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Responsabilità medica: nesso di causalità e concorso di cause
L’illecito più rilevante cui potrebbe andare incontro un medico nell’esercizio della sua professione è ovviamente quello di omicidio colposo, seguito da ogni menomazione dell'integrità psicofisica che può essere ricondotta ad un comportamento colposo del medico. Per fare solo un cenno alle cosiddette “conseguenze civili del reato” si può dire che, oltre alle pene, alle misure di sicurezza e sanzioni penali, ogni reato comporta obbligazioni civili verso lo Stato e verso le vittime del reato, alle quali viene riconosciuto il diritto alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Responsabilità medica: nesso di causalità e concorso di cause
con l'autorizzazione dell'autore
Sommario:
1. Premessa e previsione legale. - 2. Cenni sulle teorie interpretative del rapporto di causalità 3. - La causalità dei reati omissivi e l’obbligo di impedire l’evento. - 4. Concorso di cause e preponderanza casuale di quella sopravvenuta. - 5.Particolarità della causalità omissiva nella individuazione del nesso. - 6. Evoluzione giurisprudenziale nella ricostruzione del nesso di causalità omissiva.- 7. Accertamento del nesso di causalità attraverso il giudizio controfattuale. - 8. I principi fissati dalle Sezioni Unite Penali della Cassazione e la teoria della probabilità logica. - 9. La più recente giurisprudenza di legittimità sulla ricostruzione del nesso casuale. - 10. Applicazione nell’ambito civile dei principi fissati in sede penale riguardo al nesso di casualità. – 11. Breve rassegna di massime sulla giurisprudenza di merito del 2004. -
1. Premessa e previsione legale
Il nesso o rapporto di causalità, nella schematizzazione del reato, è il rapporto che unisce il comportamento assunto dal colpevole nel commettere un reato (condotta) alla conseguenza dannosa (evento).
L'accertamento del nesso di causalità è indispensabile per fondare un giudizio di colpevolezza o di innocenza in quanto permette di affermare (o escludere) che la condotta è la causa dell'evento dannoso.
In molte ipotesi di reato, riesce difficile accertare se l'evento sia stato determinato da una certa condotta: specie quando l'evento, cioè l'effetto, può essere attribuito a più di una causa.
L’argomento, al quale il codice penale dedica sostanzialmente due articoli (40 e 41), rappresenta uno dei temi di maggiore incertezza e complessità che si presenta nel diritto penale ed anche civile, perché c’è da considerare che i principi espressi nelle norme penali in discorso trovano applicazione anche in sede civile.
In base all'articolo 40 del Codice penale, “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”, con l’aggiunta del secondo comma in base alla quale “non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".
Il successivo articolo 41 riguarda il “concorso di cause” e testualmente stabilisce:
· Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.
· Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.
· Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.
Sulle disposizioni del Codice penale sopra riportate (rapporto di casualità e concorso di cause) la produzione di dottrina giuridica è praticamente enorme e numerosissime sono le pronunce dei giudici che si sono soffermati sull'argomento.
Il fondamentale ruolo del nesso di causalità, in fatto di attribuzione della responsabilità, ha fatto fiorire teorie e acceso dispute giuridiche, favorendo una notevole produzione di opere destinate prevalentemente agli studiosi della materia ed agli operatori del diritto dotati di cultura giuridica, in grado, quindi, di intendere un linguaggio specialistico complesso e privo di semplificazioni.
La presente esposizione è stata voluta, invece, pensando all’uso di un linguaggio giuridico (per quanto possibile) semplice e lineare, comprensibile a chiunque mediante un’operazione intellettiva sappia cogliere il significato dei più comuni termini presenti nel discorso giuridico.
Sulla strada della pur auspicata (ma non attuata) semplificazione del linguaggio giuridico, lo scritto che segue, dopo aver fatto cenno alle teorie fondamentali ed aver delineato un quadro d’insieme sulla causalità omissiva, si prefigge di focalizzare i metodi di accertamento della responsabilità medica, soprattutto attraverso l’analisi della più recente evoluzione giurisprudenziale.
2. Cenni sulle teorie interpretative del rapporto di causalità
Non è di fatto possibile dar conto in maniera esauriente, soprattutto non è possibile farlo in poche righe, delle variegate teorie interpretative (alcune delle quali nel periodo attuale possono dirsi superate) formulate intorno al rapporto di casualità.
Del resto, ai fini del presente lavoro, qualche cenno su quanto si è teorizzato può bastare per dare l’idea di come non sia sempre facile individuare il collegamento tra comportamento del colpevole e conseguenza dannosa e quindi attribuire o escludere la responsabilità.
Condensando al massimo, si può dire che conservano validità e si contendono il terreno: la teoria della causalità naturale, quella della causalità adeguata e quella della causalità umana che è la più recente (formulata da Antolisei).
In estrema sintesi, per la teoria della causalità naturale, denominata anche della conditio sine qua non, può dirsi che per il configurarsi del rapporto di causalità è sufficiente che l’agente abbia realizzato una condizione qualsiasi dell’evento: basta, in altere parole, che abbia posto in essere un presupposto indispensabile per il verificarsi dell’evento.
Per la teoria della causalità adeguata affinché esista un rapporto di causalità occorre che l’agente abbia determinato l’evento con una azione idonea; cioè considerata “adeguata” nel senso che si può ritenere capace a determinare l’effetto dannoso.
La teoria della causalità umana (di origine filosofica) parte dalla considerazione che la causalità a cui partecipa l’uomo risente della sua coscienza e volontà nelle relazioni che si stabiliscono fra lui e il mondo esteriore.
Quindi, possono considerarsi causati dall'uomo soltanto quei risultati che egli può dominare, in virtù dei suoi poteri conoscitivi e volitivi, mentre tutti gli altri devono ascriversi a fattori eccezionali e imprevedibili.
3. La causalità dei reati omissivi e l’obbligo di impedire l’evento
L’articolo 40 stabilisce che il problema della causalità non si presenta soltanto nei riguardi dei reati (cosiddetti) d’azione, ma anche in quelli di omissione.
Anche su questo aspetto del problema, si sono svolte in dottrina infinite discussioni ed alcuni autori (da Grispigni ad altri più recenti), hanno persino negato (quasi contro l’evidenza) all’omissione ogni efficacia causale.
Tuttavia, in piena adesione al dato normativo, l’opinione prevalente è quella secondo cui il problema della causalità si prospetta e va chiarito nei reati omissivi come nei reati di azione.
In entrambi i casi, per poter imputare un evento ad un soggetto, due elementi si ritengono fondamentali: il configurarsi di una condizione del risultato ed il mancato intervento di fattori eccezionali.
Per i seguaci della teoria della causalità umana, occorre inoltre che il soggetto ritenuto responsabile abbia avuto la possibilità di dominare, con le sue conoscenze e la sua volontà, le forze che hanno determinato l’evento, perché l’omissione da sola non basterebbe per l’attribuzione di responsabilità.
Così, per fare un esempio di fattore eccezionale pertinente al tema affrontato, se un medico di famiglia, anziché togliere in ambulatorio dei punti si sutura ad un suo assistito, lo invita a recarsi in un luogo di cura più attrezzato, e poi, mentre il paziente va all’ospedale rimane vittima di uno scontro automobilistico, il medico non può ritenersi autore dell’esito letale del tutto eccezionale ed imprevedibile.
A parte l’intervento di fattori eccezionali, che come si chiarirà devono essere eventi completamente imprevedibili, occorre tenere presente che il concetto dell’omissione è indissolubilmente legato a quello dell’azione che si attendeva dal soggetto.
Quindi, seguendo un processo logico bisogna accertare l’esistenza di un rapporto consequenziale fra la condotta omissiva e il risultato, per capire se l’azione attesa avrebbe impedito l’evento.
La sussistenza del rapporto causale deve escludersi se, malgrado il compimento dell’azione attesa, il risultato si sarebbe verificato ugualmente.
Appare superfluo sottolineare come, soprattutto nel campo medico, sia problematico individuare la condotta positiva che, se posta in essere, avrebbe evitato il prodursi dell'evento e poi ricostruire in via meramente ipotetica l'efficacia del trattamento omesso.
Occorre inoltre considerare come anche l’omissione vada interpretata tenendo conto dell’intero contenuto dell’articolo 40 che, dopo aver previsto la necessità di un legame di dipendenza tra la condotta, positiva o negativa, e l’evento aggiunge: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Deve trattarsi di un “obbligo giuridico” che può essere generale, cioè valevole per tutti i cittadini, professionale o d’ufficio, cioè valevole per una classe o categoria di persone, oppure speciale valevole per una determinata persona.
Obbligo che può essere imposto dal diritto penale, ma anche dagli altri rami del diritto pubblico e privato, da un ordine legittimo dell’autorità, da un provvedimento del magistrato, ma anche dalla precedente attività propria, quando può ledere interessi giuridici di terzi.
Infatti, anche colui che con la sua azione ha dato origine al pericolo e tenuto a fare quanto occorre per impedire l’evento dannoso o, quanto meno, limitarne le conseguenze.
La disposizione in discorso con la sua locuzione “obbligo giuridico” sta a significare che la violazione di un dovere morale, nel compiere l’attività che avrebbe impedito l’evento, non è sufficiente a configurare il rapporto di causalità, in quanto mancherebbe l’obbligo giuridico ad intervenire, cioè l’azione imposta dal diritto.
Infine, è utile aggiungere che nel nostro diritto si considera valido il principio derivante dall’assioma che faceva da guida nel diritto romano: ultra posse nemo tenetur per cui nessuno ha doveri che eccedono le proprie possibilità
Significa, in concreto, che l’obbligo di impedire l’evento cessa di fronte alla evidente impossibilità di compiere l’azione.
4. Concorso di cause e preponderanza casuale di quella sopravvenuta
Anche le disposizioni contenute nel primo e secondo comma dell’articolo 41 hanno acceso dibattiti e fatto formulare teorie che è impossibile ridurre a sintesi in poche righe.
Limitandosi all’essenziale, si può dire che le discussioni sul contenuto dei primi due commi ruotano intorno al cosiddetto principio di “equivalenza causale” definito anche della “regolarità causale” in base al quale tutte le cause (remote e prossime) di un evento dannoso devono essere considerate concause dell'evento sia che abbiano agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota.
Per fare un esempio di equivalenza casuale (primo comma art. 41) sul tema sanitario che ci occupa, tale principio starebbe a significare che di fronte ad una ferita che sia la causa della morte del paziente, non influisce il fatto che al decesso abbia contribuito lo stato di salute precario della vittima, oppure sia avvenuto per una infezione della ferita che si è sviluppata nel corso delle degenza.
Equivalenza causale, quindi, a meno che (proprio qui sta il rebus!), ai sensi dell’art. 41, 2° comma, non si riesca a dimostrare l'esistenza di una causa sopravvenuta imprevedibile che da sola sia stata sufficiente a determinare l'evento dannoso.
E’ facile intuire come, il dibattito più acceso e controverso e la serie più numerosa di interpretazioni, riguardino il significato da attribuire al 2° comma, in merito alla esclusione del rapporto di casualità da parte delle cause sopravvenute per stabilire “quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”.
La formula, definita da qualche autore “infelice”, dopo aver avviato e alimentato il contenzioso più cospicuo, costituisce il punto centrale del dibattito e vari tentativi sono stati fatti per darle un significato ragionevole ed equilibrato.
Il nocciolo della questione sta nel fatto che la causa sopravvenuta, valida ad escludere il rapporto di causalità, non può essere del tutto indipendente ed autonoma, perché se l’evento fosse dovuto ad una serie casuale del tutto indipendente, mancherebbe (comunque!) il nesso (in base alla previsione dell’articolo 40) a prescindere dalla disposizione particolare di cui al 2° comma, alla quale evidentemente deve attribuirsi un altro significato.
Una interpretazione plausibile alla enigmatica formula del codice si è individuata partendo dalla relazione ministeriale al progetto definitivo dove si evince che la disposizione è stata introdotta per escludere il rapporto di causalità nelle “interferenze di serie meramente occasionali” e, nella stessa relazione, viene fatto l’esempio (casualmente in tema!) di una persona ferita che muore in seguito all’incendio dell’ospedale in cui è stata ricoverata.
Sin da subito, già prima degli anni cinquanta, la giurisprudenza della Suprema Corte, basandosi su questa spiegazione ha interpretato le disposizione in discorso nel senso che l’esclusione del nesso casuale si ha quando l’evento è stato determinato dal sopravvento di fatti “completamente imprevedibili” ed “assolutamente anormali”.
Anche in dottrina, con il passare degli anni, ha acquistato prevalenza l’opinione secondo cui il legislatore con la disposizione ha voluto introdurre una limitazione alla teoria della equivalenza causale.
L’interpretazione più rispondente allo scopo della norma deve essere vista nel senso che il nesso di casualità deve considerarsi escluso quando il risultato è dovuto al sopravvenire di un avvenimento assolutamente atipico ed eccezionale.
Secondo la Cassazione: “In tema di rapporto di causalità, causa sopravvenuta sufficiente alla produzione dell'evento è quella del tutto indipendente dal fatto del reo, che si ponga al di fuori delle normali linee di sviluppo delle serie causale attribuibile alla condotta dell'agente, che costituisca cioè un fattore eccezionale tale che, malgrado il più alto grado di previdenza e prudenza, non sia possibile predisporre alcuna misura per evitarlo. Viceversa, non è tale la causa sopravvenuta quando sia legata alla causa preesistente, si trovi cioè in una situazione d'interdipendenza per cui, mancando l'una, l'altra rimarrebbe inefficace, nessuna di esse potendo, disgiunta dall'altra, realizzare l'evento”.( Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 5923 del 24-04-1990).
In applicazione del principio riportato nella massima, i giudici hanno ritenuto che, “rispetto ad un fatto di lesione volontariamente prodotte dall'agente”, non possono considerarsi cause sopravvenute escludenti il rapporto di causalità “le eventuali omissioni e colpe dei sanitari, gli errori diagnostici, le complicazioni operatorie e postoperatorie, così come lo stesso comportamento della vittima di rifiuto di cure e terapie”.
Per completare il discorso sull’articolo 41 c’è da dire che, mentre il primo e secondo comma hanno acceso dibattiti e fatto formulare teorie, il terzo comma in questa sede può essere solo richiamato, in quanto non ha suscitato grandi dispute, perché ha la particolare ed inequivocabile funzione di chiarire che le regole dettate dai primi due si applicano anche quando siano terze persone a concorrere nella causazione del fatto illecito.
5.Particolarità della causalità omissiva nella individuazione del nesso.
La cosiddetta causalità commissiva derivante dall’esistenza di una azione di un soggetto porta ad una concatenazione di fatti materiali che in realtà accadono e che quindi possono essere praticamente verificati.
A differenza della causalità riferibile a una condotta positiva, dove l’accertamento del nesso di causalità presuppone la spiegazione di quanto si è verificato, nel caso della causalità omissiva il decorso degli avvenimenti non essendo influenzato dall'azione di un soggetto (che non esiste), può essere giustificata in base a una ricostruzione logica e quindi si tratta di una causalità costruita su ipotesi e non su certezze.
Del tutto evidente, quindi, che il problema della ricostruzione del nesso di causalità si pone senz'altro con maggiore problematicità se riferito alla causalità omissiva, quando si tratta di dover ricollegare un dato evento ad un comportamento negativo assunto dall'imputato.
Una ulteriore complicazione valutativa deriva dal “combinarsi” dei reati commissivi colposi con i reati omissivi, perché nella colpa “attiva” si configurano sempre elementi omissivi, nel senso che il medico, mentre con una sua azione colposa condiziona realmente l’evento dannoso accelerandone gli effetti, omette di attivare condizioni impeditive dell’evento.
Nel caso della responsabilità medica per omissione, quando alla base del risultato negativo c’è un comportamento antigiuridico, non si può neppure parlare di reati cosiddetti di pura omissione (reati “omissivi propri” dove il reato si esaurisce nel mancato compimento di una data azione), ma generalmente si tratta di reati omissivi impropri, definiti anche da alcuni autori reati “commissivi mediante omissione “.
È bene precisare che la maggiore complessità dei problemi, in tema di causalità nei reati omissivi impropri, si ricollega a tre fatti concomitanti: - la necessità di individuare se l'evento sia conseguenza dell'omissione accertata; - la ricostruzione in via meramente ipotetica dell'efficacia del trattamento omesso; - ma, soprattutto, la difficoltà di individuare la condotta positiva che, se posta in essere, avrebbe evitato il prodursi dell'evento.
Nell’ambito di un’attività complessa e professionalizzata come quella medica, che presuppone un alto livello di organizzazione, entrano in gioco una pluralità di fattori casuali che rendono particolarmente difficoltosa la ricostruzione del nesso di causalità, soprattutto di quella omissiva.
Il giudizio sull'esistenza di un nesso di causalità fra l'omissione e l'evento, rappresenta (in ogni caso) una complicazione nella formulazione delle decisioni dei giudici; ma, in modo particolare, nella delicata materia della responsabilità del medico per il mancato intervento terapeutico caratterizzato da esito infausto (i motivi sono ovvi perché c’è di mezzo il bene della vita).
I giudici, mentre in un primo tempo hanno fatto ricorso prevalentemente ad un modello casuale di tipo nomologico-deduttivo (deterministico) integrato dalle leggi scientifiche di copertura, dall’inizio degli anni novanta si sono orientati ad una ricostruzione della causalità basata su fattori di tipo probabilistico e statistico-induttivo.
Il modello nomologico-deduttivo (elaborato per la prima volta da Hempel nel 1948) si basa sulla riconosciuta veridicità ad enunciati nomologici costituiti da leggi scientifiche che si considerano universali quando sono in grado di affermare che il verificarsi di un evento è inevitabilmente accompagnato dalla verificazione di un altro evento.
Il “perché” dell’evento si identifica con “un insieme di condizioni empiriche antecedenti, dalle quali dipende il susseguirsi dell’evento stesso secondo un’uniformità regolare, rilevata in precedenza ed enunciata in una legge”.
Il modello statistico-induttivo (elaborato dallo stesso Hempel) si basa sul fatto che anche le leggi statistiche (per le quali il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una percentuale di casi) sarebbero in grado di spiegare perché un evento si è verificato, a patto che la frequenza tra eventi consenta di spiegarli con quasi certezza.
In base a questo ultimo modello, il giudice, servendosi di una fonte probabilistica come la legge statistica ed attivando un giudizio di probabilità logica, deve giungere ad affermare che una determinata condotta è causa di un preciso evento, fatta salva una verifica aggiuntiva circa la credibilità dell’impiego della legge statistica nel caso concreto.
La legge statistica, dotata di alto grado di credibilità razionale, indica che nella generalità dei casi al verificarsi di una condotta del tipo di quella che si è verificata, in base ad una successione regolare di eventi conforme alla legge, si producono effetti del tipo di quello che si è verificato.
Quindi, prima viene in considerazione una legge, come tale costruita su generalizzazioni (comportamenti-tipo, situazioni-tipo, conseguenze-tipo), poi si controlla se il singolo comportamento, la singola situazione, la specifica conseguenza possano essere inseriti nello schema generale previamente delineato.
Indicativamente si può dire che le leggi statistiche si considerano dotate di validità scientifica quando possono trovare applicazione in un numero abbastanza elevato di ipotesi.
Si considera sufficiente, quindi, che l’azione doverosa omessa, ove compiuta, sarebbe valsa ad impedire l’evento con un apprezzabile probabilità di tipo statistico, anche se non prossima alla certezza.
6. Evoluzione giurisprudenziale nella ricostruzione del nesso di causalità omissiva
Nella ricostruzione del nesso di causalità omissiva, in fatto di responsabilità del medico per l'intervento terapeutico lesivo o caratterizzato da esito infausto, venne adottato il cosiddetto modello nomologico-deduttivo, integrato dalle leggi scientifiche di copertura, fino ai primi anni novanta.
Infatti, è stata una sentenza del 6 dicembre 1990 (Cass., pen., Sez. IV, in "Foro It.", 1991, II, 45) ad attivare, motivandone la necessità, una nuova impostazione giurisprudenziale basata su una ricostruzione della causalità ancorata a fattori di tipo prognostico probabilistico.
Si tratta della prima decisione dei giudici di legittimità che chiarisce come “le leggi generali di copertura accessibili ai giudici sono sia le leggi “universali”, che sono in grado di affermare che la verificazione di un evento è invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento, sia le leggi “statistiche”, che si limitano, invece, ad affermare che il verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi, con la conseguenza che questa ultime sono tanto più dotate di validità scientifica quanto più possono trovare applicazione in un numero sufficientemente alto di casi e sono suscettive di ricevere conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali e controllabili”.
E’ nei primi anni novanta, quindi, che si comincia ad affermare o, per meglio dire, si determina il passaggio da un “metodo generalizzante” ancorato a leggi generali che individuano rapporti di successione regolare tra l'azione delittuosa e l'evento, considerati come “accadimenti ripetibili", ad un metodo definito “individualizzante”, dove l'accertamento del rapporto di causalità si basa su accadimenti concreti, riproducibili in futuro, senza escludere che possa anche trattarsi di un accadimento “unico”.
Per ritenere la sussistenza del rapporto di causalità, secondo il nuovo metodo di accertamento, diventa solo necessario che l'effetto, o evento, consegua dalla causa in termini di “alta probabilità”.
Il cuore della sentenza in discorso che ha aperto la nuova prospettiva può considerarsi la statuizione che segue: “Il ricorso a leggi statistiche da parte del giudice è più che legittimo, perché il modello della sussunzione sotto leggi utilizzabile in campo penale, sottintende, il più delle volte, necessariamente, il distacco da una spiegazione causale deduttiva, che implicherebbe una impossibile conoscenza di tutti i fatti e di tutte le leggi pertinenti ”.
Viene pure chiarito che “il giudice non può conoscere tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa produce il suo effetto, ne procedere quindi ad una spiegazione fondata su una serie continua di eventi, nella spiegazione causale si dovrà ricorrere ad una serie di assunzioni nomologiche tacite e dare per presenti condizioni iniziali non conosciute o soltanto azzardate”.
Invero, la sentenza non esclude il fatto che il giudice possa disporre di leggi universali da utilizzare per l’accertamento del nesso di causalità (come dire: seguendo il vecchio metodo!) ma - ove non disponga di leggi universali - dirà che è “probabile” che la condotta dell'agente costituisca, coeteris paribus, una condizione necessaria dell'evento; probabilità che altro non significa se non “probabilità logica o credibilità razionale”, la quale deve essere di alto grado, nel senso che il giudice dovrà accertare che, senza il comportamento dell'agente, l'evento non si sarebbe verificato, appunto, con alto grado di probabilità”.
Nella nuova prospettiva, l’affermazione di responsabilità dell’imputato sotto il profilo del nesso di causalità, si ricollega a quello che diventa il punto focale, rappresentato dalla individuazione del “grado di probabilità” che la condotta omessa, ove attuata, avrebbe potuto avere nell’impedire l’evento.
La collocazione del caso specifico nelle leggi scientifiche universali o meramente statistiche, definita nel linguaggio giuridico “sussunzione”, che vuol dire riconduzione della fattispecie concreta nell'ipotesi normativa, avviene attraverso il cosiddetto giudizio controfattuale (contro i fatti).
Contro i fatti per rispondere ad una semplice domanda: se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato l'evento?.
7. Accertamento del nesso di causalità attraverso il giudizio controfattuale
Il giudice chiamato ad accertare il nesso di causalità di un reato omissivo improprio, attraverso il giudizio controfattuale deve in pratica stabilire se l’azione doverosa omessa può essere stata la causa dell’evento dannoso, ma deve valutare anche l’efficacia che avrebbe potuto avere, cioè che probabilità ci sarebbero state che il danno sarebbe stato evitato.
Volendone dare una definizione giurisprudenziale, stando a Cassazione 10 gennaio 2002, n. 16001, il giudizio controfattuale “è l'operazione logica della quale il giudice si avvale, fondandosi su leggi universali scientifiche o su leggi statistiche, per accertare se un certo evento sia o non sia riconducibile all'uomo e consiste nell'eliminare mentalmente, contra factum, la condotta - azione od omissione - e constatare se dalla eliminazione scaturisca o non scaturisca, sulla base di quelle leggi, anche l'eliminazione dell'evento, donde, nel primo caso, la esistenza e, quindi, la ravvisabilità e, nel secondo caso, la inesistenza e, pertanto, la non ravvisabilità del rapporto di causalità”.
Con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri dello specifico settore dell'attività medico-chirurgica, prima di riportare i principi fissati dalla fondamentale decisione delle Sezioni Unite del 10 luglio 2002, un breve escursus, sull’orientamento giurisprudenziale di legittimità antecedente alla importante pronuncia, consente di cogliere alcuni elementi di differenziane o diversità in relazione ai “coefficienti di probabilità” ed anche in merito all’attività che il giudice deve svolgere nell’accertare il rapporto casuale attraverso il giudizio controfattuale.
Un elemento ricorrente è quello secondo cui il giudice “deve avvalersi di una legge di copertura che gli consenta di ritenere come una certa condotta omissiva sia stata causa di un determinato evento con una probabilità vicina alla certezza, vicina a cento” (fra le altre Cass. pen. Sez.IV 28-11-2000, n. 2123).
Il nesso causale può essere riconosciuto quando “l'azione doverosa omessa avrebbe impedito l'evento con alto grado di probabilità logica ovvero con elevata credibilità razionale, cioè con una probabilità vicina alla certezza che può ritenersi raggiunta quando, sulla base di una legge universale o di una legge di statistica, sia possibile effettuare il giudizio controfattuale (supponendo realizzata l'azione doverosa omessa e chiedendosi se in tal caso l'evento sarebbe venuto meno) con una percentuale vicino a cento”. (Cass. pen. Sez.IV 28-09-2000, n. 9780)
Per un’altra decisione dello stesso periodo: “l'affermazione di responsabilità, per un verso, non può basarsi su un mero giudizio di possibilità; per altro verso può invece fondarsi sulla riconosciuta esistenza di quelle che, tradizionalmente, vengono definite come serie ed apprezzabili probabilità che la condotta omessa avrebbe evitato il prodursi dell'evento”. (Cass. pen. sez. IV 05-10-2000, n. 13212).
Una sentenza del 2001 (Cassazione 14334/2001), nel precisare in motivazione che “il giudice può affermare il nesso di condizionamento soltanto quando abbia accertato che, in quella determinata fattispecie, la condotta, azione od omissione, è stata causa dell'evento con alto grado di probabilità o con alto grado di credibilità razionale, cioè con probabilità vicina alla certezza, vicina a cento”, prende atto che nelle sentenze più recenti “l'alto grado di probabilità si era risolto spesso "in semplice probabilità", "in possibilità" e "in serie ed apprezzabili possibilità di successo"”.
In definitiva viene a delinearsi un quadro della situazione in cui, mentre la giurisprudenza prevalente ritiene che per ravvisare il nesso causale bisogna essere quasi sicuri (probabilità vicino alla certezza con percentuale vicino a cento) che l'azione doverosa omessa avrebbe impedito l'evento, molte altre decisioni (dell’allora recente passato e anche di quel periodo) facevano riferimento ad una “seria ed apprezzabile probabilità di successo” (Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 5716 del 13-02-2002; Sez. IV, sent. n. 6511 del 02-06-2000 Sez. IV, sent. n. 6683 del 07-07-1993); quando non ad “una limitata, purché apprezzabile, probabilità di successo, indipendentemente da una determinazione matematica percentuale di questa” (Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 360 del 18-01-1995).
All’inizio del 2002, la stessa Cassazione (Cass. pen. sez. IV 23-01-2002, n. 106), con una sentenza molto commentata, aveva stabilito che il giudizio d'accertamento della responsabilità omissiva del medico “deve essere ancorato a giudizi di carattere probabilistico non più e soltanto "statistici" ma anche”logici””.
Giudizio di probabilità logica che, come chiarito: “è caratterizzato da una verifica aggiuntiva della credibilità dell'impiego della legge statistica al caso concreto, che si risolve in un'affermazione d'elevata credibilità razionale del risultato dell'operazione logica compiuta dal giudice, della quale la probabilità statistica è solo una componente”.
Il giudice, infatti, prosegue la stessa decisione, “dopo il giudizio controfattuale compiuto in base alle leggi scientifiche di copertura, deve eseguire anche una valutazione di tipo probabilistico-logico”.
Per poter effettuare tale valutazione “deve necessariamente abbandonare il metodo deduttivo che riproduce la sua ipotesi di ricostruzione dell'evento e fare ricorso alla ricerca induttiva, verificando l'applicazione delle leggi scientifiche esistenti alle caratteristiche del caso concreto portato al suo esame, per arrivare ad affermare l'esistenza del nesso di condizionamento non solo in caso di certezza vera o presunta, ma altresì in tutti i casi in cui questa conclusione sia assistita da un elevato grado di credibilità razionale”.
Soltanto qualche giorno prima della pronuncia delle Sezioni Unite, fa un importante passo la teoria individuata dalla locuzione “probabilità logica”, in una decisione (Cass. pen. sez. IV 23-06-2002, n. 22568) dove si stabilisce che la pur necessaria ricerca delle cosiddette "leggi di copertura", universali o statistiche, non può da sola “condurre ad affermare la sussistenza del nesso di causalità sulla base di un giudizio di probabilità statistica, essendo invece necessaria la formulazione di un giudizio di probabilità logica, inteso come quello che sia caratterizzato da elevata credibilità razionale”.
8. I principi fissati dalle Sezioni Unite Penali della Cassazione e la teoria della probabilità logica
A fare chiarezza nel quadro delineato sono state fatte intervenire le Sezioni Unite, che come è noto vengono chiamate a dirimere contrasti interpretativi e ad indicare linee di condotta che i giudici dovrebbero (il condizionale perché nel nostro sistema nessun precedente giurisprudenziale può considerarsi vincolante) seguire nelle loro valutazioni.
Comunque, i principi fissati nella pronuncia delle Sezioni Unite Penali della Cassazione (n. 30328 del 10 luglio, depositata 11-9-2002 Franzese – vedi testo su Altalex), come già accennato, sono diventati un riferimento importante, sia per la dottrina che per la giurisprudenza.
Sostanzialmente nei tre principi di diritto massimati si è stabilito che:
· Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
· La conferma dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con «alto o elevato grado di credibilità razionale» o «probabilità logica»
· L’insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio.
Le Sezioni Unite, senza mettere in discussione l’utilizzabilità oltre che delle leggi universali, anche di quelle statistiche, sottolineano l’esigenza di distinguere tra credibilità razionale e scientifica della legge, da un lato, e credibilità razionale e scientifica dell’accertamento, dall’altro.
Nella decisione prende corpo e viene messa a fuoco la teoria della “probabilità logica”, come verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell’accertamento giudiziale (certezza processuale).
Viene chiarito che il giudice ha un duplice compito: quello della attenta verifica della “fondatezza scientifica” della legge statistica, al quale si aggiunge quello della verifica della applicabilità del coefficiente di probabilità rilevato alla fattispecie concreta.
La “certezza processuale” non può che ricollegarsi a “verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta”, ma nulla esclude che “coefficienti medio-bassi di probabilità cosiddetta frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica (e ancor più da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche)”, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del nesso di casualità, “se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa”.
Neppure “livelli elevati di probabilità statistica”, pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, dispensano il giudice da una puntuale verifica della loro attendibilità in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile.
Come dire: anche coefficienti di probabilità “vicini alla certezza”, non possono costituire “certezza processuale” in quanto “pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l' irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse”.
Le Sezioni Unite confermano pienamente il fatto che il giudice deve abbandonare “l'illusione di poter ricavare deduttivamente la conclusione sull'esistenza del rapporto di causalità da una legge scientifica che riproduca in laboratorio la sua ipotesi di ricostruzione dell'evento e dovrà fare ricorso, sempre, alla ricerca induttiva verificando l'applicabilità delle leggi scientifiche eventualmente esistenti alle caratteristiche del caso concreto portato al suo esame, tenendo in considerazione tutti i fattori specifici presenti e quelli interagenti e pervenendo quindi ad un giudizio di elevata credibilità razionale, secondo i criteri di valutazione della prova previsti da tutti gli elementi costitutive del reato" (nella motivazione di Cassazione- sez. IV- 10.6.2002 n. 22568).

Nel corso dell’anno 2002, quindi, sia la Sezione IV che le Sezioni Unite Penali hanno chiarito che il giudice pur basandosi su una generalizzata regola di esperienza o servendosi di una legge scientifica - universale o statistica -, dovrà andare oltre, verificando se caratteristiche specifiche del caso in esame potrebbero porsi in contrasto con tali leggi rendendole inadatte alla situazione concreta.
Il principio da seguire indicato dalle Sezioni Unite Penali, al fine di pervenire a soluzioni più equilibrate, è quello che non ci si può fermare alla probabilità statistica perché un giudizio complessivo presuppone anche la verifica della probabilità logica.
In conclusione, “l'individuazione del nesso di causalità in termini di certezza oggettiva (storica o scientifica), risultante da elementi probatori di per sé altrettanto inconfutabili sul piano dell'oggettività" per affermare l'esistenza della responsabilità del medico, implica una certezza di natura processuale, che può essere desunta dal giudice in seguito all'analisi di tutte le circostanze del caso concreto, seguendo un procedimento logico che consenta di ricollegare un evento ad una condotta omissiva "al di là di ogni ragionevole dubbio", ossia con un alto "livello di probabilità logica".
9. La più recente giurisprudenza di legittimità sulla ricostruzione del nesso casuale
Appare del tutto ovvio come alla decisione delle Sezioni Unite della quale si è discusso si sia ispirata la giurisprudenza successiva (sia di merito che di legittimità).
In una fattispecie di colpa professionale medica per omessa, precoce, diagnosi di neoplasia polmonare determinata da superficiale o errata lettura del referto radiologico, la Corte ha ritenuto sussistente il nesso di causalità pure in mancanza di indagine autopica stabilendo che “il nesso di causalità deve essere accertato non sulla base dei soli coefficienti di probabilità statistica, bensì mediante l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale ordinariamente dispone per le valutazioni probatorie, e può ritenersi sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di "certezza processuale", ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l'evento lesivo”. (Cass. pen. sez. IV 03-10-2002, n. 38334)
Sempre a proposito di una malattia tumorale, la Cassazione ha stabilito che “non può escludersi la responsabilità del medico il quale non si attivi e non porti il paziente a conoscenza della recidiva di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove, nel giudizio controfattuale, vi è l'altissima probabilità che il ricorso ad altri rimedi-terapeutici (oltre a quello, radioterapico, già praticato all'esordio della malattia) avrebbe determinato un allungamento della vita, che è un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso”. (Cass. pen. sez. IV 21-01-2003, n. 17379)
Ancora nel 2003 la Cassazione (Cass. pen. Sez.IV 15-05-2003, n. 27975) è tornata sul fatto della differenza della causalità riferibile a una condotta commissiva, dal caso della causalità omissiva dove il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto.
Torna a ribadire la Corte che la causalità omissiva, in quanto giustificata in base a una ricostruzione logica e non in base a una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà, ed empiricamente verificabili, costituisce, una causalità costruita su ipotesi e non su certezze.
Si tratta, quindi, di una causalità ipotetica, che necessariamente deve fondarsi su un giudizio controfattuale in grado di stabilire se fosse stato possibile evitare l’evento nel caso di attuazione dell'intervento omesso.
La stessa decisione, dopo aver focalizzato le differenze tra causalità commissiva e omissiva, in linea con quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite (sentenza 11 settembre 2002, Franzese) ribadisce che “per individuare, o escludere, il nesso causale, non ci si può basare esclusivamente sui meri dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, nel senso che non è consentito dedurre "automaticamente" dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, essendo invece imposto al giudice il dovere di verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile”.
Cosicché”, aggiunge, “potrà pervenirsi al giudizio di responsabilità, in termini di "certezza processuale", solo quando, (…), risulti giustificata e "processualmente certa" la conclusione che la condotta omissiva è stata la condizione "necessaria" dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale".
Per contro, “la contraddittorietà e ''incertezza del riscontro probatorio, e quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva, non possono che condurre alla negazione dell'esistenza del nesso di condizionamento”.
In linea con quanto puntualizzato in tema di causalità omissiva dalle Sezioni Unite con la decisione commentata, nel luglio scorso, la Cassazione (Cass. pen. sez. IV 05-07-2004, n. 36805) dopo aver confermato che per individuare, o escludere, il nesso causale, non ci si può basare esclusivamente sui meri dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, ha dedotto che la causalità può essere sostenuta come sussistente non solo in presenza di leggi scientifiche universali o di leggi statistiche che esprimono un coefficiente prossimo alla certezza, “ma può esserlo altresì quando ricorrano criteri medio bassi di probabilità cosiddetta frequentista, nulla escludendo che anche essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento”.
In definitiva”, hanno concluso i giudici, “più che la mera probabilità statistica, ciò che rileva è la probabilità logica, in forza della quale il nesso di causalità deve essere ritenuto allorquando, in termini di certezza processuale, all'esito del ragionamento probatorio, il giudice sia in grado di giustificare la logica conclusione che, tenendosi l'azione doverosa omessa, il singolo evento lesivo non si sarebbe verificato o si sarebbe inevitabilmente verificato, ma (nel quando) in epoca significativamente posteriore o (per come) con minore intensità lesiva (affermazione resa in una fattispecie di responsabilità omissiva per colpa medica)”.
10. Applicazione nell’ambito civile dei principi fissati in sede penale riguardo al nesso di casualità.
L’illecito più rilevante cui potrebbe andare incontro un medico nell’esercizio della sua professione è ovviamente quello di omicidio colposo, seguito da ogni menomazione dell'integrità psicofisica che può essere ricondotta ad un comportamento colposo del medico.
Per fare solo un cenno alle cosiddette “conseguenze civili del reato” si può dire che, oltre alle pene, alle misure di sicurezza e sanzioni penali, ogni reato comporta obbligazioni civili verso lo Stato e verso le vittime del reato, alle quali viene riconosciuto il diritto alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Infatti, ai sensi dell’articolo 185 del Codice penale “ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili” (primo comma) e quando “abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui” (secondo comma).
Si tratta del cosiddetto danno “civile” o “risarcibile” che deve essere nettamente distinto dal “danno immediato” (ad es. soppressione del bene della vita nell’omicidio) definito, nel diritto penale, con l’espressione “danno criminale” che costituisce il contenuto stesso del reato, non la conseguenza.
Anche il Codice civile, ove non bastasse, oltre ad una responsabilità contrattuale del prestatore d’opera (art. 2236), cui anche il medico può incorrere, contempla all’articolo 2043 una responsabilità extra contrattuale dove è previsto che “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
La conferma sulla applicabilità nell’ambito civile degli stessi principi sul nesso di casualità fissati in sede penale, viene da una recente sentenza (Cass. civ. sez. III 04-03-2004, n. 4400 – Altalex 8 aprile 2004) che ha suscitato entusiastici commenti per aver stabilito che “il danno derivato dall'errata o intempestiva diagnosi medica può essere determinato anche in termini di perdita di chance di sopravvivenza o guarigione”.
L’argomento relativo al risarcimento ed al danno da perdita di chance, che come hanno spiegato i giudici “è ontologicamente diverso rispetto a quello da mancato raggiungimento del risultato sperato”, considerata l’importanza che riveste, merita una trattazione autonoma e non può essere sacrificato in appendice al discorso sul nesso di causalità.
Con riguardo al nesso di causalità tra l'evento d, annoso e la condotta colpevole (omissiva o commissiva) del medico, nella motivazione si legge che “applicando anche in questa sede civile risarcitoria, i principi già espressi in sede penale (Cass. Pen. S.U. 11.9.2002, n. 30328, Franzese), tenuto conto che il nesso di causalità materiale va determinato a norma degli artt. 40 e 41 c.p.” ne consegue che “non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi dell'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile”.
La conclusione è che la condotta colpevole del medico deve essere stata condizione necessaria dell'evento lesivo, “con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica” e deve risultare “giustificata e processualmente certa” all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'esistenza di fattori alternativi.
Si può concludere questa indagine sul nesso di casualità dicendo che, quando si è in presenza di un danno all’integrità fisica o alla salute per presunta responsabilità medica, tutte le problematiche e le complicazioni prospettate e connesse all'indagine in sede penale sulla sussistenza del nesso di causalità, soprattutto omissiva, si presentano anche in sede civile.
In molti casi, per aggiungere un’ultima notazione sulle difficoltà, al giudice è riservato il non facile compito di decidere sul nesso di casualità dovendo anche ponderare nella valutazione, l’obbligo del medico di fare il possibile per evitare l’evento dannoso con il suo dovere d'intervenire (ed a volte l’urgenza neppure consente di aspettare, meditare e valutare!) per tentare di salvare il malato (sempre!), anche quando le probabilità di guarigione sono minime。
11. Breve rassegna di massime sulla giurisprudenza di merito del 2004
· Ai fini dell'affermazione della responsabilità del medico, non è necessario individuare il nesso di causalità tra condotta ed evento in termini di certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori altrettanto inconfutabili sul piano dell'oggettività, essendo sufficiente che l'individuazione predetta ricorra in termini di certezza processuale, ossia di certezza acquisita dal giudice sulla base della evidenza disponibile all'esito dell'istruttoria e a seguito della ricostruzione e interpretazione logica degli elementi di prova. (Trib. S. Maria Capua Vetere 17-06-2004)
· L'affermazione della colpa medica, presuppone, una volta operata l'esatta ricostruzione del fatto, l'accertamento della dipendenza dell'evento dannoso verificatosi dalla condotta ascritta al sanitario e ancora, qualora il nesso causale si riveli sussistente, l'accertamento dell'ulteriore requisito della riprovevolezza della condotta del medico, nel senso cioè che il predetto sia incorso in negligenza, imprudenza, imperizia ovvero nella violazione delle leggi mediche e scientifiche, omettendo la condotta che, alla stregua dei criteri tecnico-scientifici, avrebbe contribuito a evitare l'evento con una probabilità vicina alla certezza (alla stregua di tale principio, in linea con il più recente e convincente orientamento giurisprudenziale di legittimità, in motivazione ampiamente richiamato, il Tribunale ha assolto gli imputati dal reato di omicidio colposo loro ascritto in conseguenza del decesso di paziente operato di tromboarterectomiacarotidea biforcazione destra (Tea) e verificatosi per arresto cardiocircolatorio conseguente a gravissima encefalopatia anossica dovuta alla formazione di un ematoma latero-cervicale. In particolare, alla stregua dell'ampia attività istruttoria svolta, il giudice ha escluso la ricorrenza del nesso causale tra l'evento dannoso e la condotta dei sanitari, essendo rimasto accertato che l'intervento effettuato rappresentava una scelta ragionevole e che nessuna censura poteva essere mossa ai medici per la condotta tenuta durante e dopo l'operazione). (Trib. S. Maria Capua Vetere 13-05-2004)
· Non discende automaticamente dal coefficiente di probabilità, espresso dalla legge statistica, la conferma dell'esistenza di un nesso causale tra fatto e danno. Invero, il giudice deve verificare la validità nella fattispecie concreta, in modo che, alla conclusione del ragionamento probatorio di esclusione dell'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certo che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto grado di credibilità razionale o probabilità logica. (Trib. Genova 14-04-2004)
· La sussistenza del nesso di causalità fra l'evento lesivo e la condotta, attiva o omissiva, del medico può essere affermata non solo quando questo ne sia la conseguenza assolutamente certa, ma anche quando, rimasta incerta la causa, in difetto di prove pienamente favorevoli al medico medesimo circa la corretta e diligente esecuzione dell'intervento, sia altamente probabile che un diverso comportamento del sanitario avrebbe positivamente orientato l'esito dell'intervento. (Trib. Bologna sez. II 06-04-2004)
· L'errore diagnostico o terapeutico dei sanitari che abbia aggravato le conseguenze di una precedente lesione non è di per sé evento eccezionale o imprevedibile idoneo ad interrompere il nesso di causalità, a meno che una causa sopravvenuta sia tale da determinare in via esclusiva l'evento dannoso. (Trib. Mantova sez. II 10-03-2004)
· In tema di responsabilità medica, se il nesso causale tra condotta e danno non può essere provato con certezza a causa dell'incompletezza della cartella clinica o dell'omesso compimento di altri adempimenti ricadenti sul medico, quest'ultimo deve ritenersi responsabile del danno allorché la sua condotta sia stata astrattamente idonea a causarlo. (Trib. Roma 20-01-2004)
· Non sussiste nesso di causalità fra la mancata diagnosi della polmonite ed il decesso in relazione al quale, anche ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc" questo, purtroppo, si sarebbe comunque verificato, posto che la condotta omissiva del medico è condizione necessaria dell'evento lesivo solo ove sussista un alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica del suo verificarsi (cfr. Cass. S.U. penale 11 settembre 2002 n. 30328). (Nella specie, la consulenza tecnica d'ufficio aveva precisato che anche se il medico avesse tempestivamente posto in essere la condotta impeditiva dell'evento, vi sarebbe comunque stato un elevato grado di probabilità che questo si sarebbe ugualmente verificato). (Trib. Mantova sez. II 09-01-2004)
发布时间:2009-05-04  
 

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