Massimo Brutti
L’estinzione delle obbligazioni
La definizione di obligatio, che leggiamo nelle Istituzioni di Giustiniano e che proviene con ogni probabilità dai Libri rerum cottidianarum di Gaio, pone in primo piano due nozioni: la nozione di vinculum iuris (vincolo giuridico) e quella di solvere rem: espressione che traduciamo con il termine "adempimento".
Trascrivo il testo, assai noto e studiato innumerevoli volte nella tradizione romanistica. "L'obbligazione è un vincolo giuridico, con il quale siamo tenuti dalla necessità di adempiere ad una prestazione, secondo i diritti della nostra comunità".
Obligatio quindi significa "vincolo". Creando il vincolo si stabilisce la necessità di un comportamento che qualcuno deve porre in essere. L'obbligato è tenuto a realizzare ciò che deve: il debito. Se non lo realizza è tenuto a rispondere in giudizio. E' "responsabile" della mancata attuazione dei comportamenti dovuti.
Dal modello così definito scaturisce un primo dato teorico, che caratterizza tutti i rapporti obbligatori.
L'obligatio è necessariamente temporanea. Essendo finalizzata ad un risultato (un solvere rem), essa è destinata ad estinguersi quando il risultato è raggiunto. Ma l'estinzione non si esaurisce nell'adempimento. Essa è anche la conseguenza di determinati atti o situazioni che producono la cessazione del vincolo indipendentemente dal solvere rem, cioè senza che si verifichi il comportamento (il dare o il facere) atteso dalla controparte.
Nell'ambito delle cause di estinzione, la disciplina dell'adempimento è ben distinta da quella che regola altre modalità di cessazione del vincolo, non direttamente correlate alla funzione del solvere rem. Questi casi, per i quali possiamo palare di scioglimento senza adempimento, si comprendono meglio se li ricolleghiamo alle peculiarità storiche delle varie cause di obbligazioni.
Gaio inizia la sua esposizione sui modi di estinzione delle obbligazioni dicendo che “l’obbligazione si estingue soprattutto con l’adempimento di ciò che è dovuto”. Il termine tecnico è solutio. Il debitore pone in essere il comportamento oggetto della prestazione e produce l’effetto di estinguere automaticamente l’obligatio. La frase "si estingue soprattutto con l'adempimento" lascia uno spazio aperto ad altre ipotesi.
Emerge dalla giurisprudenza che la struttura dell’adempimento varia secondo la natura della prestazione. Può esaurirsi in un singolo atto o può prolungarsi nel tempo.
Oggetto della solutio dev'essere l’intera prestazione. E' possibile che il creditore accetti un adempimento parziale, se ciò è stato stabilito nell'atto da cui è sorta l'obligatio. In presenza di più debiti, l'obbligato può scegliere quale adempiere. Se paga senza indicare per quale causa, sarà il creditore a decidere quali crediti considerare estinti. Dando la precedenza - secondo quanto indicano i giuristi - al debito già scaduto o a quello più gravoso, o a quello per il quale la condanna comporta infamia. Papiniano indica inoltre il debito che poenam continet (come nelle obbligazioni derivanti da delicta) e quello che è assistito da una garanzia reale o personale. Infine, mancanza di una priorità indicata dal creditore, il pagamento si distribuisce proporzionalmente tra i vari debiti.
Il debitore viene liberato anche con la prestazione di un terzo. Non è necessario che ne sia al corrente e può perfino non volerla; comunque se un altro adempie e non è il debitore, l'obbligo si estingue (Inst. 3, 29 pr.). Questa possibilità si verifica soltanto quando la prestazione dovuta è fungibile. Non è quindi ammesso l’adempimento del terzo, se l'oggetto dell’obligatio è il facere o il non facere di una perona determinata.
Si paga al creditore oppure, su ordine di questo, ad un terzo. Si paga a un sottoposto oppure al procuratore, o al mandatario.
Nella stipulazione, che è una promessa nella quale l'obbligazione nasce con la pronunzia di parole solenni ("Prometti di dare cento? Prometto"), l'adempimento può essere a favore di un terzo in due ipotesi: con l’adstipulatio e con la previsione di un adiectus solutionis causa.
L’adstipulatio crea un creditore “accessorio” accanto al creditore principale. Di questa figura scrive Gaio. I rapporti fra l’adstipulator e il creditore principale sono regolati da un principio che possiamo definire di "solidarietà attiva". Il contenuto della nuova promessa è identico a quello della prima obbligazione. L'adstipulator può esigere il pagamento per l'intero, restando obbligato - tramite un'actio mandati - a restituire al creditore principale quanto ha riscosso. Il suo intervento insomma è nell'interesse del creditore principale ed è solitamente da lui stesso sollecitato. Ciò spiega l'actio mandati.
Diversa è la posizione dell’adiectus solutionis causa. In questo caso il debitore può eseguire alternativamente la prestazione a favore del creditore o di un terzo aggiunto nei verba stipulationis. Quest'ultimo non assume il ruolo di creditore. Si prevede che egli possa essere destinatario dell'adempimento, fermo restando però che il rapporto obbligatorio intercorre fra lo stipulante e il promittente.
Il tempo dell’adempimento viene generalmente fissato dalle parti. Così come le condizioni sospensive o risolutive: vale a dire la previsione di fatti futuri ed incerti dai quali si fa discendere l'operatività dell'obligatio (cioè l'effettiva necessità dell'adempimento, in mancanza del quale il creditore può agire in giudizio). Se l’atto costitutivo non prevede tempi di esecuzione, questi si desumono dalle circostanze o dal tipo di prestazione dovuta.
Per quanto riguarda il luogo dell’adempimento (locus solutionis), di regola la prestazione va eseguita là dove risiede il debitore. Un luogo diverso può essere indicato nell’atto costitutivo o può risultare dalla natura della prestazione.
Dopo l'adempimento, trattiamo ora altre modalità di scioglimento del vincolo, nelle quali non si realizza il comportamento atteso, quello che era stato fissato come necessario. Il vincolo viene revocato dalle parti, attraverso atti rituali o con il semplice consenso, oppure intervengono situazioni nuove che fanno venir meno la necessità dell'adempimento.
Elenchiamo queste modalità di estinzione: la solutio per aes et libram e l'acceptilatio sono atti rituali di remissione del debito. Il contrarius consensus è una revoca consensuale. La novazione, la confusio, il concursus causarum e l'impossibilità sopravvenuta, non imputabile al debitore, sono cause di estinzione che si verificano rispettivamente quando un'obbligazione si trasforma in un'altra nuova (novazione), quando l'obbligazine si trasmette al creditore (confusio), quando il creditore acquista la cosa che ne era oggetto per una via diversa dall'adempimento (concursus causarum), o quando diventa impossibile adempiere.
La più antica forma di scioglimento di un’obligatio è la solutio per aes et libram. Il rito si svolge mediante il gettito simbolico di un pezzo di bronzo (aes) su di una bilancia (libram), retta da un libripens, civis Romanus e pubere, che provvede alla pesatura. Alla presenza di cinque cittadini romani puberi e del creditore, il debitore dichiara solennemente di liberare se stesso dal potere del creditore.
I giuristi descrivono questo atto come una sorta di remissione del debito, per la quale basta porre in essere una determinata forma fissata nella tradizione. Una forma che prescinde dal rapporto concreto tra gli interessi delle parti e da sola può far cessare il vincolo. Storicamente, questo modello si spiega, se lo si pone in relazione con la centralità che le forme solenni avevano nei rapporti sociali e giuridici della comunità romana più antica. E' una centralità evidente al tempo delle Dodici Tavole. In epoca successiva, con l'espansione economica e commerciale, con il sorgere del diritto pretorio, le forme perderanno il primato nell'organizzazione di rapporti di scambio.
Per quanto riguarda la solutio per aes et libram, dobbiamo ricordare che in età più antica il rito racchiudeva l’adempimento.
Con l’introduzione della moneta coniata il debitore, pronunziata la stessa formula rituale, percuote la bilancia con una moneta che immediatamente dopo egli stesso consegna simbolicamente al creditore. Divenuto simbolico con il tempo lo scioglimento, l’originaria solutio per aes et libram si converte in un’imaginaria venditio. Essa è destinata a conseguire l’effetto liberatorio, prescindendo del tutto dal contestuale soddisfacimento del creditore.
In base ad un principio di simmetria, la solutio per aes et libram funziona, in una prima fase più antica, come atto estintivo di obblighi derivanti da un gestum per aes et libram, (un nexum, atto obbligatorio solenne, ben presto scomparso e di cui assai poco sappiamo). Ma già dopo la sparizione del nexum, che risale agli ultimi decenni dal quarto secolo a.C., si passa ad altre applicazioni.
Gaio riferisce la solutio per aes et libram all'obbligo derivante da un giudicato o da un legato; e proprio in relazione al giudicato ne indica la formula: “Poiché sono stato condannato (a pagarti) una quantità di migliaia (di sesterzi), mi sciolgo e libero da te a tale titolo con questo bronzo e questa bilancia ...”.
Con il termine acceptilatio indichiamo un atto formale, necessario per liberare il debitore e simmetrico rispetto a quello con cui si assumeva l’obbligazione nel contrahere verbis e nel contrahere litteris. Abbiamo così un'acceptilatio verbale ed un'acceptilatio letterale.
Lo schema dell’acceptilatio verbis è modellato in maniera speculare su quello della stipulatio. Alla domanda del debitore quod ego tibi promisi habesne acceptum? (“hai ricevuto quel che ti ho promesso?”), il creditore risponde habeo (“ho ricevuto”) . La stessa simmetria si presume (pur in assenza di notizie esplicite) per l'obligatio litteris. Con una iscrizione uguale e contraria rispetto a quella che aveva creato l'obligatio, è probabile che nel codex accepti et expensi si determini una remissione del debito.
L’acceptilatio verbis viene impiegata dalla giurisprudenza anche in relazione ad obbligazioni non fondate su una stipulatio. Le obbligazioni non verbali vengono versate in una stipulazione novatoria. Nel primo secolo a.C., questa pratica è utilizzata dal giurista Aquilio Gallo: lo schema prende il nome di stipulatio Aquiliana. L'obbligazione che si costituisce ha come oggetto nuovo rispetto alle obbligazioni precedenti una prestazione unica di danaro, corrispondente all'interesse complessivo del creditore (quanti ea res erit), calcolato in relazione al momento previsto per l'adempimento (o - in caso di controversia - valutato dal giudice con l'aestimatio litis). La nuova obbligazione verbis è la sola che rimane in campo e si estingue radicalmente mediante l’acceptilatio.
I due modi di estinzione che ho appena descritto si spiegano storicamente come aspetti di una organizzazione istituzionale nella quale la costituzione, la modificazione e l'estinzione dei rapporti giuridici derivano dall'uso e dalla ripetizione di parole e gesti, che consideriamo forme astratte (in quanto prescindono dagli interessi: dalla sostanza e dalle finalità concrete dei rapporti), e che - tassativamente previsti e rispettati - generano effetti giuridici vincolanti.
Vi è accanto a questi un modo di estinzione, nel quale il vincolo è revocato dalle parti, ma senza il ricorso alle forme solenni di scioglimento, che abbiamo esaminato.
Esso è il contrarius consensus. Consiste in una particolare ipotesi di remissione del debito, possibile in relazione alle obligationes consensu contractae (e storicamente legata al loro affermarsi). Esso estingue immediatamente il rapporto obbligatorio. Come leggiamo nelle Istituzioni di Giustiniano (3, 29, 4), ... eae obligationes, quae consensu contrahuntur, contraria voluntate dissolvuntur.
Le obbligazioni consensuali, infatti, finché nessuna delle parti abbia ancora adempiuto (re adhuc integra), possono essere sciolte di comune accordo. Cioè con una dichiarazione di volontà contraria rispetto a quella che aveva costituto l'obligatio. La norma si applica alla compravendita, alla locazione, alla società, al mandato.
Che cosa si intende per novazione? Essa - scrive Ulpiano - è il travaso e la traslazione di un primo debito in un'altra obbligazione, come quando da una precedente causa si costituisce una nuova obbligazione, in modo tale da far cessare la prima".
Nasce dallo stesso movente e fine della prima obbligazione un nuovo vincolo e la traslazione avviene di regola mediante una stipulatio (in teoria lo stesso meccanismo può realizzarsi mediante trascrizione nel codex accepti et expensi).
La formazione di un nuovo rapporto obbligatorio comporta la scomparsa del precedente (e con esso di tutte le garanzie personali e reali, come ad esempio la fideiussione e il pegno). La novazione ha due requisiti: l’idem debitum e l’aliquid novi.
Idem debitum: la stipulazione novativa deve avere lo stesso oggetto dell’obbligazione da novare ed è necessario che la seconda si ricolleghi alla prima, sulla base di uno specifico riferimento all'oggetto della prestazione. Hominem Stichum quem mihi Titius debet dari spondes? (“prometti di trasferire la proprietà dello schiavo Stico, che mi è dovuto da Tizio?”).
Aliquid novi. L’effetto novativo si produce solo se nella seconda obbligazione vi sia un vero profilo di novità. Può trattarsi dell’aggiunta o dell’eliminazione di una condizione o di un termine; può essere l’estinzione o la costituzione di una garanzia personale. Può consistere nel mutamento di una delle parti: nell'ingresso di un nuovo debitore o creditore (con l’assenso del precedente), oppure anche nel fatto che una obbligazione non costituita verbis sia versata in una stipulatio, come nel caso dell'obbligo di restituzione di una cosa data in prestito.
Inoltre, si ha un caso particolare di novazione, quando si assorbono uno o più debiti preesistenti entro una stipulatio, con la promessa di prestare il quanti ea res erit. Ne abbiamo appena visto un'applicazione nel collegamento fra stipulatio Aquiliana ed acceptilatio.
La parte debitrice si obbliga a pagare una somma pecuniaria pari all'interesse del creditore per gli obblighi versati nella nuova stipulatio. Questo interesse è da calcolare ex novo, in relazione al momento in cui dev'essere adempiuta la nuova obligatio e in ultima istanza è destinato ad essere tradotto dal giudice in una condanna pecuniaria, se vi sarà una lite. Siamo di fronte ad un debito che a rigore non può dirsi identico. Esso tuttavia deriva dall'obbligazione precedente (o da una pluralità di obbligazioni versate nella stipulatio) e ne trae il proprio fondamento. Motivi di utilità pratica (anzitutto la semplificazione di un rapporto debitorio complesso) spingono a dilatare il concetto di idem debitum.
In tutti questi casi, la giurisprudenza configura il sorgere di un nuovo rapporto come dipendente da determinati atti delle parti. Più problematico è il rilievo dell'animus novandi. Esso non sembra un requisito necessario a determinare l'estinzione dell'obligatio precedente. Ciò non esclude che in singole controversie anche l'intenzione delle parti sia considerata per provare o escludere la novazione
Il rapporto obbligatorio presuppone un vincolo tra persone distinte: creditore e debitore. Se le due figure si identificano in una sola (per l'alienazione o l'acquisto di crediti), l’obligatio si estingue. Le fonti ci parlano di confusio. Questa si verifica, ad esempio, con la coincidenza nella stessa persona della posizione giuridica propria dello stipulante e di quella del promittente (ciò avviene nel caso in cui l'uno succeda all'altro), per cui obligatio resolvitur .
Inoltre, l’obligatio viene meno quando il creditore acquista la cosa dovuta, prima dell'adempimento, quindi indipendentemente da esso ed in base a fatti estranei al rapporto obbligatorio. E' la situazione denominata nella tradizione romanistica concursus causarum.
Sappiamo che l'obligatio costituita per una prestazione fin dall'inizio impossibile è nulla. Se invece l'impossibilità sopraggiunge in un momento successivo, soltanto una diretta responsabilità del debitore perpetua il vincolo obbligatorio. Se egli ha causato dolosamente l'impossibilità o per negligenza non è riuscito ad impedirla, rimane obbligato.
Al contrario, quando l'evento che determina l'impossibilità non è riconducibile ad un comportamento del debitore, ma nasce da un caso fortuito, insomma quando è sine culpa promissoris (o più in generale senza colpa del debitore), l'obbligazione si estingue.
Finora abbiamo preso in esame varie modalità di estinzione dalle quali discende automaticamente il venir meno di qualsiasi fondamento per l'azione del creditore. In questi casi cessa l'obligatio ed anche l'azione nei confronti del debitore viene meno, perde ogni fondamento. Per riprendere le parole usate più volte dai giuristi l'estinzione avviene ipso iure: cioè deriva dalla stessa disciplina che regola il costituirsi dell'obligatio e la sua funzione.
Se, nonostante il verificarsi di una delle cause di estinzione esaminate, viene intentata un'azione e si apre un processo contro colui che era obbligato, l'accertamento giudiziario non potrà non riconoscere l'inesistenza del vincolo. Il giudice, nel valutare le affermazioni dell'attore accerta che l'obbligo non c'è più e allora assolve il convenuto.
Questo stesso risultato, costituito dall'assoluzione del convenuto e quindi da una decisione giudiziaria che considera estinto il vincolo può ottenersi anche per un'altra via: attraverso un intervento pretorio.
Il pretore interviene nel rapporto fra le parti quando si apre la controversia, quando il creditore agisce. Più precisamente, il pretore costruisce la formula (che è un ordine rivolto al giudice) in modo da tutelare il convenuto: in modo da privare il vincolo obbligatorio dei suoi effetti. Se risultano determinati fatti, che il convenuto indica, il pretore può ordinare al giudice di assolvere il convenuto, liberandolo del tutto dall'obbligo. Ciò avviene solitamente con l'opposizione di una exceptio alla pretesa del creditore. Sappiamo che in questa ipotesi la pretesa dell'attore viene paralizzata a causa di un fatto, che secondo il pretore è tale da rendere l'azione ingiusta. Perciò egli concede l'exceptio a favore del convenuto. Nella formula indica il fatto ed ordina al giudice di assolvere il convenuto, se quel fatto verrà accertato. Assoluzione significa liberazione dal vincolo. Che quindi, per effetto dell'intervento pretorio, cessa: si estingue.
Talvolta, il risultato della liberazione dell'obbligato viene perseguito dal pretore non per l'intero ammontare del debito: il venir meno del vincolo è soltanto parziale. Egli può infatti costruire a questo scopo la formula (l'ordine rivolto al giudice), non inserendovi un'exceptio, ma piuttosto definendo la condemnatio in modo da togliere (in concreto, estinguere) una parte del debito.
Non si comprende la differenza tra l'estinzione ipso iure delle obbligazioni e l'estinzione totale o parziale realizzata attraverso l'intervento del pretore se non si considera la peculiare funzione di questo magistrato nell'esperienza romana, che non è soltanto quella di organizzare i processi applicando le norme esistenti ai casi concreti, ma è anche quella di introdurre soluzioni alle controversie, sulla scia degli orientamenti espressi dai giuristi, in grado di far valere interessi delle parti ritenuti degni di tutela ed esigenze di giustizia proprie di ciascun caso concreto. Così si attribuisce a determinati fatti un valore che le norme tradizionali non riconoscevano. Si considera giusto liberare il debitore, anche quando il vincolo non sia stato rimosso né con un adempimento né a causa delle altre modalità di estinzione ipso iure
La dottrina tradizionale parla in proposito di una "estinzione giudiziale", che sarebbe quella ad opera del pretore, distinta dalla "estinzione legale", cui si riferisce nelle fonti la qualificazione ipso iure. In realtà, per i romani, entrambi i tipi di estinzione vengono riconosciuti attraverso il giudizio. Ma nell'estinzione ipso iure non vi è bisogno di un intervento pretorio; basta il giudice, nella seconda fase del processo, ad accertare se il vincolo in base alla disciplina dell'obligatio esiste o non esiste.
L'intervento del pretore è invece necessario, quando si vuole opporre alla pretesa della parte un fatto che la rende ingiusta e far discendere da questo fatto l'assoluzione del convenuto.
Un esempio rilevante di questa estinzione determinata dal pretore si ha nel pactum de non petendo: un accordo che ha ad oggetto la rinunzia all'azione da parte del creditore. La tutela del pactum è un'innovazione rispetto alla disciplina dell'obligatio. Non vi è adempimento; e d'altra parte non ricorre alcuna ipotesi di scioglimento diversa dall'adempimento che sia direttamente riconoscibile dal giudice come fatto estintivo dell'obligatio. Gli effetti estintivi invece si producono, in quanto il pretore inserisce nella formula un'exceptio pacti: strumento di difesa processuale creato dallo ius praetorium e già consolidato ai tempi di Quinto Mucio Scevola.
Vediamo un altro caso nel quale appare incerto se l'estinzione sia ipso iure o se debba essere disposta dal pretore.
Nelle Istituzioni Gaio si domanda se colui che adempia, d'accordo con il creditore, non la prestazione esattamente dedotta nell'obligatio, ma un'altra diversa ed equivalente sotto il profilo economico, un aliud pro alio, sia liberato automaticamente. Questo è ciò che ritengono i sabiniani (“i nostri maestri”, dice Gaio). Alla loro tesi si contrappone l'orientamento dei proculiani, secondo i quali vi è bisogno di una exceptio doli contro l'eventuale azione del creditore, per far venir meno la necessità di un esatto adempimento (poiché l'aliud pro alio solvere non è esatto adempimento)
Gaio prospetta le due soluzioni, senza scegliere. Lo ius controversum sul punto è per lui ancora aperto. Da una parte l'estinzione ipso iure; dall'altra quella che si realizza attraverso un'exceptio, bloccando il processo avviato contro il debitore.
Vi è poi, come ho già detto, un modo di estinzione parziale, dipendente dall'intervento pretorio, ma non realizzato attraverso un'exceptio. Si tratta del così detto beneficium competentiae, com'è denominato dagli interpreti medievali (entro la tradizione romanistica): un trattamento speciale che si applica a varie specie di azioni, da quelle del patrono verso il liberto alle liti tra marito e moglie e a numerose altre, tra cui quelle contro i figli emancipati, diseredati o che - chiamati all' eredità come heredes sui - abbiano esercitato la facultas abstinendi e successivamente vengano convenuti a causa dei debiti contratti quando erano in potestate. Tutti costoro possono essere sollevati da una quota dei debiti a loro carico: la misura della detrazione è fissata dalla formula.
In queste fattispecie, quindi, l'obbligazione si estingue parzialmente, poiché il pretore introduce, su richiesta del debitore, una taxatio: vale a dire una clausola che ha la funzione di ridurre l'ammontare della condemnatio formulare.
Sulla base della formula, la sentenza del giudice disporrà che al creditore venga pagata una somma minore di quanto dovuto. Spicca l'ampia discrezionalità del magistrato giusdicente: "... previa cognizione della causa - egli annuncia nell'editto - darò l'azione nei limiti delle possibilità economiche del convenuto" (actionem causa cognita dabo in quod facere potest). Attraverso la redazione della formula e la determinazione della condemnatio, il pretore può modellare l'ampiezza dell'obbligazione dedotta in giudizio.
La giurisprudenza descrive infine tre modi di estinzione delle obligationes, che si compiono talvolta secondo schemi simili all'estinzione ipso iure, talvolta tramite l'intervento pretorio. Si tratta di schemi che potremmo dire "ibridi". Essi sono: la transazione, la compensazione e la litis contestatio.
La transazione (transactio) è un accordo - espresso mediante atti giuridici scelti caso per caso - tra i due contendenti di una lite o comunque tra due parti legate da rapporti giuridici nei quali vi siano aree di incertezza e di potenziale conflittualità. Nei fatti la transazione dà luogo a concessioni reciproche (rinunzie e conseguenti attribuzioni dall'uno all'altro).
Trattandosi di rinunzie, viene spesso usato lo strumento dei pacta de non petendo, con una estinzione delle obbligazioni, che deriva dall'intervento pretorio. Nella formula relativa al credito che è stato oggetto di rinunzia, viene inserita, su richiesta del debitore, un'exceptio pacti (con gli effetti liberatori che già abbiamo illustrato).
Le concessioni si realizzano anche con atti traslativi (mancipatio, traditio, in iure cessio), o assumendo mediante stipulazione uno o più obblighi verso la controparte, oppure avvalendosi dell'acceptilatio, come modo di estinzione ipso iure delle obbligazioni (anche non verbali, purché riversate in una stipulatio Aquiliana).
In un testo di Cervidio Scevola, la transactio viene qualificata come un contractus; sulla stessa linea è anche, più tardi, una costituzione di Alessandro Severo. L'operazione, nel suo complesso, è così ricondotta ad uno schema sinallagmatico: un modello incentrato su obbligazioni reciproche (e sull'interdipendenza tra gli interessi delle parti).
La compensazione si realizza quando due individui siano reciprocamente creditore e debitore l'uno dell'altro. Dai crediti di ciascuno si sottraggono i debiti. Resta ciò che è dovuto, al netto di ciò che si pretende.
Secondo Pomponio, "la compensazione è necessaria, poiché è nostro interesse piuttosto non pagare che richiedere indietro ciò che si è pagato".
Come si possono far discendere effetti giuridici da una simile operazione contabile? Ogni obbligazione, nell'ambito del processo formulare, ha una propria autonoma tutela. Per ogni credito vi è un'azione e il giudice deve attenersi alla formula: di solito non può tener conto di situazioni debitorie esterne al credito ed alla sua causa, anche se le parti sono le stesse.
Gaio sottrae al rigore di questa disciplina tre ipotesi, nelle quali la compensazione opera e produce effetti estintivi. In primo luogo, le fattispecie ove ricorrano iudicia bonae fidei; in secondo luogo, il caso dell'azione dell'argentarius; in terzo luogo, l'azione del bonorum emptor.
Il caso più rilevante è quello dei iudicia bonae fidei. Se il convenuto oppone in compensazione il proprio eventuale credito, sarà il giudice a valutare in base a criteri di correttezza ed equità nei rapporti tra le parti, l’opportunità di operare la compensazione. Imboccata dal iudex la via della compensazione, la condanna pecuniaria sarà pronunziata esclusivamente per la differenza tra i due crediti. Non è necessario uno specifico intervento pretorio per raggiungere questo risultato, che è già reso possibile dalla struttura dei iudicia bonae fidei. Vi è una certa somiglianza con l'estinzione ipso iure.
Lo stesso esito, secondo una costituzione di Marco Aurelio, può determinarsi nei iudicia stricta, ove la formula non comprende il richiamo alla buona fede, attraverso un'exceptio doli. Questa è usata come strumento di pressione. Il convenuto, durante la fase in iure, prospetta e chiede al magistrato un'exceptio doli, se l'attore non ridurrà la propria pretesa diminuendola dei debiti. Il rischio che l'attore corre è quello di perdere la lite. Per evitare la minacciata exceptio, ridimensionerà la propria richiesta.
Contrariamente a quanto accade nei giudizi di buona fede, ove è decisivo l’apprezzamento del giudice, il banchiere (argentarius), che intenda far valere un proprio credito verso un cliente, è tenuto ad operare egli stesso la compensazione con debiti ad oggetto omogeneo e nei confronti della stessa persona, già definendone la portata nella fase in iure del processo. Questa via che egli percorre (per crediti e debiti soprattutto pecuniari o anche di cose fungibili) è legata alla natura della sua attività, alla mobilità dei suoi affari. La disciplina del processo tiene conto di questo movimento del danaro, di cui l’attività dell’argentarius è tramite e che è la base di fatto su cui si costituisce - nelle forme antiche - il capitale commerciale.
L'argentarius dovrà richiedere nell’intentio meno di quanto gli é dovuto. Trattandosi di crediti pecuniari, dovrà indicare l’esatto ammontare delle corrispettive obbligazioni, da sottrarre al credito, rischiando altrimenti di incorrere nella pluris petitio. Un'altra estinzione del tipo ipso iure.
Infine, il bonorum emptor, nell’esercitare le azioni del titolare del patrimonio verso i debitori, chiede ed ottiene la deduzione degli eventuali crediti che a loro volta i debitori convenuti abbiano nei confronti dell’insolvente. La clausola della deductio viene inserita nella condemnatio.
L’inserimento della litis contestatio fra le cause di estinzione dell’obbligazione è in Gaio: "... allora l'obbligazione principale si dissolve e il convenuto comincia ad esser vincolato in base alla litis contestatio; ma se viene condannato, eliminata la litis contestatio, egli comincia ad essere vincolato in base alla sentenza del giudice".
Le parole del giurista descrivono il percorso processuale, il cui atto centrale è la litis contestatio.
Al compimento di questo atto, l'obbligazione si consuma, con un'estinzione ipso iure, purché a tutela del credito si agisca con un iudicium legitimum (svolto in Roma e tra cittadini romani), che abbia una formula in ius concepta. A queste condizioni, dopo la conclusione della litis contestatio, una nuova azione dello stesso creditore per lo stesso credito è automaticamente preclusa.
Invece, per i iudicia imperio continentia o creati dal pretore, l'azione può essere nuovamente esercitata e viene paralizzata solo su richiesta del convenuto, attraverso l’opposizione di un’exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae.
Testo della relazione svolta al Secondo Corso di Alta formazione sul diritto romano per docenti della Reppubblica Popolare Cinese, e pubblicato in cinese, con autorizzazione d’autore, in Digesta (Xue Shuo Hui Zuan), vol.IV, Pechino, 2012.