’accordo / la società degli uomini (ricordo la definizione di popolo di Cicerone cit. supra) attraverso il rendere uguale, sempre più uguale la libertà, cioè l’autosufficienza economica e l’indipendenza, l’autonomia ecc. fra i diversi ordini sociali in cui il popolo si articola e fra i quali sorgono conflitti, e fra i singoli (le XII Tavole 9.1.2 stesse contenevano il divieto di concedere privilegi, cioè di approvare leggi in favore o contro singoli cittadini).

  Il lavoro dei giuristi si innesta sulle leggi (D. 1.2.2.4.5.38) e di esse assume l’elemento strutturante dell’uguaglianza; deve ricercare ciò che è “più equo / più uguale e migliore” (Const. Deo auct. 6). Esso sviluppa ulteriormente l’obbiettivo dell’uguaglianza che è quasi la base della forza scientifica interna alla rinnovata ‘fondazione’ del diritto (D. 1.2.2.39.41 supra) che, appunto viene redatto in ars / opera sistematica, ordinata (digestum), che ad essi fa capo.

  Omettendo ora il lungo percorso fino all’età di Giustiniano, momento conclusivo dell’età della formazione del sistema del diritto romano con la codificazione di Giustiniano e dei suoi giuristi, osserviamo che ci viene puntualmente posta in luce una alternativa fra l’impegno nelle armi volto a realizzare la pace e l’impegno per il miglioramento del diritto, e una scelta a favore del secondo, perché “fra tutte le cose non si trova nulla tanto degno di dedizione quanto l’autorità del diritto, che dispone tutte le cose divine ed umane, e respinge ogni iniquità / disuguaglianza” (Const. Deo auctore 1). Emerge ulteriormente, come è stato riconosciuto (G. La Pira), che, pure di questo miglioramento del diritto con i codici, l’obbiettivo è stato quello, ‘strutturale’ fin dalle origini del sistema, di ‘rendere uguale la libertà’, ora in particolare fra i popoli uniti nell’impero, quelli della Parte occidentale e quelli della Parte orientale, che pure erano tanto diversi per lingua e cultura, e per consuetudini; ed anche rinnovando l’apertura verso quelli al di fuori di esso.

  Le leggi e il diritto, il rendere uguale la libertà e la rifondazione del diritto in sistema, secondo il diritto romano convergono quindi nella individuazione di un popolo, di una comunità politica. Il diritto va anche al di là della stessa comunità politica, e del suo diritto proprio / diritto civile / dei cittadini; è anche diritto comune. La tensione a ‘rendere uguale la libertà’ è anche la via per il riconoscimento ad altri popoli, ad altre comunità politiche di avere proprie leggi e proprio diritto. Essa è anche la via del riconoscimento del ‘diritto comune’: anche questo trova un elemento strutturale in tale tensione alla uguaglianza che è costitutiva dell’unità di tutti i popoli e tutti gli uomini in una società.

  Con questa articolazione e con la tendenza a rendere uguale la libertà e ad organizzare il diritto in modo ordinato, i iura populi Romani / complessi di norme giuridiche del popolo romano vengono elaborati e rielaborati in uno ius Romanum commune nel quale i diversi contributi si inseriscono in ‘armonia’ (Const. Imp. 2), in ‘sistema’. La pluralità viene trasformata nella complessità di un sistema, nel quale le diverse prospettive e contributi si confrontano arricchendolo.

  Come ho sottolineato, il lavoro dei giuristi li impegna nella la ricerca dinamica di ciò che è “migliore e più uguale” e per la ricerca di tale bene degli uomini pone il criterio di proporre per ogni altra persona quello stesso diritto che si proporrebbe per se stesso in quella situazione (D. 2.2); criterio che ha in sé concretezza e “somma equità” (D. 2.2.1pr.).

  Riflettere su questa via mi pare essenziale.

  Parte II

  1.Il sistema del diritto romano è nelle mani dei popoli e dei giuristi: enucleare i principi generali; la necessità di valutare tutte le posizioni per migliorare quotidianamente il diritto.-

  Oggi, il sistema del diritto romano non ha alcun vertice politico-istituzionale, per debole che fosse il vertice esistente nell’ultimo periodo della sua presenza; non ha alcuna giurisdizione che ne porti ad effetto il diritto, come era il pretore in Roma prima ed il Tribunale imperiale poi, la cui esistenza è stata ripresa dal Reichskammergericht /Tribunale Camerale Imperiale dalla metà del millecinquecento per oltre due secoli.

  Il sistema del diritto romano, come sistema, è solo nelle mani dei popoli e dei giuristi ai quali è stato trasferito dalle generazioni anteriori. È nelle mani dei primi, che con la loro potestà deliberino leggi ispirate ai principi del sistema; è nelle mani dei secondi, che hanno la coerenza e verificabilità della loro scienza, dei fili sottili che questa produce, della forza cogente dei principi che essi enucleano, sviluppano e sostengono con la autorevolezza che deriva dalla loro competenza.

  L’affermazione che un ‘diritto comune’ e dei ‘diritti propri’ esistono e si armonizzano, è, come ho detto, il punto di partenza per il giurista del sistema del diritto romano.. L’orientamento del sistema del diritto romano all’uguagliamento della libertà degli uomini, ed a se stesso come misura del bene per gli altri, e la forza della logica che da ciò scaturisce, è parte di questa affermazione

  Questo diritto comune e questi diritti propri vengono rielaborati quotidianamente nella tradizione moderna del sistema filtrando criticamente ed enucleando dei ‘principi generali del diritto’ che successivamente devono esse determinati in relazione alle molteplici situazioni fra loro uguali.

  I giuristi che hanno prodotto i codici di Giustiniano dovevano rileggere tutto il grande patrimonio di opere dei giuristi anteriori che era stato loro tramandato; dovevano confrontare tutto e scegliere ciò che era “migliore e più uguale”, valutandolo criticamente nel merito, secondo i criteri predetti.

  In altra occasione, anni or sono ho ritenuto di dover mettere in luce che la re-interpretazione del sistema del diritto romano comune può ricevere un impulso fondamentale dal porsi in ascolto di tutte le voci, di tutti i contributi, e in particolare dei contributi provenienti dalle aree diverse dalla Europa Occidentale: la diversità di contesto, di posizione in cui ci si colloca, e il contributo che da queste posizioni può derivare può allargare gli orizzonti della nostra capacità di giuristi di vedere i problemi e di cogliere la direzione giusta per “uguagliare la libertà”, per vedere le proposte giuridiche “migliori e più eque”

  2.1. I “Principi di Unidroit” e l’unilateralità che a volte emerge nella loro prospettiva.- Ritengo di avere toccato materialmente la necessità di ascolto di contributi diversi in occasione di una riflessione sui Principi per i contratti commerciali internazionali elaborati da Unidroit. Questi sono, per certi aspetti, interessanti. In essi, ad esempio art. 1.7 , è affermato che il principio della buona fede oggettiva, come espressione di diritto assolutamente vincolante comune, è inderogabile dalle parti che concludano contratti commerciali internazionali. In occasione della presentazione di questi Principi in America Latina (Valencia, Venezuela, 1996), ho avuto modo di segnalare il problema della asimmetria nella contrattazione internazionale fra parti del Nord e del Sud del mondo, trovandomi in ciò in sintonia con colleghi latinoamericani (la asimmetria che si lega alle trasformazioni tecnologiche, alla conoscenza e previsione di esse, alla moneta ecc.), ed avevo indicato come una piena interpretazione della buona fede (quale ad es. presente nel Cc.cileno/1857, art. 1546, sulla base delle fonti romane) avrebbe potuto incidere sulla stessa determinazione del contenuto della obbligazione consentendo i riequilibri eventualmente necessari. In occasione poi della presentazione degli stessi Principi a Pechino (1998), ho rinnovato l’osservazione sottolineando in particolare l’esigenza di informazione nel corso delle trattative precontrattuali, ad esempio sugli sviluppi delle tecnologie di impianti di cui la parte venditrice sia informata, o addirittura produttrice. La mia osservazione è stata fatta oggetto di esame nella competente Commissione di Unidroit composta da giuristi dell’Europa Occidentale e degli USA e non è stata accolta. Credo che ciò dipenda dalla unilateralità delle voci presenti, che ha prodotto incapacità di cercare veramente il diritto migliore e più giusto.

  2.2. I principi per il debito internazionale; la frustrazione della ricerca del diritto migliore attraverso i ricatti esperibili nel sistema delle NU; l’impegno a proseguire la ricerca e codificare i principi. – L’esperienza del dialogo con i colleghi latinoamericani, ai quali si è affiancata positivamente anche la voce dei colleghi nord-africani, è stata preziosa, in particolare con riferimento al già accennato problema del debito internazionale e dei principi che avrebbero dovuto regolarlo.

  Semplificando il discorso, si può dire che in effetti, nella seconda metà del secolo scorso, il debito internazionale ha costruito rapporti neocoloniali. Esso ha, in effetti, creato un vincolo che ha prodotto sia un infondato arricchimento dei creditori, sia una subalternità impropria dei debitori. Questo debito è stato legato ad una inadeguata, ed erronea interpretazione del diritto che lo regolava, a partire dallo stesso preteso principio della ‘intangibilità’ del riferimento monetario nonostante che proprio la variazione del ‘valore’ della moneta di riferimento era stata la causa principale e scatenante della crisi; ma anche altri principi erano coinvolti. L’alternativa interpretativa elaborata nel dialogo scientifico aperto a molte voci, ha raccolto consenso sia scientifico, sia di significativi organi rappresentativi: il Parlamento Latinoamericano; la conferenza interparlamentare Europa-America Latina; il Parlamento italiano. Però il sistema delle Nazioni Unite ha impedito di fatto che si potesse giungere alla Corte Internazionale di Giustizia per chiederle una ricognizione e dichiarazione dei principi che avrebbero dovuto e che dovevano regolare tale debito.

  La indicata subalternità / ricattabilità dei debitori ha prevalso contro il diritto.

  Dalla elaborazione dei principi in tale lavoro individuati, con gli auspici dello stesso Parlamento Latinoamericano, si è posto in movimento però un Gruppo di lavoro che attualmente sta elaborando un Progetto di codice tipo del diritto delle obbligazioni in America Latina. Si è acquisita la consapevolezza che se si avesse avuto a disposizione una elaborazione che preventivamente e in modo certo avesse fissato tali principi, la vicenda del debito avrebbe potuto essere gestita in parte diversamente, e ulteriormente che se non si cambia il diritto che si applica nei quotidiani scambi e relazioni internazionali fra i cittadini, tenendo presente il punto di vista di quanti operano al di fuori dell’area dei Paesi maggiormente industrializzati, questi operatori non trovano nel diritto stesso tutela adeguata con danno proprio e del proprio Paese. Certo, il Progetto dovrà essere all’altezza dell’obbiettivo proposto superando ogni subalternità.

  Grazie alla considerazione di situazioni diverse, la discussione scientifica si è comunque aperta e si colgono aspetti della tradizione non visti o accantonati.

  Parte III

  1.Il BRICS; la dichiarazione di Ekaterimburg;il carattere giuridico degli obbiettivi di esso.-

  Si è appena svolto a San Pietroburgo un Congresso internazionale nel quale si sono esaminati gli obbiettivi giuridici del BRICS. Desidero accennare alla tesi che ho sostenuto per discuterne con voi a proposito del diritto romano.

  I Capi di Stato e di Governo della Repubblica Federativa del Brasile, della Federazione Russa, della Repubblica dell’India e della Repubblica Popolare Cinese hanno posto in atto una convergenza assai interessante. Il Comunicato congiunto della riunione di Ekaterinburg (16 giugno 2009), al punto 12, stabilisce: «Noi sottolineiamo il nostro sostegno per un ordine mondiale multi-polare basato sulle regole del diritto internazionale, dell’uguaglianza, del rispetto reciproco, della cooperazione, dell’azione coordinata e della produzione di decisioni collettive di tutti gli Stati. Noi reiteriamo il nostro sostegno a favore degli sforzi politici e diplomatici per risolvere pacificamente le controversie nelle relazioni internazionali». Ai quattro Paesi citati, si è quest’anno affiancato il Sudafrica.

  Molti commentatori pongono in luce le divergenze degli interessi economici, finanziari e commerciali in campo, divergenze che renderebbero apparente la convergenza nel BRICS.

  Non rientra nella mia competenza analizzare gli elenchi di fattori essenzialmente economici che vengono indicati in tali diagnosi negative, o anche in quelle positive; desidero, invece, dedicare alcune osservazioni ai fondamenti e agli obbiettivi giuridici della convergenza costituita dal BRICS.

  A questa scelta, invero, sono guidato dagli obbiettivi indicati esplicitamente nei documenti prodotti negli incontri fra i capi di governo di questi Paesi.

  Lo stralcio della Dichiarazione che ho sopra riportato si riferisce al diritto internazionale, all’ordine che, attraverso di esso, va rinnovato, ed a principi chiave per tale scopo. Anche nell’ultima Dichiarazione comune di Sanya, 2011, pregnanti sono i riferimenti alla pace, all’indipendenza, alla democrazia, alla cooperazione, alla solidarietà, e, direi soprattutto, all’equità (ed equivalenti [ uguaglianza, bilanciamento ecc.]: 7 volte).

  Capovolgendo, quindi, la prospettiva economicistica diffusa fra i commentatori, ritengo che si debba osservare, ad es. con riferimento all’ultima riunione di Sanya, che l’obbiettivo centrale del BRICS non risulta affatto costituito dalla volontà che le monete di riferimento del sistema monetario e finanziario internazionale, per recuperare stabilità e certezza, debbano aprire le porte ad altre monete, o panieri di esse. È vero che ciò è stato opportunamente indicato nel Piano di azione della Dichiarazione citata, ma questo punto è inserito fra numerosi altri punti di un importante programma di azione di vasto respiro, dal quale risulta che è il diritto ed i suoi principi, nella sua complessiva dimensione, che, per recuperare credibilità e giustizia, deve aprire le porte ad altri contributi, che vengono proposti dalle diverse posizioni di tanti Paesi che proprio il BRICS sembra oggi voler rappresentare e porre al centro di importanti cambiamenti che esso intende promuovere.

  2. I diversi punti di vista dei Paesi del BRICS arricchiscono il sistema a favore dell’uguagliamento della libertà e l’unità e sviluppo dei Paesi di esso rende il miglioramento possibile ed utile per tutti.- Nell’esame degli obbiettivi giuridici che muovono i Paesi BRICS a convergere, bisogna da un lato avere una visione unitaria, d’altro lato distinguere tra gli obbiettivi di diritto e organizzazione internazionale e la vigenza di un diritto comune.

  Lascio i primi agli specialisti del diritto internazionale. Mi limito a sottolineare l’importanza del rinascimento del ‘diritto comune’ che si rileva soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, alimentato dal sistema del diritto romano. Questo, quando viene rispettato nella sua struttura profonda, quale ho cercato di delineare, non viene imposto, ma cercato, recepito, ed è aperto al dialogo con le altre esperienze giuridiche, alle quali offre i propri principi. Jiang Ping lo ha qualificato come “patrimonio comune dell’umanità”. In rapporto al quale il BRICS è ricco di una pluralità di punti di vista che possono contribuire ad un positivo sviluppo per tutti.

  Cina, America Latina, Russia, Sud Africa ispirano i loro diritti al sistema giuridico romanistico e portano in esso prospettive diverse rispetto a quella dell’Europa continentale occidentale; prospettive importanti. Tali popoli, tali paesi, insieme anche all’India, hanno grande varietà di cultura, per taluni anche di assai antico elevatissimo sviluppo; essi hanno altresì una industria dinamica, e al tempo stesso conoscono contraddizioni profonde che proprio essendo interne non possono essere rimosse dai loro occhi come rischiano di fare i Paesi maggiormente industrializzati. Essi rileggono e prospettano il sistema muovendo da diversi punti di vista: vivono intensamente la realtà di popoli per i quali la armonia del sistema, e la pace, come in ogni momento della vicenda di esso, devono realizzarsi attraverso l’uguagliamento della libertà nel senso più pieno, di vivere dignitosamente, di partecipare alla vita pubblica e di organizzare la propria vita privata, ma con prospettive che possono essere diverse e innovative. Essi, peraltro, grazie all’unità che ciascuno ha e che insieme costruiscono, non sono ricattabili come lo è stata l’America Latina nella esperienza dei decenni passati sopra ricordata con riferimento al debito internazionale (e come lo è ancora in parte anche adesso).

  Per questo io prospetto l’ipotesi di lavoro secondo la quale voi siete in grado di rendere del tutto vostra la tradizione del diritto romano, come state facendo, e una volta che l’abbiate fatta vostra dovrete andare oltre per una ‘rilettura’, per una ‘reinterpretazione’ innovativa, dovete dare un forte contributo alla costruzione del diritto comune, alla enucleazione dei principi comuni.

  Sopra, riferendomi alla materia del debito internazionale, ho riferito, in nota, alcuni principi; altri, relativi ad altri settori della nostra materia, vorrei aggiungerne: ad es.

  a) la famiglia è fondamentale struttura e luogo di formazione di cittadini / seminarium rei publicae ; essa è ‘sostenuta’ dalla potestà / ”potestas” (D. 1.6);

  b) il matrimonio ha, come elemento essenziale, in consenso dei nubendi;

  c) l’offesa ingiustificata arrecata alla persona di altri obbliga colui che l’ha arrecata a ripararla secondo ciò che è buono ed equo (D. 47.10);

  d) si deve distinguere fra cose comuni a tutti (l’aria, per la quale veniva sottolineata l’esigenza della salubrità; l’acqua, per la quale si tutelava il non inquinamento), cose pubbliche (cioè, del popolo come insieme dei cittadini organizzati, deve conservare come di tutti i cittadini), cose religiose (cioè, le tombe, i luoghi di culto, o quelle dedicate), cose di appartenenza dei singoli; diverso è il regime giuridico di esse;

  e) é interesse delle comunità politiche che ciascuno usi bene ciò che è suo (solidarietà, sicurezza);

  f) il danno arrecato ad altri obbliga colui per colpa del quale sia sta stato arrecato senza giustificazione adeguata a risarcirlo (D. 9.2); ma per talune situazioni, la legge determina il risarcimento del danno anche indipendentemente da colpa (D. 9.1 e 4; D. 9.3);

  ecc.

  3. Un programma per la ricerca e per la didattica?

  Di tutti questi principi, possiamo constatare che la re-interpretazione è costante. La direzione che questa reinterpretazione prende è apparentemente aperta, ma è, nel fondo guidata da quei caratteri strutturanti del sistema che ho richiamato: l’uguagliamento della libertà crescere; gli uomini concreti sono il fine di tutto il diritto. Ciò però è contrastato, e deviazioni interpretative si sono avute, e continuano ad avvenire, anche in relazione alle cornici concettuali generali sul diritto stesso, e, ovviamente, all’interferenza fra le diverse istanze politiche, culturali, economiche ecc. della nostra realtà. Ma, come già ricordato, tocca a noi il compito di rendere saldo il diritto, perché, secondo le parole di Pomponio che ho già ricordato, “il diritto non può stare saldo se non vi è qualche giurista attraverso cui, giorno dopo giorno, possa venire condotto innanzi, verso il meglio” (D. 1,2,2,13 in fine) [trad Luo] e questo lavoro può essere il programma per la nostra collaborazione scientifica e per la didattica.

  Testo della relazione svolta al Secondo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d’autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol. IV, Pechino, 2012.

发布时间:2013-03-05  
 

Centro di studio del diritto romano e italiano presso Universita
della Cina di scienze politiche e giurisprudenza
京ICP备05005746 Telefono:010-58908544 Fax:010-58908544 技术支持:西安博达软件股份有限公司