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Oliviero Diliberto:Le promesse unilaterali come fonte di obbligazionedal diritto romano alla discussione contemporanea

     Oliviero Diliberto

  Le promesse unilaterali come fonte di obbligazione:

  dal diritto romano alla discussione contemporanea

  1. Le fonti delle obbligazioni nel diritto romano: da Gaio a Giustiniano

  La classificazione delle fonti delle obbligazioni nel diritto romano, come è ben noto, oscilla e si modifica nel corso del tempo. Ricordo qui cose ovvie, esclusivamente ai fini del ragionamento sulla promessa unilaterale che farò a breve. Il giurista Gaio nel secondo secolo dopo Cristo propone nel suo manuale istituzionale di diritto privato romano, le Institutiones, una bipartizione delle fonti delle obbligazioni: i contratti e i delitti. Il medesimo gaio, tuttavia, osservava che aveva delle difficoltà a classificare una figura che sicuramente è fonte di obbligazione, ma che non rientrava – a dire di Gaio – né tra i contratti né tra i delitti e cioè la solutio indebiti, l’effettuazione di una prestazione non dovuta, indebitum per l’appunto: il che generava l’obbligazione della restituzione. In altre parole, quella prestazione non dovuta era fonte di obbligazione in quanto tale, ma Gaio osservava che evidentemente non poteva rientrare tra i delitti (non essendo un illecito), ma non poteva essere nemmeno un contratto perché la prestazione era effettuata, anche se erroneamente, allo scopo di estinguere un’obbligazione e non di generarla. Per questo motivo, lo stesso Gaio in un’opera diversa, le Res cottidianae o Aureorum libri, propose – successivamente alle Institutiones – una tripartizione delle fonti delle obbligazioni: i contratti, i delitti e una categoria residuale nella quale inserire tutto ciò che non rientrava né tra i contratti né tra i delitti e cioè le variae causarum figurae, ove appunto poteva far rientrare anche l’indebiti solutio. Con Giustiniano, infine, al termine della storia del diritto romano, si arriva ad una quadripartizione delle fonti delle obbligazioni: contratti, quasi contratti, delitti e quasi delitti. Per quanto interessa a noi in questa circostanza, i quasi contratti, nell’impostazione di Giustiniano, sono quelle figure che generano obbligazione da atto unilaterale: nel senso che la differenza tra quasi contratti e contratti è appunto che nei primi è assente l’accordo tra le parti. Tra i quasi contratti della classificazione giustinianea rientra dunque l’indebiti solutio già osservata, la negotiorum gestio e cioè la gestione di affari altrui senza mandato e senza un rapporto pregresso tra le due parti tale da giustificare la gestione medesima e due figure di promesse unilaterali di cui appunto dobbiamo oggi parlare: la pollicitatio e il votum.

  2. Promesse o contratti?

  Occorre premettere che di promesse, in realtà, si può parlare anche a proposito di alcuni contratti. Ad esempio, la sponsio e la successiva stipulatio si fondano su una solenne domanda e una congrua risposta (spondeo, promitto, etc.) che costituisce sicuramente anche una promessa. Tuttavia, nel caso della sponsio e della stipulatio, che sono, come si sa, contratti verbali, l’obbligazione non nasce dalla promessa medesima, ma dall’accordo, cioè dallo scambio avvenuto verbis (attraverso le parole) tra le due parti. Stessa cosa accade nella promessa di costituzione di dote, la dotis dictio, anch’essa contratto verbale, in cui la donna o chi per lei promette al marito la costituzione della dote. In questo caso, la donna è l’unica che parla, ma la promessa (in questo caso, della dote) non è tuttavia la fonte dell’obbligazione, poiché semplicemente rappresenta il modo con cui viene esplicitato un accordo tra le parti in base al quale la donna parla e il marito tace: ma ciò costituisce un’espressione tacita dell’accordo da cui nasce l’obbligazione. Stessa cosa, ancora, avviene nel caso della promissio iurata liberti, anch’esso contratto verbale, in cui addirittura compare esplicitamente la parola promessa, che concerne l’impegno a svolgere operae, promesse (sotto forma di giuramento) dallo schiavo in vista della sua liberazione (la manumissio): ma anche qui è l’accordo che fa nascere l’obbligazione, ancorché questo accordo venga esplicitato da una promessa. Anche nei contratti dove compare una promessa, dunque, non è la promessa stessa fonte dell’obbligazione, ma è l’accordo.

  Viceversa, nelle promesse unilaterali l’obbligazione, questo è il punto chiave, nasce indipendentemente dall’accettazione del destinatario e cioè è la promessa in quanto tale ad essere la fonte dell'obbligazione.

  3. I quasi contratti come fonte di obbligazione nel diritto giustinianeo

  Il diritto romano conosce solo due casi di promessa unilaterale come fonte di obbligazione e vedremo come questa eccezionalità segnerà anche tutta la tradizione romanistica sino ai giorni nostri. Queste due figure di promesse unilaterali come fonte di obbligazione vengono fatte rientrare dalla dottrina moderna nella categoria dei quasi contratti, perché – così come per le altre figure di quasi contratti – anche qui l’obbligazione nasce da atto unilaterale.

  Vediamo la prima di queste figure e cioè la pollicitatio che è l’esempio più importante e tipico (D. 50, 12, 3 pr.). Tale istituto, nelle fonti romane, viene posto esplicitamente in contraddizione rispetto al pactum: e cioè la pollicitatio è promessa che non richiede accettazione, il pactum è un accordo tra due soggetti. Normalmente, l’ipotesi più diffusa di pollicitatio è la promessa ad una res publica, e cioè ad una comunità organizzata, ad esempio un municipium, effettuata soprattutto in caso di elezioni locali in cui il candidato promette di eseguire un’opera (per esempio la costruzione di un edificio, di cui abbiamo numerose testimonianze anche epigrafiche), in vista della propria elezione. L’oggetto della pollicitatio può essere anche, oltre che un facere opus, un dare pecuniam, cioè una consegna di denaro. La pollicitatio richiede evidentemente la pubblicità, nel senso che deve essere conosciuta dai destinatari e, nel momento in cui viene pronunciata, la promessa impegna il soggetto che la ha compiuta verso la comunità che riceve la medesima promessa: dunque, in caso di inadempimento, la competenza ad agire in giudizio spetta alle autorità amministrative della res publica nei confronti della quale è stato assunto l’impegno. La pollicitatio può avvenire o in vista di una elezione, cioè per ottenere una carica pubblica e in questo caso evidentemente è sottoposta alla condizione sospensiva dell’elezione; o può anche avvenire pro honore e cioè, al contrario, per evitare una carica pubblica: in questo caso (in genere si tratta di un dare pecuniam), l’obbligazione nasce subito, al momento in cui viene eseguita la promessa. Quindi, esistono due momenti diversi in cui può nascere l’obbligazione, uno quando il soggetto promette una certa prestazione per cercare di ottenere una carica pubblica e in questo caso evidentemente la pollicitatio è sottoposta alla condizione sospensiva dell’elezione (fatto futuro e incerto per definizione); oppure, quando viene effettuata per evitare una carica pubblica e in questo caso l’obbligazione sorge subito, al momento della promessa.

  Il secondo tipo di promessa unilaterale nel diritto romano è il votum. Si tratta di un istituto giuridico-religioso diffusissimo nel mondo romano antico e che, proprio attraverso la mediazione della religione, passa anche nella prassi, ancor oggi, della religione cristiana, anche se esclusivamente con risvolti di tipo religiosi e spirituali e non giuridici. Il votum nel diritto romano è una promessa unilaterale dell’uomo alla divinità, attraverso la quale si promette una certa prestazione ove venga esaudita una richiesta. Caso classico è il votum pro salute, quando un soggetto promette di eseguire una prestazione, ad esempio erigere un altare, costruire un tempio o sacrificare un animale, se guarirà da una malattia. Il fenomeno è diffusissimo: si sono conservate molteplici epigrafi che attestano il votum ed è evidente che esso costituisca una promessa unilaterale (quella dell’essere umano verso la divinità), che fa nascere un’obbligazione: quest’ultima può essere fatta valere (è cioè azionabile in giudizio) da parte dei sacerdoti della divinità invocata. Il votum è per definizione orale, ma il suo contenuto – a scopo probatorio – è anche redatto per iscritto in tavolette votive che vengono depositate presso il tempio della divinità invocata. Questa promessa è anch’essa tipicamente sottoposta a condizione sospensiva e cioè alla circostanza dell’esaudimento o meno della preghiera. Nel momento in cui (e sempre se ciò accadrà), stando all’esempio di prima, la persona malata guarirà dalla malattia, nascerà pienamente anche l’obbligazione e si sarà tenuti ad adempiere quanto promesso.

  Come si vede, la disciplina delle promesse unilaterali nel diritto romano è del tutto eccezionale: si tratta di soli due casi, pollicitatio e votum, che rispetto al complesso delle fonti delle obbligazioni sono piuttosto singolari e marginali.

  L’idea di fondo, in definitiva, è che l’obbligazione da atto lecito debba nascere dall’incontro di due volontà e non già da quella di un solo soggetto, se non – appunto – in casi eccezionali.

  4. La tradizione romanistica

  Tale sfavore rispetto alle promesse unilaterali come fonte delle obbligazioni condizionerà tutta la tradizione romanistica successiva, perché anche nelle codificazioni europee dell’Ottocento, figlie – appunto – della tradizione romanistica, resta l’idea che l’obbligazione nascente da promessa unilaterale non debba essere generale, ma solo eccezionale. Ciò è pacifico per lo meno sino a tutta la seconda metà dell’Ottocento, salvo l’isolata eccezione del codice civile tedesco, perché un autore tedesco molto importante, Siegel, nel 1873 sostenne che nella tradizione germanica fosse riscontrabile, contrariamente a quella romanistica, una certa diffusione del fenomeno delle promesse unilaterali come fonte di obbligazione. Quindi, esplicitamente contrapponendo una tradizione autoctona tedesca a quella romanistica sulla base dei lavori del Siegel, il BGB (§ 657 e ss.) offre un certo riconoscimento alle obbligazioni unilaterali, la qual cosa viceversa non si verifica negli altri codici a base romanistica.

  Per quanto riguarda l’Italia, la disciplina delle obbligazioni nascenti da promessa unilaterale è contemplata negli articoli 1987 e ss. del codice civile, con una dicitura che non lascia spazio ad equivoci, perché si afferma che la promessa unilaterale “non produce effetti obbligatori fuori dai casi ammessi dalla legge”. Quindi, la promessa unilaterale rappresenta una eccezione al sistema delle fonti delle obbligazioni nel diritto civile italiano, circostanza questa esplicitata senza possibilità di equivoci nella relazione al codice civile del 1942 (n. 781): “si vuole escludere” che la promessa unilaterale “sia un tipo generale di fonte di obbligazione”, perché altrimenti manderebbe in crisi in modo radicale “il campo di applicazione del contratto”. Come si vede, dunque, viene esplicitamente contrapposta la promessa unilaterale al contratto, che si sostanzia viceversa – come ben noto – nello scambio del consenso. In conseguenza di ciò, nel codice civile italiano le ipotesi di promessa unilaterale che sono fonte di obbligazione sono sostanzialmente due, di cui una sola però può essere considerata fonte di obbligazione dal punto di vista sostanziale e cioè la promessa al pubblico, su cui torneremo: la seconda ipotesi, infatti, il riconoscimento del debito (e cioè il fatto di riconoscere unilateralmente un debito preesistente), ha un effetto meramente processuale: infatti, il debito che viene riconosciuto attraverso la promessa unilaterale è un debito che è nato precedentemente da un’altra fonte di obbligazione e non dalla promessa medesima. In altre parole, la promessa unilaterale è vista nel sistema civilistico italiano, ma più in generale nei sistemi civilistici a base romanistica, con sfavore.

  I tentativi che sono stati fatti di dare un qualche carattere più generale all’obbligazione nascente da promessa unilaterale (come il progetto di codice italo – francese delle obbligazioni e dei contratti del 1929) non hanno sortito alcun risultato.

  Diverso è il caso della Common law in cui l’obbligazione nasce da promessa o da scambio di promesse reciproche, purché esista una giustificazione oggettiva delle promesse medesime riconosciuta dall’ordinamento (quella che gli anglosassoni chiamano la consideration). In altre parole, il contratto è definito promessa e/o promesse azionabili: nel senso che il contratto si fonda sulla promessa di una prestazione, sia essa reciproca tra le parti, sia essa semplicemente unilaterale. Come spiegare, dunque, questa diversità di fondo tra i sistemi a origine romanistica e i sistemi di Common law?

  5. Il dogma del consenso

  Occorre partire dal nostro sistema, nel quale la promessa, che rappresenta un impegno ad adempiere, se diventa reciproca fa nascere un contratto: ma la fonte dell’obbligazione non è la promessa, ma è da individuare nello scambio dei due consensi che generano il contratto: è dunque quest’ultimo la fonte dell’obbligazione. La promessa unilaterale, viceversa, è cosa concettualmente totalmente diversa, perché in essa, se riconosciuta dall’ordinamento, l’obbligazione nasce indipendentemente dall’accettazione, come abbiamo già osservato. Quindi, l’elemento base che differenzia la promessa unilaterale come fonte di obbligazione rispetto a tutte le altre fonti dell’obbligazione sta appunto nell’irrilevanza dell’accettazione da parte del destinatario della promessa: quest’ultima diventa irrevocabile appena è conosciuta dal destinatario, ma non è necessario – al fine del sorgere dell’obbligazione – che venga anche accettata.

  Ad esempio, nella promessa al pubblico (che si può sostenere sia una promessa in incertam personam) è necessaria ovviamente la pubblicità della promessa medesima, cioè che essa sia nota al pubblico cui si rivolge. Non è necessario, invece, sia anche accettata: l’obbligazione è nata già, nel momento in cui la promessa è resa nota al pubblico.

  Se, viceversa, fosse richiesta l’accettazione per la nascita dell’obbligazione, non ci troveremmo più di fronte ad una promessa, bensì ad una proposta: per l’esattezza, sarebbe una proposta di accordo che, dunque, se accettata, costituirebbe uno scambio di consensi. Sarebbe quindi – in definitiva – un contratto.

  Questa differenza tuttavia è possibile, anzi essenziale, soltanto nei sistemi giuridici privatistici ove vige quello che la dottrina chiama normalmente “il dogma del consenso” e cioè quei sistemi in cui l’obbligazione nasce solo o pressoché esclusivamente appunto dallo scambio del consenso tra le parti. Come è ovvio, questo è tanto più forte in quei sistemi giuridici privatistici ove la classificazione delle fonti delle obbligazioni è rigida e non è elastica, non lascia cioè spazio all’autonomia dei privati.

  6. La teoria e la prassi

  In realtà, le considerazioni che ho svolto sino adesso vanno confrontate con la realtà dei fatti, che è più duttile delle classificazioni teoriche, tanto più nei sistemi di scambi economici diffusi come quelli odierni. Soffermiamoci, dunque, sull’offerta al pubblico, che è esplicitamente identificata nel codice civile italiano come una promessa unilaterale, caso eccezionale, fonte di obbligazione. L’offerta al pubblico, nelle economie contemporanee, tende ad allargare i suoi confini anche nei sistemi dove vige il c.d. “dogma del consenso”. Un esempio tipico è costituito dalle promesse contenute nelle pubblicità commerciali dei prodotti in vendita al pubblico, per le quali la dottrina ha coniato la definizione di “promesse interessate”, nel senso che sono promesse dalla cui esecuzione il promettente si attende dei vantaggi (vendita del prodotto).

  Alcuni esempi di offerte al pubblico sempre più diffuse sono: la promessa di certe prestazioni lavorative particolari e cioè prestazioni molto specialistiche che richiedono delle competenze particolari; ancora, le promesse atipiche di fare o di dare, ad esempio la promessa di una ricompensa se una persona troverà un acquirente per un bene posto in vendita (cioè io prometto che darò una cifra a chi riuscirà a vendere un certo mio oggetto); ancora, la promessa di una ricompensa a chi troverà l’autore di un illecito o, ancora, la promessa di un premio a chi riuscirà a ritrovare una cosa smarrita; ancora, la promessa di dare una somma di denaro a chi farà una scoperta scientifica.

  Come abbastanza chiaro, si tratta di esempi – diffusi nella prassi economica – di promesse di natura “premiale”, che evidentemente non richiedono un’accettazione: nel momento in cui un soggetto che è a conoscenza della promessa riesce a svolgere quella certa attività, l’obbligazione è già nata e quindi il promittente è tenuto ad adempierla.

  In realtà, tuttavia, anche il tema delle promesse “premiali” non è pacifico in dottrina.

  Una parte degli studiosi, infatti, ritiene che anche gli esempi ora richiamati non costituiscano promesse al pubblico e dunque non rientrino nella categoria delle promesse unilaterali riconosciute dal nostro ordinamento. Questa parte della dottrina ritiene, infatti, che si tratterebbe di contratti sottoposti a condizione sospensiva (se venderà, se troverà, se scoprirà etc.). Ancora una volta, dunque, questa dottrina si ispira alla tradizione romanistica e cioè all’idea del disvalore della promessa unilaterale come fonte di obbligazione e cerca di far rientrare, dunque, nella nozione di contratto anche delle figure che sembrano oggettivamente viceversa delle promesse unilaterali.

  Concludiamo. La promessa unilaterale come fonte generale di obbligazione in quanto tale, senza necessità di accettazione da parte del destinatario, è tipica di sistemi “aperti” delle fonti delle obbligazioni come la Common law, che non hanno nel corso dei secoli maturato quello che ho definito il “dogma del consenso”. Viceversa, la medesima promessa unilaterale è decisamente osteggiata nei sistemi a impianto romanistico, sulla base delle considerazioni che ho svolto nel corso di questa conversazione e cioè in quegli ordinamenti che hanno un sistema di classificazione delle fonti delle obbligazioni rigido e che hanno individuato nel contratto, scambio di consenso tra le parti, il fondamento pressoché unico della nascita dell’obbligazione.

  Vi ringrazio per la vostra attenzione.

  Testo della relazione svolta al Secondo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d’autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.IV, Pechino, 2012.

发布时间:2013-03-05  
 

Centro di studio del diritto romano e italiano presso Universita
della Cina di scienze politiche e giurisprudenza
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