Sistema della proprietà e dei diritti reali
Prof. Pietro Rescigno
Il discorso viene svolto in termini generali, adottando come base di partenza il diritto italiano (e quindi il codice civile dal ’42 vigente in Italia) e la tradizione, soprattutto di origine romanistica, su cui esso è costruito. Ma, ai fini di una sia pur elementare comparazione, si terrà conto dell’indice della bozza di legge sui diritti reali che si sta elaborando in Cina e soprattutto – in ragione della ricchezza del testo – dei Principi generali del diritto civile della Repubblica popolare cinese, nella parte riguardante la materia.
L’interesse della collocazione nei Principi generali si lega soprattutto alla circostanza che la proprietà e i diritti reali sono inseriti in un vasto disegno che nel cap. V si intitola ai ‘civil rights’ e che comprende, in successive sezioni, proprietà e diritti reali, diritti di credito, proprietà intellettuale e diritti della personalità.
L’importanza della inclusione tra i ‘diritti civili’ è legata all’obiettivo di valorizzare il mercato come fattore e luogo di libertà economica, presupposto del riconoscimento e dell’esercizio delle libertà civili. Non può ritenersi tuttavia operata una garanzia costituzionale della proprietà, ed in particolare della proprietà privata; del resto la stessa Costituzione italiana non costruisce la proprietà come diritto fondamentale né la tutela in connessione con la libertà, limitando la garanzia alla legge ordinaria, con i limiti rappresentati dall’adempimento di una funzione sociale e dalla accessibilità a tutti.
Debbono segnalarsi con particolare interesse, dai principi generali, l’accostamento ai diritti della personalità (con i quali è senza dubbio collegato il godimento di beni di generale fruizione come l’ambiente), e la specifica menzione della proprietà intellettuale, che ora è materia di apposita indicazione anche nella Carta europea (e della quale pure è evidente il collegamento con la materia dei diritti della personalità). Quanto ai crediti, sembra correttamente estraneo alla considerazione del legislatore cinese il tema della tutela reale dei diritti di obbligazione: materia degna di riflessione, ma certamente non riconducibile al profilo sistematico della proprietà e dei diritti sui beni. Deve infine segnalarsi l’esplicita indicazione della vicenda ereditaria, istituendosi un necessario rapporto tra proprietà individuale e regime successorio.
I temi di politica del diritto che il legislatore cinese sta affrontando, e che verosimilmente incidono sulla ritardata emanazione della legge sui diritti reali, sono molteplici; qui si indicano alcuni argomenti che appaiono caratteristici della tradizione (anche non risalente) della Repubblica popolare o per i quali qualche utile suggerimento può venire dalle altre esperienze, di civil law e di common law, ma soprattutto dalla prima per talune maggiori affinità dei punti di partenza o di incontro.
Saranno di seguito brevemente trattati i temi: a) della disciplina dei beni come eventuale premessa legislativa al regime dei diritti reali; b) della titolarità pubblica, privata o collettiva; c) del trasferimento e della pubblicità; d) delle ragioni storiche e positive della unitaria categoria; e) della tipicità dei diritti reali; f) del possesso.
Preliminarmente può impostarsi un problema: se, in un disegno legislativo della proprietà e dei diritti reali, convenga inserire, a modo di premessa una organica disciplina dei beni. Così, almeno in parte, ha proceduto il legislatore italiano: in verità, di molte distinzioni e categorie la rilevanza risulta da specifiche discipline, distribuite in diverse aree del sistema, dove rimane dominante la distinzione di beni mobili ed immobili, pur se sul piano economico essa ha perduto l’importanza di un tempo, in confronto con discriminazioni come quella tra beni produttivi e improduttivi (dove si inserisce il discorso sui frutti, naturali e civili, e ancor più quello sull’azienda, che sul piano teorico mette in luce altresì la relatività della configurazione delle realtà regolate dal diritto in termini di oggetto o di soggetto di diritti, di complesso di cose o di persona, avuto riguardo all’autonomia dell’organizzazione strumentale all’impresa).
Ma l’attenzione ai beni, prima ancora che alla proprietà e ai diritti reali, può consentire una prima classificazione in ordine alla titolarità, in ragione dell’appartenenza allo Stato, ad enti pubblici, a collettività, a privati (per questi ultimi superando l’antico pregiudizio che ne limitava l’appartenenza con riguardo ai beni di consumo, e quindi strettamente personali).
Il discorso si lega all’interrogativo circa l’opportunità di mantenere la distinzione tra proprietà statale, collettiva, privata (per quest’ultima non limitandosi a quella strettamente individuale), senza che sia necessario perseguire la parificazione di tutela con l’attribuire a tutte il carattere sacro e inviolabile che riproduce la formula delle rivoluzioni liberali. La distinzione anche nei nostri sistemi permane, riferita più spesso ai beni che al diritto (di cui non è diversa la sostanza). All’osservatore straniero interessa, e non per mera curiosità, la conservazione e, ove occorra, l’arricchimento delle proprietà collettive, non necessariamente attraverso lo strumento della personificazione, anche perché nei nostri sistemi uno dei momenti critici spesso denunciati è costituito dal tramonto o dalla cancellazione di proprietà comuni, a vantaggio della proprietà individuale rimasta l’esclusivo modello e prototipo del dominio.
I temi di politica del diritto che una sia pur rapida rassegna comparativa deve opportunamente segnalare riguardano materie sulle quali la stessa esperienza continentale è divisa.
Così è a dire, in primo luogo, della scelta tra principio consensualistico negli atti costitutivi e traslativi della proprietà e dei diritti reali e, su un versante opposto, scissione del momento obbligatorio dalla fase attuativa dello spostamento patrimoniale (in breve, tra regola francese e principio tedesco). La valutazione del ruolo da attribuire, rispettivamente, alla volontà e ai meccanismi di pubblicità è questione di squisito carattere politico-economico, certamente contribuendo il primo sistema alla circolazione più rapida della ricchezza ed il secondo alla maggiore sicurezza delle situazioni e dei traffici. L’importanza che nei documenti legislativi e negli scritti dottrinari disponibili sembra conferita nel diritto della Repubblica popolare alla registrazione, che sembra requisito di non minore dignità dell’accordo, induce a pensare che si preferisca e ci si orienti piuttosto verso il modello tedesco, con la distinzione tra fase meramente obbligatoria e iscrizione nei libri fondiari posta a base dell’acquisita titolarità. Conviene ascoltare dai colleghi interlocutori cinesi se e con quali programmi ed esiti sia stata discussa e operata la scelta: i segni a noi visibili del dibattito sembrano privilegiare il modello tedesco, che dovrebbe entrare pertanto nella disciplina della proprietà e dei diritti reali (mentre presso di noi, in ragione del diverso orientamento adottato per ragioni storiche e motivi economici, la materia della pubblicità e della trascrizione è autonomamente trattata o costituisce un’appendice del discorso svolto sull’efficacia del contratto tra le parti e rispetto ai terzi).
Un tema da non trascurare è quello della tipicità dei diritti reali. Qui, senza volere attribuire alla tassatività degli schemi un carattere logicamente insuperabile ed al fine di sottolinearne invece la storicità, conviene richiamare le ragioni per cui venne elaborata la teoria unitaria della proprietà e dei diritti reali e chiarire così il senso della tipicità, al tempo stesso mettendo in luce come l’autonomia privata riesca a mitigarla o a correggerla.
Dall’indice di cui ho potuto prendere visione, vorrei intanto segnalare, per le note indubbie di novità e di originalità, la materia dei diritti reali di godimento, per ciò che riguarda i fondi in concessione, i fondi per costruzione, i fondi a destinazione abitativa: in particolare, per quelli in concessione, lo stretto legame tra diritto reale e attività di impresa (nella specie, l’impresa agricola).
Tecnicamente corretta è l’attrazione del regime della comproprietà nel libro sulla proprietà; obbedisce alla tradizione dottrinale che tratta – sia pure con le opportune distinzioni – diritti di godimento e di garanzia nell’ambito della unitaria categoria dei diritti reali, il libro su pegno e ipoteca, verosimilmente arricchito dalla considerazione delle forme moderne di pegno (come il c.d. pegno anomalo); il sistema italiano, sensibile alle differenze e alla diversità di struttura e di funzione, trasferisce al libro finale del codice, di cui è innegabile la estrema eterogeneità, la materia dei diritti reali di garanzia. Il progetto cinese vi aggiunge la disciplina della ritenzione, che è istituto nel nostro sistema ritenuto insuscettibile di un regime unitario e perciò da ricostruire attraverso le disperse e frammentarie discipline di istituti diversi.
A chiusura dell’indice appare la disciplina del possesso, rispetto alla quale può mantenersi aperta la discussione circa la pertinenza e la coerente annessione alla proprietà e ai diritti reali di un istituto che ne trascende i confini.
Conviene, nel riprendere il tema della unità della categoria dei diritti reali, mettere in luce la profonda differenza tra proprietà e diritti speciali. Nella proprietà veramente può dirsi che il titolare realizza il suo interesse – l’interesse per cui la legge gli attribuisce il potere – traendo dalla cosa le utilità che può rendergli, attraverso il godimento del bene o col disporne. La pienezza del godimento e della disposizione gli sono garantiti per il fatto che tutti gli altri soggetti ne sono esclusi, ed è in questa esclusione degli altri l’essenza della proprietà. Nei diritti reali gli aspetti della immediata soddisfazione dell’interesse e del potere di escludere tutti i consociati sono profili di secondaria importanza rispetto al costituirsi di un rapporto tra il proprietario e il titolare del diritto reale speciale (usufruttuario, enfiteuta, superficiario, e via dicendo).
La differenza della posizione del proprietario nei diritti reali limitati, rispetto alla situazione del debitore nel rapporto obbligatorio, è in ciò, che al debitore normalmente si chiede una cooperazione, un attivo impegno per realizzare l’interesse del creditore, ciò che invece non è richiesto al proprietario nei rapporti nascenti da diritti su cosa altrui. Ma la differenza si attenua e a dirittura scompare se si ha riguardo al dato sostanziale della restrizione della libertà, personale o dei beni, che risulta dal rapporto (a carico del proprietario nei diritti reali speciali, del debitore nei rapporti obbligatori, che del resto, quando la prestazione abbia ad oggetto un non fare, non esigono impegno alcuno di attività del debitore).
La ragione storica della categoria unitaria dei diritti reali si ritrova nell’idea che della proprietà accoglievano i codici della società borghese, a partire dalla Rivoluzione francese. Spogliata delle connessioni col potere politico e ristretta sul terreno del potere economico, la proprietà veniva garantita e la condizione naturale dei beni appartenenti ai privati diveniva la libertà da vincoli, da pesi, da limitazioni. La libertà dei beni era dunque la regola, contro la concezione feudale che attorno ai beni consentiva una serie di rapporti spesso difficili anche da ricostituire e ordinare, ed in talune situazioni reali rendeva persino disagevole individuare il vero proprietario. I diritti reali su cose in proprietà d’altri divenivano, dal canto loro, l’eccezione: di qui l’opportunità, avvertita dal legislatore borghese, di ammetterli secondo schemi precisi, senza lasciare all’autonomia privata margini per creare nuovi diritti o per manipolare le figure previste e, per la dottrina, la convinzione che dovesse farsi, della proprietà e dei diritti su cose altrui, una categoria logica con caratteri di unità.
La costituzione di un diritto reale speciale, o limitato, presuppone l’esistenza, sulla cosa, della proprietà di un soggetto: con riguardo a tale esigenza può dirsi che la proprietà rappresenti il diritto fondamentale in confronto dei diritti reali limitati, avvertendo che l’aggettivo viene usato in un significato affatto diverso da quello in cui ricorre a proposito dei diritti costituzionalmente garantiti ai singoli e ai gruppi. In quest’ultima accezione la proprietà non è un diritto fondamentale, per essere stata cancellata dalla tavola di quei diritti.
Sempre secondo un consolidato insegnamento i diritti reali vengono distinti in due gruppi: diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia. Di tutti sono considerati caratteri comuni l’assolutezza, l’immediatezza e il diritto di séguito; ugualmente comune a tutti sarebbe il carattere di dipendenza dal fondamentale diritto di proprietà, che riprende la sua ampiezza quando venga meno il diritto reale speciale che lo comprimeva (si parla, in proposito, di elasticità del dominio).
Il sistema positivo italiano, quanto alla distinzione ed alla collocazione dei diritti reali di godimento e dei diritti reali di garanzia, adotta tuttavia criteri più attendibili dello schema scolastico. Decisiva, per le garanzie reali, è la funzione assolta: di qui il regolamento nell’ultimo libro del codice, il libro “della tutela dei diritti”, nella parte relativa alla responsabilità patrimoniale. Nel libro “della proprietà” trovano perciò la loro disciplina (oltre alla proprietà, alla comunione e al possesso) soltanto i diritti reali detti di godimento (superficie; enfiteusi; usufrutto, uso e abitazione; servitù prediali).
I diritti reali di godimento elencati esauriscono le scelte consentite ai privati che vogliano limitare la proprietà di un bene costituendo un diritto a favore di un soggetto, o un peso sulla cosa a vantaggio di un’altra cosa. Questo dato vuole esprimersi con l’affermazione del numero chiuso dei diritti reali, contro il principio della libertà dei privati nel campo dei rapporti obbligatori.
Nel regime dei diritti reali di godimento la prima nota comune è, dunque, di rappresentare un elenco tassativo di schemi economici consentiti all’autonomia negoziale dei privati. Comune a tutti è altresì il principio della estinzione per non uso del diritto quando il mancato esercizio si sia protratto per il tempo stabilito dalla legge. In breve, la limitazione del diritto di proprietà appare giustificata solo dalla effettività dell’esercizio del diritto che la comprime.
Diversamente sono regolati, i singoli diritti reali di godimento, in altri punti, e in primo luogo in ordine alla durata del diritto. Coerente con il carattere eccezionale sarebbe la temporaneità di tutte le limitazioni, ma la soluzione positiva non è uguale nei vari diritti, e la diversità si spiega in ragione del contenuto e delle finalità del diritto. Così è temporaneo l’usufrutto, la cui durata non può eccedere la vita dell’usufruttuario, e i trent’anni se costituito in favore di una persona giuridica; enfiteusi e superficie possono essere perpetue e per la prima è stabilita una durata minima, di vent’anni; per loro natura non hanno limiti di durata le servitù prediali. Decisiva, come si è detto, è la considerazione della struttura e della funzione del diritto: l’usufrutto priva il proprietario della facoltà di godimento e rischierebbe perciò, se prolungato oltre limiti ragionevoli, di disinteressare completamente il proprietario alle vicende e al destino della cosa; la servitù è legata alla situazione dei fondi e perciò il peso di un fondo ed il vantaggio dell’altro possono durare sin che persista quella situazione.
Il regime dei singoli diritti reali limitati è diverso anche per ciò che riguarda la presenza, o meno, di doveri del titolare, integrati nella struttura e nella definizione stessa del diritto speciale.
Poiché i diritti reali costituiscono un numero chiuso, ogni forma di vincolo o di soggezione dei beni che non sia riconducibile agli schemi legali riconosciuti assume natura ed effetti puramente obbligatori, quindi ristretti ai soggetti tra cui il rapporto si costituisce. La libertà dei privati è limitata anche per ciò che riguarda la costituzione di rapporti obbligatori collegati a situazioni reali. Nelle obbligazioni reali la persona del debitore si determina per rinvio alle situazioni attive che il soggetto occupa in un rapporto di natura reale: per esempio il proprietario del fondo servente può essere tenuto, per legge o in virtù del titolo costitutivo della servitù, a “prestazioni accessorie” che rendono possibile l’esercizio della servitù da parte del proprietario del fondo dominante.
I rapporti descritti sono di natura obbligatoria, e la nota di realità in essi presente riguarda solamente il modo di determinazione del debitore, che muta con l’avvicendamento dei titolari della proprietà o del diritto (e perciò si parla di obbligazioni ambulatorie).
La natura di vere obbligazioni importa la responsabilità patrimoniale del debitore con tutti i beni, presenti e futuri; di fatto una limitazione in senso economico della responsabilità è accordata dalla legge per il fatto che l’obbligato può liberarsi con l’abbandono della cosa o con la rinunzia al diritto.
Responsabilità con l’intero patrimonio e possibilità di abbandono liberatorio del bene contraddistinguono anche gli oneri reali. Gli oneri reali sono visti con sfavore dal diritto contemporaneo, che ne agevola la conversione in denaro o l’affrancazione. In essi il titolare può avvalersi, oltre che dell’azione personale verso l’obbligato, anche dell’azione reale sulla cosa che ne è gravata. Nella varie forme in cui storicamente presero vita – censi, livelli, canoni, decime -, gli oneri reali derivavano dal riconoscimento di un diritto eminente al sovrano o ad un ente territoriale o ad una comunità (principalmente la Chiesa) o anche a un privato; rispetto al diritto eminente il peso sulla cosa creava un vincolo proprietario.
Per concludere sul tema della tipicità, che riguarda anche altri settori in cui si esplica l’autonomia privata (si pensi al diritto familiare e alle promesse unilaterali), il carattere si lega all’idea di circoscrivere le limitazioni della proprietà, circa il contenuto e la durata. L’orientamento contrario privilegia la libertà dei soggetti, privati o pubblici, nel costruire vincoli non meramente obbligatori attorno ai beni.
Ancora qualche considerazione sul possesso, circa l’inclusione dell’istituto nella legge su proprietà e diritti reali (come del resto ha operato il legislatore italiano).
Il discorso sul possesso avrebbe potuto collocarsi all’inizio anziché a chiusura della parte relativa ai beni e ai diritti delle cose; e questo posto viene riservato al tema in qualche trattazione tra le più pregevoli della nostra letteratura. Poiché la tutela del possesso è la tutela di situazioni di fatto, può giustificarsi che da esse si prenda l’avvio, dando appunto la precedenza alla considerazione dei fatti di rilevanza sociale prima ancora di occuparsi dei fatti rivestiti di legittimità formale sotto il profilo giuridico.
D’altra parte il termine “possesso” si trova, nel linguaggio normativo, anche fuori del regime dei beni e dei diritti reali.
Ma in una accezione tecnicamente rigorosa la parola e l’istituto del possesso appaiono e sono regolati a chiusura del libro “della proprietà”, istituendosi nelle norme uno stretto legame tra possesso e diritti sulle cose (proprietà e diritti reali limitati). Il possesso, infatti, è definito come “il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale”; aggiunge la norma italiana che “si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.
Anche la detenzione dunque, come risulta dalla definizione del possesso e dalla distinzione tra possesso diretto e possesso mediato, si risolve in un potere di fatto sulla cosa, ed anzi costituisce nozione più semplice. Fra detenzione e possesso la differenza consiste in ciò, che il potere del detentore sulla cosa presuppone e riconosce un possesso altrui, anche quando il concreto contenuto dei poteri sia lo stesso.
Da diverse norme (prescindendo da quelle in cui vengono parificati proprietario, possessore e detentore) può ricavarsi quale sia il rapporto tra proprietà e possesso. La coincidenza nella stessa persona dell’una e dell’altro, della investitura legale e del potere di fatto, rappresenta la ipotesi più semplice e dovrebbe essere il modo normale di atteggiarsi delle relazioni tra gli uomini e le cose del mondo fisico. Ma la coincidenza può mancare. Si pensi ai negozi che trasferiscono la proprietà o altro diritto reale: la proprietà si trasferisce per effetto del consenso, mentre il possesso si consegue dall’acquirente soltanto con la consegna della cosa, e la consegna può essere non contestuale al compimento del negozio. Può darsi invece che il possesso sia immediatamente trasferito al compratore, mentre è ritardato il passaggio della proprietà: così avviene, secondo le vedute correnti, nella vendita a rate con riserva della proprietà.
Il tema del possesso, come istituto giuridico stabilito a protezione delle situazioni di fatto, assume più accentuata importanza quando il potere del soggetto non deriva da un’investitura, temporanea o definitiva, del proprietario, ed anzi contrasta con il diritto del proprietario (che dispone, in confronto del possessore e del detentore senza titolo, dell’azione di rivendica).
Conviene accennare, in breve, le ragioni della garanzia legale apprestata alle situazioni di fatto attraverso le azioni possessorie. La semplicità e speditezza di tali azioni spiega perché in concreto esse vengano esperite anche dal proprietario che sia spogliato della cosa o venga molestato nel godimento del diritto, a preferenza o prima di far valere le azioni a difesa della proprietà.
Una dottrina recente distingue gli istituti (la proprietà, il credito, i diritti reali limitati) dalle istituzioni giuridiche. In queste ultime il soggetto viene abilitato ad agire non più a tutela di una prerogativa a lui riconosciuta per un interesse suo proprio, sulla base di una relazione d’interessi e di una subordinazione già apprezzate positivamente nel sistema, bensì per la realizzazione d’interessi generali. Questi interessi rispondono alle ragioni ed alla necessità della pacifica convivenza dei consociati e della conservazione dell’ordinamento. Sono stati indicati, come esempi di siffatte istituzioni, il possesso, la concorrenza economica da svolgere in condizioni di libertà e lealtà, il matrimonio. Senza affrontare il generale discorso sulle istituzioni, e sui poteri che ai privati sarebbero conferiti a tutela di quelle, invece che per un particolare loro interesse, occorre solo ricordare che nella dottrina contemporanea si va consolidando l’opinione che assegna al possesso funzioni attinenti alla pacifica convivenza dei consociati ed alla immediatezza delle reazioni legali contro fatti intervenuti a turbare l’ordine delle cose e le competenze degli uomini, quali concretamente risultano e appaiono esercitate nel contemplare la realtà. Nella dottrina più antica prevalevano altre spiegazioni dell’istituto, inclini ad accentuarne i legami con la proprietà, attuale o potenziale, del bene: la protezione della situazione di fatto appariva preordinata alla conversione, o meglio al consolidarsi del fatto in situazione di diritto (e perciò si comprende come non siano sufficienti a fondare il possesso gli atti di semplice tolleranza del proprietario, per i quali manca una effettiva dissociazione tra titolarità formale ed esercizio sostanziale del potere).
Seminario. Pechino – ottobre 2005