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TRAVAGLINO: Il Danno non patrimoniale nel sistema dell“illecito civile italiano

        IL DANNO NON PATRIMONIALE

  1. La storia del danno alla persona è segnata, pur se non del tutto consapevolmente, da un irredimibile vizio genetico dal percorso diacronico: la progressiva “medical/biologizzazione” della danno, il progressivo impoverimento del DNA del danno biologico, attraverso un lungo processo evolutivo destinato a raggiungere il suo zenit (o il suo punto più basso) con le sentenze dell’11 novembre 2008.

  2. Il codice genetico del danno biologico – feconda intuizione normativa, volta a scardinare in modo rivoluzionario, negli anni 70, l’arido sistema panpatrimonialistico che permea il codice civile e, per traslazione, l’art. 2059 - viene, difatti, via via alterato, sino alla sua definitiva e irredimibile mutazione, con le leggi del 2000 e del 2001 (e ancor prima con la sentenza della Corte costituzionale del 1994) nel momento in cui, da ampia accezione di danno relazionale, viene imprigionate nella camicia di Nesso della “lesione medicalmente accertabile”: del danno biologico esistono, difatti, due definizioni legislative, in tema di infortuni sul lavoro (all’art. 13 del dlgs 38/2000, che lo definisce “lesione all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di valutazione medico-legale) e di circolazione stradale (il dlgs del 2001, poi riprodotto all’ art. 139 comma 2 del codice delle assicurazioni).

  3. Il danno “non”: l’errore concettuale che si annida nell’evoluzione del pensiero giuridico chiamato a riflettere sul danno alla persona sta proprio nell’inconsapevole ma inarrestabile processo di centralizzazione del danno biologico in seno al “giuridicamente risarcibile benché non patrimoniale”, dove già una definizione di danno alla persona che ne operi una negazione per comparazione (il danno “non”, rispetto al (presunto) essere del danno, alla (pretesa) verità del danno, alla (declamata) autenticità del danno, e cioè la lesione al patrimonio) lascia attoniti nella misura in cui, a far data dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, la persona e non il patrimonio assume un ruolo centrale nell’universo del tutelabile e del risarcibile, pur nella sconfortante consapevolezza che compito del giurista è l’arida e avvilente trasformazione delle lacrime in monete, del dolore in denaro.

  4. I tentativi di descrizione e di assetto dell’universo del danno alla persona conosceranno un felice (sia pur parziale e ancora assai approssimativo) momento di sintesi nel 2003, con le sentenze nn. 8827 e 8828 della III sezione civile della Cassazione e, soprattutto, con la sentenza n. 233 della Corte costituzionale: alla bipartizione delle conseguenze patrimoniali della lesione del diritto di credito – perdita subita / mancato guadagno – fa da speculare contralto la tripartizione danno morale / danno biologico / danno esistenziale: tripartizione ancora intrisa di una dimensione di categoria giuridica meta-reale (poiché meta-psichica), e purtuttavia primo e non insoddisfacente passo verso una tutela integrale della persona umana sotto il profilo della risarcibilità della sofferenza.

  5. Il brusco arresto del 2008 riconduce a fallace unità la categoria del danno non patrimoniale, il danno biologico assurge a dignità di primo motore immobile del sistema, il danno morale assume colorazioni e connotazioni nebulose e incerte, il danno esistenziale degrada da categoria risarcitoria a mera sintesi descrittiva di alcuni pregiudizi a-patrimoniali. Ma le sentenze di S. Martino contengono, tra le molte confusioni e sovrapposizioni concettuali, un gioiello raro e foriero di auspicabili evoluzioni interpretative: l’affermazione della centralità del valore uomo, la risarcibilità integrale delle perdite del valore umano.

  6. L’originario limite che, sul piano strutturale della fattispecie, la “voce” esistenziale del danno scontava - la mancanza, cioè, di una individuazione ex ante di una posizione soggettiva di interesse tutelato dacché giuridicamente rilevante a fini di tutela, la Inversion-Methode della ricostruzione della fattispecie aquiliana che posponeva la ricerca della lesione della situazione soggettiva tutelata all’individuazione delle conseguenze pregiudizievoli sulla vita di relazione, sul fare a-reddituale, onde rilevarne sul solo piano funzionale la rilevanza e per ciò solo dirle risarcibili - apparivano, sia pur parzialmente e non del tutto correttamente, superati dalla tricotomia del 2003, dove per esistenziale si intese alfine quel danno non biologico conseguente alla lesione di valori/interessi costituzionalmente tutelati, mentre il danno morale conservava i suoi caratteri di sofferenza soggettiva interiorizzata, “temporanea e transeunte”.

  7. L’unificazione sul piano morfologico del danno alla persona in seno al solo danno biologico (“costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale….”) operata nel 2008, anziché correggere e modificare una prospettiva, pur incoraggiante, volta ad una più idonea individuazione dell’autentico “in sé” di quel danno, ne inaridisce i sentieri evolutivi nell’ottica di un solo parzialmente condivisibile intento di razionalizzare l’intero sistema risarcitorio onde condurre a ghigliottina, tra le tante consenzienti tricoteuses, i danni bagattellari, che pure avevano assunto proporzioni troppe volte intollerabili nella mani dei giudici di prossimità.

  8. L’errore concettuale annidato della tripartizione del 2003 – che pure aveva meritoriamente individuato un referente normativo ex ante al danno esistenziale nell’interesse/valore diverso dal diritto alla salute a copertura costituzionale – si perpetua e si aggrava, dunque, nelle sentenze del 2008, che disegnano il danno alla salute “medicalmente accertabile” come centro di sistema, referente normativo e parametro risarcitorio sostanzialmente unico, idoneo ad inglobare in sé tanto il danno morale quanto (per previsione legislativa espressa) gli aspetti dinamico relazionali del danno alla salute.

  9. La realtà (pre-giuridica) del danno alla persona è diversa. Il danno alla salute non è altro che danno derivante dalla lesione di UNO dei diritti (interessi/valori) costituzionalmente tutelati, è species di un genus, del tutto omogeneo, ove non sono a dirsi esistenti diritti primi inter pares, Grundsaetze normative (come lo è la dignità per il costituente tedesco o per la Carta dei diritti europea) a struttura piramidale, ma solo diritti tra loro di volta in volta definiti, sul piano ontologico, dalla carta costituzionale, inviolabili, fondamentali, ovvero non definiti per nulla. Diritti (meglio, interessi/valori) a copertura costituzionale e basta.

  10. Pare di assoluta ovvietà osservare come la violazione di quelli che, trattandosi di vulnera alla persona umana, piacerebbe definire valori costituzionalmente garantiti (piuttosto che diritti inviolabili della persona) abbia conseguenze UMANE, prima che giuridiche. Il faticoso cammino intrapreso dalla giurisprudenza negli anni ’70, quando a Genova nasce il danno biologico, avverte, in origine, sia pur assai ovattatamente, questa verità, e si sforza di concepire un danno alla salute di tipo relazionale, che ricomprenda in sé anche le conseguenze “dinamiche” di quel danno.

  11. Al danno biologico come nuova figura di danno vennero, difatti, ricondotte nel tempo altre tipologie di lesioni alla persona apparse all'orizzonte dei danni risarcibili. Vi è stato, infatti, un momento nell'itinerario giurisprudenziale del danno biologico in cui un simile danno è stato proiettato, in virtù di una concezione non più statica ma dinamica della “salute”, nella dimensione esistenziale della persona, cogliendone aspetti emergenti di necessaria tutela. Così a titolo di danno biologico, pur in mancanza di un accertamento medico-legale della lesione della salute fisico-psichica, verranno risarciti, al coniuge, i pregiudizi conseguenti all'impossibilità, nell'ambito del rapporto coniugale, di svolgere una normale vita sessuale; alla lavoratrice, in caso di molestie sessuali da parte del datore di lavoro, il danno per comportamenti lesivi dell'integrità psicofisica; ai genitori della vittima di un incidente stradale il danno alla serenità domestica; ai genitori del bambino nato benché non voluto il danno per wrongful birth anch'esso ricondotto (discutibilmente) nell'ambito del danno biologico. Particolare rilievo assumeranno, in tale panorama, le pronunce di cui a Cass. 7713/2000 (il padre di un minore inadempiente agli obblighi di assistenza, assolto dal reato di cui all’art. 570 c.p.,verrà condannato al risarcimento ex art. 2 Cost./2043 c.c., e non (o non soltanto) ex artt. 29 e 30, atteso il rilievo attribuito ai diritti fondamentali del minore da quella norma garantiti ed alla gravità della condotta, con predicata rilevanza in re ipsa della lesione di diritti costituzionalmente protetti come prova di un danno esistenziale alla vita di relazione del minore, con l’accento sul momento dinamico dell’illecito che incide, pregiudicandola, sulla libera formazione ed estrinsecazione della sua personalità: approdo felice ad una concezione dinamica della tutela dei diritti inviolabili della persona, corretta individuazione di un danno esistenziale inteso come lesione della personalità/valore unitario tutelato ex art. 2 Cost. oltre la lesione del diritto alla salute, opportuna specificazione in sentenza della profonda differenza di tale danno rispetto al danno morale), e Cass. ss. uu. 2515/2002 (risarcimento dei danni agli abitanti del comune di Seveso e definizione del danno morale soggettivo come turbamento psichico, sofferenze e patemi d’animo, di natura transitoria, caratterizzato da risarcibilità autonoma anche in mancanza di una lesione da danno biologico, in esito alla consumazione di un reato plurioffensivo cagionante vulnera tanto all’ambiente quanto ai singoli pregiudicati nella sfera individuale: siamo all’alba della svolta del 2003, e la “copertura” del fatto reato appariva ancora necessaria, ma il danno morale così concepito appare piuttosto “copertura” del danno esistenziale come diritto a vivere in un ambiente salubre).

  12. Per effetto degli interventi della giurisprudenza della corte europea, viene riconosciuto poi il danno “morale” al turista privato dei piaceri di una vacanza per la pessima organizzazione del viaggio da parte dell'agenzia di viaggi: è detto risarcibile 'il danno biologico da vacanza rovinata...... sotto l'aspetto della limitazione al libero sviluppo della personalità subita a causa della lesione della propria integrità biopsichica, con i conseguenti risvolti deteriori anche nella vita di relazione". Più di recente, la stessa Corte di giustizia, con la sentenza 6.5.2010 (causa C-63/09) ha stabilito che il termine danno, ai fini dell’art. 22 n. 2 della Convenzione per l’unificazione delle norme in tema di trasporto aereo (Montreal 28.5.99), quanto alla perdita dei bagagli, deve essere interpretato nel senso che include tanto il danno materiale quanto quello “morale”.

  13. La stessa normativa europea dettata in tema più strettamente contrattuale evolve nel senso di riconoscere esplicitamente quello che viene riassuntivamente definito “danno morale” anche in materia negoziale, senza alcun limite di copertura costituzionale degli interessi lesi: L’art. 9.501 dei principi di diritto europeo dei contratti stabilisce che il danno di cui può essere domandato il risarcimento comprende: a) il danno non patrimoniale; b) il danno futuro ragionevolmente prevedibile. Nel Draft Common Frame of reference, l’art. III -3:701, in sede di disciplina del right of damages, specifica che il termine Loss includes economic and non economic loss… non economic loss includes pain and suffering and impairment (menomazione) of the quality of life. Per l’art. 7.4.2 dei principi Unidroit, infine, il danno “può essere di natura non pecuniaria e comprendere la sofferenza fisica e morale”.

  14. Si discorre, dunque, di danni in thesi riconducibili nell'ambito di una nozione molto ampia di salute sostanzialmente coincidente con il benessere esistenziale, ma che ovviamente, per essere acquisiti al sistema nell'ambito della categoria del danno biologico, avrebbero richiesto che l'accertamento di tale danno venisse sganciato dalla valutazione medico-legale della lesione della salute psico-fisica. In ciò trovando l'opposizione di gran parte degli stessi fautori del danno biologico.

  15. E' la dottrina, allora, che dà vita al danno esistenziale, come nuova voce risarcitoria di danno alla persona cui ricondurre tutti quei pregiudizi che colpiscono la persona nel suo fare a-reddituale, sia esso inteso come somma di ripercussioni relazionali di segno negativo, ovvero come modificazione negativa delle modalità attraverso le quali l'individuo esplica la propria personalità. La linea di policy sottesa dunque, all'operazione volta a strutturare l’edificio del danno esistenziale, si attesta lungo il confine di una voce risarcitoria autonoma di danno non patrimoniale, da affiancare a quelle del danno patrimoniale e del danno morale, ma sottratta alle strettoie tipizzanti dell'art. 2059. Un simile danno compare, dunque, sullo scenario dei danni alla persona, ripercorrendo, a quasi vent'anni di distanza, l'itinerario del danno biologico seppure in una aperta dialettica di contrapposizione, volta a rivendicargli autonomia dalla sua originaria matrice: il danno esistenziale nasce, dunque, come reazione ad un impiego della categoria del danno biologico oltre i confini del danno alla salute, ma nel contempo si dipana lungo percorsi già battuti dal danno biologico alla ricerca di una sua legittimazione a livello normativo, memore forse inconsapevole della storica differenza tra Bios e Zoe.

  16. Il concetto di danno biologico nasce, in realtà, come nozione naturalistica e descrittiva, che indica un fatto oggettivamente percepibile e descrivibile, e cioè la lesione fisio-psichica di natura clinico-disfunzionale. Il danno alla salute è invece nozione giuridica e valutativa, costituzionalmente garantita, che presuppone una comparazione tra il pregiudizio patito dalla vittima (fattispecie concreta) e la norma che ne disciplina il risarcimento (fattispecie astratta).

  17. La definizione del codice delle assicurazioni lo prevede in entrambe le forme: “lesione dell’attività psico-fisica / che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”. Così il danno biologico inteso quale lesione psico-fisica è valutabile in termini esattamente uguali per ogni danneggiato, mentre le conseguenze pregiudizievoli della menomazione vanno invece valutate caso per caso.

  18. La distinzione tra danno biologico statico e dinamico sotto il profilo della distinta rilevanza risarcitoria sembra, peraltro, riproporsi, oggi, nella definizione dell’art. 138 comma 2 lett. c) dello stesso codice, quando stabilisce, con riferimento alle cd. macropermanenti che il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi. La questione sembra dunque riproporsi dopo che, di essa, se ne era predicato il definitivo superamento già all’indomani dell’intervento della Corte costituzionale del 1994 (che impose al giudice di ricercare la prova, oltre che della lesione, in re ipsa, della “diminuzione o privazione di un valore personale” ai fini del risarcimento, intesa come “prova ulteriore dell’entità del danno), affermativa di un principio cui si uniformò la stessa giurisprudenza di legittimità nel senso di attribuire carattere relazionale al danno biologico: Cass. 4991/1996, difatti, ritenne essere “danno biologico risarcibile (inteso come danno conseguenza rispetto al danno evento della lesione) la perdita per il danneggiato di utilità dell'esistenza determinata dalla lesione del bene della salute: non vale dunque la regola per cui, verificatosi l’evento (la lesione che determina il danno biologico) vi sia senz’altro un danno da risarcire, poiché questo vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’individuo nel modo preesistente al fatto dannoso e che debbono essere compensate con utilità economiche equivalenti. In caso contrario, il danno biologico non può essere configurato”.

  19. L’essenza del danno risarcibile, dunque, è nel valore umano perduto, ovvero nelle conseguenze negative che la lesione ha prodotto sulla vita del danneggiato, in una dimensione tendenzialmente onnicomprensiva di tutti i pregiudizi derivanti dalla lesione della salute, nessuno escluso.

  20. Ma è proprio questa concezione del danno biologico che deve indurre ad una riflessione meno superficiale e meno “giuridica”, il cui punto di partenza è affatto speculare a quello classico del giurista: non sono le categoria giuridiche, evidenti costruzioni di sovrastruttura, a potersi porre come prius logico idoneo ad informare la elaborazione di un accettabile sistema di danni alla persona e di conseguente determinazione di una soglia di ingresso alla risarcibilità, bensì la sinergia “lesione/sofferenza”, “trauma/danno psicologico”, dimensione naturalistica di analisi che riconduca l’indagine entro i suoi confini di realtà e restituisca la sua più autentica dimensione ai rapporti tra ontogenesi e filogenesi di quella realtà.

  21. Una più seria prospettiva di analisi non può che muovere, sul piano naturalistico, onde trasfonderne le conclusioni nell’orbita di una concezione giusnaturalistica del danno, dalla relazione tra lesione e sofferenza. La lesione ai diritti della persona (alla sua serenità, al suo equilibrio, alla sua “felicità”: in una parola di sintesi, alla sua dignità umana) ne incide, più o meno profondamente, l’animo: i sentimenti, il vissuto, il vivibile. E suscita, pur nella unicità dei riflessi dolorosi, una duplice, disomogenea conseguenza: la sofferenza, interiore e interiorizzata, il piccolo e grande lutto, da elaborare come perdita di “qualcosa”; e poi ancora la propria percezione e proiezione nel mondo esterno, il proprio vivere coattivamente modificato (e talvolta stravolto in svivere), il mondo delle relazioni esterne con un reale “altro” da sé. E’ questa la conseguenza dell’agire lesivo, la duplice, non omologabile conseguenza che interagisce, senza peraltro sovrapporsi, in una impredicabile unicità dimensionale della sofferenza. Il danno morale (“temporaneo e transeunte”, secondo la giurisprudenza: ma anche, talvolta, eterno ed immutabile: le lacrime, il dolore, la sofferenza il patema d’animo elaborato e vissuto senza consentirgli di sfociare in malattia, in disturbo, in “lesione psichica medicalmente accertabile”) appartiene alla relazione con sé stessi, e su se stessi va a riflettersi; il danno esistenziale (inteso come coazione ad agire e comportarsi in modo “diverso da prima”) è riverbero di vissuto esterno, modificazione delle proprie abitudini, regole, modalità, entusiasmi del vivere con gli altri e tra gli altri: e queste, soltanto queste, possono e devono venir considerate, sul piano naturalistico, sul piano dell’essere, le due vere categorie del danno alla persona, prima della eventuale trasmutazione in danno psichico vero e proprio. Così considerate anche da chi, anello più debole e più vile della catena della sofferenza, trasformerà un giorno il dolore in denaro.

  22. Irredimibile equivoco del danno biologico (e delle sezioni unite del 2008, secondo le quali “non vale, per dirle risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva, il diritto ad essere felici”), l’essere trasmutato in categoria giuridica e non naturalistica, che conosce, tra i due momenti e i due aspetti della sofferenza, una terza dimensione, il danno alla salute medicalmente accertabile: la condotta del danneggiante opera in modo traumatico sulla integrità del danneggiato, cagionando una lesione fisica (o psichica, destinata a farsi danno biologico stricto sensu purché degenerante in malattia, in patologia clinica: in questo caso la sofferenza morale si trasforma in danno psicopatologico inteso come vero e proprio stato di infermità o malattia con pregiudizio della salute) cui consegue (può conseguire: ma può anche non conseguire affatto) un danno morale e un danno relazionale. In altri termini, sono la sofferenza interna ed esterna conseguenti alla condotta lesiva a preesistere al danno biologico inteso come categoria di pensiero, e non l’opposto. La lesione (e il conseguente danno) alla salute non è che una delle lesioni ad uno degli valori della persona costituzionalmente tutelati: qui si annida, insieme, l’equivoco e al tempo stesso l’intuizione delle pronunce del 2003, che riconoscono al danno esistenziale dignità di categoria, ma lo riconducono ad altri valori diversi dalla salute, quale lesione pari-ordinata e diversa da quel danno. La realtà, invece, è che ogni lesione di un valore della persona cagiona danno morale e danno esistenziale, e quando questa lesione consiste nell’incidere il valore salute, quel danno prende il nome di danno biologico, che contiene in sé, oltre al danno morale e al danno esistenziale, anche l’aspetto, del tutto peculiare, della lesione all’integrità psico-fisica (dove per integrità psichica si intende ogni vicenda che possa dirsi clinicamente malattia: il nervous schock, diverso dalle pain and suffering, diverso dalla loss of amenities of life, così come il domage corporel è diverso dal domage morale e dal prejudice d’agrement).

  23. Compito del giurista è, naturalmente, individuare il diritto (il valore) giuridicamente tutelato, onde inferirne criteri di risarcibilità. Ma tale inversione di metodo non può condurre a cancellare e dissacrare una realtà fenomenica, quella della persona umana e della sua sofferenza, creando categorie di danno che da meta-reali si fanno talvolta surreali nel loro assumere carattere di centralità di sistema, in attuazione del poco encomiabile disegno di trasfigurare, sminuendone la portata, la realtà della sofferenza umana.

  24. La costruzione di un nuovo modello di responsabilità risarcitoria non può, dunque, prescindere da questa realtà. La identificazione dei singoli danni in funzione dei singoli valori lesi, sotto l’egida della Carta costituzionale, si imporrà come la via della individuazione dei danni veri e seri (ma probabilmente anche dei danni veri e meno seri), purché provati nella loro esistenza.

  Perché è sul piano della prova, sinergico a quello delle conseguenze dannose, che si gioca la vera, l’ultima partita del danno alla persona.

  Perché il perdurare della consuetudine, anche dopo le sentenze del 2008, di risarcire il danno morale come “frazione del danno biologico, ridotto da un terzo alla metà”, ovvero il danno “relazionale” sempre come frazione dello stesso danno biologico deve poter significare, a volte, anche nell’operare del giurista, un vero assurdo logico.

  Che non può non essere radicalmente ripensato.

  Perché alla giovinetta vittima di violenza sessuale, cui il medico legale riconoscerà un punto x di danno biologico da tabella, non può, se non indecentemente, comunicarsi che avrà un danno morale risarcito “da un terzo alla metà”.

  Mentre un’automobile completamente distrutta in un incidente stradale viene sostituita con una nuova perfettamente funzionante.

  Testo della relazione svolta al Secondo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d’autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol. IV, Pechino, 2012.

发布时间:2013-03-05  
 

Centro di studio del diritto romano e italiano presso Universita
della Cina di scienze politiche e giurisprudenza
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